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Ugo Foscolo     -     Tragedia: AIACE












































































TRAGEDIA "AIACE"



L'Aiace è una tragedia in cinque atti composta tra il 1810 e il 1811. Essa venne rappresentata alla Scala di Milano l'11 dicembre del 1811 con insuccesso. La tragedia non ebbe repliche perché la polizia, che in essa aveva trovato delle allusioni a Bonaparte, ne impedì ogni altra rappresentazione. La tragedia venne lasciata inedita e pubblicata la prima volta a Napoli nel 1828 da Urbano Lampredi con severe censure.
La tragedia, che la maggior parte della critica ha considerata sbagliata, è composta da lunghe parlate, anche se magnificamente verseggiate, e di lunghi monologhi che rendono anche lo svolgimento dell'azione, più narrata che rappresentata, lento e monotono. Non mancano momenti di alta ispirazione e di ottimo stile come la prima scena dell'ultimo atto dove viene rappresentato il delirio della principessa troiana Tecmessa, moglie di Ajace, che è senza dubbio una delle maggiori raffigurazioni dell'eterno femminino foscoliano.
Tra l'altro, fu proprio l'ovazione di Teucro nell'ultimo atto ("O Salamini...") a determinare in sala uno scoppio di ilarità, tale da compromettere definitivamente il successo della tragedia.

Trama

Atto I
Ulisse e Agamennone si trovano presso la tenda dello stesso comandante, al quale alcuni Greci stanno raccontando di aver accompagnato la salma di Achille, che ha ricevuto gli onori funebri da Aiace Telamonio, e avvertono Agamennone che proprio Aiace aspira al possesso delle armi di Achille. Entra intanto in scena Teucro che chiede, da parte del fratello Aiace, le armi dell'eroe, ma è stabilito che quelle armi saranno aggiudicate a chi compirà una grande gesta alla quale sembra stia per cimentarsi Ulisse prima che Aiace ritorni.

Atto II
Agamennone fa chiamare l'indovino Calcante, che gli aveva in precedenza suggerito, per propiziarsi gli dei, di sacrificare la figlia Ifigenia, fatto che ha lasciato l'eroe pieno di rimorsi, perché gli riveli a chi siano predestinate le armi di Achille. Calcante dice che le armi dovrebbero essere consegnate ad Aiace ma che non vorrebbe che costui ne fosse il possessore. Viene così allestita una assemblea di principi presieduta da Ulisse.

Atto III
Viene riferito ad Agamenonne da Ulisse che l'assemblea non era d'accordo a chi attribuire le armi di Achille e che pertanto era stata rimessa in discussione la decisione e affidata ai comandanti prigionieri degli Achei. Aiace è irato e scaglia accuse ad Ulisse che crede empio e falso e ad Agamennone.
Agamennone intanto non vedendo tornare Teucro sospetta un inganno e trattiene come pegno il figlio di Aiace finché Teucro non ritornerà.

Atto IV
Agamennone è in attesa di Ulisse e quando costui ritorna informa il re che Teucro è d'accordo con Aiace e che il figlio di costui è in salvo. Segue il colloquio di Tecmessa, moglie di Aiace, con Agamennone, e Aiace, nel vederli parlare, inveisce contro di lui ma è frenato da Calcante. Ulisse e Aiace vanno a combattere.

Atto V
Intanto Tecmessa, che ha saputo dell'incendio che ha bruciato il carcere dove erano tenuti prigionieri dei Greci il padre e i fratelli, si dispera per il dolore e inutilmente Calcante cerca di calmarla. Aiace, appena sopraggiunto, viene esortato da Tecmessa a ritornare con lei nella sua patria a Salamina, ma Aiace non accetta e nemmeno Calcante riesce a convincerlo a salvarsi. Quando Aiace vede che è circondato da inganni decide di uccidersi e muore dopo aver saputo da Teucro che le armi di Achille sono state assegnate ad Ulisse.

Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:dlfmessina@dlf.it == Associazione DLF - Messina
AJACE
Tragedia

Infelix, utcumque ferent ea facta minores;
Vincet amor patriae, laudumque immensa cupido.
(Virg. Aen. Lib. VI).

PERSONAGGI

AGAMENNONE

ULISSE

AJACE.

TEUCRO

CALCANTE

TECMESSA

ARALDO

DONZELLE FRIGIE

GUERRIERI

La scena è nel campo de' Greci, dinanzi alla tenda d'Agamennone.

ATTO PRIMO

SCENA I

Agamennone, Araldi.
Agamennone -
Ite: a Priamo intimate, che alla tregua
un dí rimane, e che al cader del sole
sciolto son io dal giuramento.



SCENA II

Agamennone.
Agamennone -
Alfine
sei spento, o Achille; e ogni trionfo è mio.


SCENA III

Agamennone, Ulisse.
Ulisse -
Terrore è in campo, o re de' re. La turba
che all'Ellesponto accompagnò gli avanzi
d'Achille, ove gli alzò tomba e trofeo
il Telamonio Ajace, al campo riede
e fa insanir di nuovo lutto i Greci.
Finge orrendi prodigi; e vien narrando
che di querele l'Ocean fremea
per la pietà della divina prole
di Teti; che un sanguigno astro per l'aere
notturno errava, e illuminando i mari
ver l'occidente si perdea, la Grecia
quasi accennando ed il ritorno. Invano
or la pugna a bandir corron gli araldi
come jer m'imponesti.

Agamennone -
Ma la furia
forse o la trama del terrore illude
anche i re delle genti?

Ulisse -
Inerme il volgo
lungo il lito del mar trascorre a torme
chiamando a nome i padri, i figli, e l'ombre
de' perduti compagni. Al grido, ai cenni,

al consigliar de' prenci un disperato
gemer risponde, e per sè geme ognuno,
per te, per noi, or che il Pelide è spento.
Nè violenza di comandi certo
varrebbe, or che travolto ha il cor di tutti
religïosa una demenza.

Agamennone -
Il campo
me per or non vedrà. Que' numi suoi
che alla fuga il sospingono, tra poco
lo irriteranno alla battaglia. -- Annunzi
un Araldo a Calcante augure sommo
che il re supremo degli Achei lo attende.

Ulisse -
Ove uno, arcano, irrevocato il cenno
non sia d'un solo, il ciel spesso gli audaci
favorirà. Non pel suo brando e i truci
suoi Mirmidoni il figlio di Peleo
a tutti primo ed a te pari visse,
ma per l'are e gli oracoli. Dal rogo
d'orgoglio or arde e di speranze il petto
di tal che forte è al par di lui feroce
piú di lui forse, e ben piú accorto... Ajace.

Agamennone -
Intrepid'alma, altero ingegno, aperti
detti, e severo amor di patria ostenta:
nè finge forse. Ma finch'ei sostiene
tutto il furor delle dardanie posse,
non io l'applauso invidierò del volgo
a chi per noi guerreggia. Ove fortuna
contraria torni al valor suo, la fama
non gli varrà d'antichi merti in core
de' sospettosi e sconoscenti Achei.
Or pugni e vinca, e me non ami. Amarlo

l'alta virtú che in lui ripose il cielo
mi sforza quasi e ad ammirarlo.

Ulisse -
Ammiri?
Nè temi?

Agamennone -
In me sempre starà che Troja
per Ajace non cada. E indarno il mio
scettro usurparmi ei tenterebbe: Atride
a rissa forse scenderia col sire
di pochi armati? M'apparecchia ei stesso
la difesa di tanti emuli prenci
irati a lui, che sprezzator di tutti
con la jattanza di virtú gl'insulta.
Un solo ardia disobbedirmi, un solo!
E allor dovea, se ambizioso è tanto
questo Ajace, affrontarmi, allor che ardire
trovava e forze nell'insano Achille. --
Ma re volgare e guerrier sommo il tengo
a sè dannoso, utile a noi.

Ulisse -
D'Achille
contro te ribellante è ver che Ajace
non assumea le parti. A noi fedele
s'attenne ei forse? A poche navi duce,
nè circondato dalla falsa fama
di progenie celeste, invan potea
primeggiar sul Pelide. A lui secondo
farsi sdegnò. Ma mentre ei si divise
dall'implacabil Tessalo, le nostre
tende e la tua fuggía superbamente.
Muto severo, all'assemblea de' regi
sedeva, e il volgo interprete si fea
di quel fero silenzio. A suo talento

pugna, ed a tutta la vittoria a tutta
la lode anela: e deplorando i Greci
tratti a sterminio dalle risse inique
de' lor prenci, campione egli si vanta
sol della patria, a popolar licenza
e a tirannide occulta utile nome.
Ma con Achille gareggiava intanto
di forti fatti. E quando il truce eroe
ostinato nell'ozio, al greco nome
onte imprecava, e con gioia crudele
vedea fumar di greca strage i campi
sotto il brando d'Ettorre, Ajace apparve
propugnator comune, Ajace quasi
tolse al Pelide del valor la palma.
Ed ecco volti in lui gli sguardi omai
de' ribelli e del volgo, a cui sol manca
un condottier che contro noi lo guidi.

Agamennone -
Alta prudenza è in te. Forse talvolta,
inclito Ulisse, a stimar troppo altrui
ti persuade. -- Sorgeran ribelli?
Ma inerme forse è il nostro petto? o trema
di tanti regi nella man lo scettro?
Agamennon non tremerà. Fremea
l'oste dapprima a' miei comandi; apprese
poi mormorando ad obbedire: il tempo
ed io ben presto avvezzerem gli Achei
all'ossequio e al silenzio. Ajace segua
del Pelide l'esempio; esempio ei stesso
a tutti, ei solo insegnerà ch'io regno.

Ulisse -
S'io temo, Atride, in parlamento io temo;
in campo no, tu il sai: nè a me rileva
ch'altri il rimembri. Oh ben mi duol che un tempo
non inclinavi ad ascoltarmi! Antichi

ma veri avvisi io ridirò. Tu fidi
troppo nella tua grande anima invitta,
e nella fè de' regi, e nel tremante
ossequio delle turbe. Armata plebe
pria d'atterrir vuolsi ingannarla; e primo
non assoluto regnator tu sei.
Destan odi, timor, ira, e licenza
in tante schiere a lor talento i duci
che da' tetti paterni alla vendetta
del fratel tuo le han tratte a lunga guerra.
Mostravan tutti di seguirti in nome
della Grecia e de' Numi; e ognun correa
di fama avido, e piú delle opulenti
spoglie dell'Asia. In te pervenne il sommo
scettro, e Achille usurpò la gloria prima.
Quasi a vendetta del superbo, ognuno
te non amando t'onorava in vista.
Ma successor d'Achille oggi il piú ardito
sorge; e ne' molti in chi il valore è scarso
molto è l'orgoglio, e te che sei piú grande
temono e attizzan la discordia. Gli altri
dopo tanti anni di speranze e tanto
sangue e tesor per te consunto, appena
il giuramento ed il pudor costringe;
ma volti han gli occhi e il desiderio ai liti
ed alla pace de' lor vuoti regni.
Il troppo indugio omai svelò gli eccelsi
disegni tuoi. Già bisbigliar s'intende
che il pugnar per l'adultera è pretesto;
che ad ardua guerra oltre l'Egeo raminghe
le Danae genti a te sommesse adeschi
per usarle al tuo freno, e stender quindi
lo scettro tuo sovra la Grecia.

Agamennone -
E il lungo
dissimular finor mi spiacque; ed oggi

che giova?

Ulisse -
E tempo di svelar tua mente
e il tuo potere omai saria. Ma Achille
non rivive in Ajace? A' Salamini
congiunge i suoi saettator quell'acre
Ajace figlio d'Oileo che in petto
non ha virtú che di corrucci e sangue:
derisor de' mortali e de' celesti,
nè di patria gli cal, nè di fortuna,
nè di sè molto: forte nacque, e pugna:
d'Ajace è amico e sol per lui combatte,
e a lui baldanza il nome e la comune
stirpe degli avi accresce. Ajace in campo
non ha un fratel nato d'iliaca madre?
Di profeti, di vittime e d'eroi
invaso; ardente, credulo, facondo
sovvertitor de' popoli; ed a tutto
pronto, ed appena al suo fratel sommesso.
Ajace ha frigia sposa; in mezzo a noi
vinti e prigioni, è ver, ma in mezzo a noi
si stanno i prenci suoi congiunti; in Troja
han le lor armi. Ajace oggi d'Achille
venerator magnanimo si mostra,
oggi rimembra che di sangue avvinto
gli era e d'amor: ma un capitano manca
ai ribellanti Tessali d'Achille.
Che badi or piú? Valor, possanza e senno
è in lui. Tu dianzi sprezzator d'ognuno
e imprudente il nomavi. Oh non t'avvedi
che arte col volgo è il disprezzar chi 'l regge?

Agamennone -
Disprezzar me?

Ulisse -
Di quante armi si cinga

tu il vedi; e tempo aspetta.

Agamennone -
L'ira mia
armi, consiglio, ardir, tempo e speranza
gli rapirà.

Ulisse -
Ma non la fama. Il sangue
temi, se il versi venerato e pianto.
Al volgo che ama, e invidia e anela a un tempo
di conculcar gl'idoli suoi, sospetti
rendili, e vili; e avrai dall'altrui ferro,
senz'odio tuo, vittime inulte.

Agamennone -
Indegni
mezzi, e soverchi or che col brando impero.

SCENA IV

Agamennone, Ulisse, Teucro.
Teucro -
T'onori Giove, o re de' forti.

Agamennone -
A Dio
mal s'obbedisce e al re. Dall'alba indissi
la pugna. Or so che il popolo paventa
vani presagi. E a che tardate a indurlo
a obbedienza ed a timor piú sano
del vostro scettro? o pari al volgo i duci
credono spento col Pelide in noi
ogni valor?

Teucro -
Vive in noi sempre. E il campo
riede a fidanza. Delle Danae genti

e de' Celesti messaggiero io vengo;
e le fatali chieggio armi d'Achille
per Ajace.

Agamennone -
S'arroga egli quell'armi?

Teucro -
Non ei; d'Achille ancor siede al sepolcro
presso l'onda sigea. Quivi gli piacque
dimorar solo e piangere l'amico,
da cui disgiunto mal suo grado ei visse.
Or lo chiama e lo placa, e a lui sotterra
manda gemendo omai l'ultimo addio.

Ulisse -
Tu, dunque, o Teucro (e generoso amore
ti sprona) estimi delle sacre spoglie
degno il fratel.

Teucro -
Degne d'Ajace il grido
universal de' popoli le stima.
Già il terror concitava ed il desio
del patrio suol gli Argivi a dar le navi
all'Oceano ed alla fuga. I soli
Mirmidoni anelavano alla pugna
per immolar Trojane vite all'ombra
del lor signore: e prosternati intorno
alla fumante mal estinta pira
tutti giacean ferocemente muti.
Or quando udiro del ritorno, un grido
dier terribile, e mille aste brandendo
tutti ad un tempo sursero da terra;
e prorompean nel vallo che circonda
de' prigioni le tende. Uscí Tecmessa
dal padiglion del padre: « Io son, dicea,
moglie d'Ajace; de' figli d'Ajace

madre son io: sorella io sono, e figlia
de' prenci inermi che volete al rogo
sacrificar ». -- Pudor li vinse, e il nome
del forte; e incerti, immobili sul vallo
ristettero. Fremendo indi dier volta
e la minaccia ritorcean su l'oste
a impedirgli la fuga. Ira al terrore
sottentrava ne' popoli. Ma in mezzo
Calcante apparve, e rivolgendo gli occhi
la riverenza per gli Dei diffuse.
« Ilio cadrà, gridò il profeta; i numi
lo edificaro: alle armi, opra de' numi,
il sacro Ilio cadrà ». Levò le palme
Febo adorando e il cenno alto del Dio:
e il pugno intanto degli Achei piú lente
brandia le spade che volgeansi a terra.
Chiamano Ajace a un grido solo, Ajace
degno dell'armi e domator di Troja.

Agamennone -
Giovine, ardita inchiesta movi. In mente
de' numi è ancor di chi fien l'armi. E tale
è il scettro mio, che a me serbarle io sdegno.
Ma se Ajace, o se duce altro le merti
tumultuante giudice la turba
forse udirò? Nell'assemblea de' regi
starà l'arbitrio o in me. -- Me primo elesse
esecutor de' suoi consigli il cielo.

Teucro -
Turbato parli, o re; che Ajace l'armi
al par di te forse non curi estimo;
non però so che viva altro mortale
atto a vestirle.

Agamennone -
Un altro araldo all'Augure
voli, e lo sdegno del suo re gl'intimi.


SCENA V
Ulisse, Teucro.
Teucro -
Ira e minaccie! Tanto dunque il nostro
obbedir lungo, e i detti tuoi fors'anco
fan piú superbo Atride? Or sia: men tarde
fien e piú giuste le vendette nostre.

Ulisse -
Atride meco secondava i fati.

Teucro -
Tu il dici.

Ulisse -
Premio eran quell'armi al duce
che piú funesto guerreggiasse i Teucri
nella vegnente notte. Il re supremo
non può senz'odio favorir la fama
d'un guerrier solo. Armi, livore, e tempo
han molti, e campo d'alleati è questo,
di forti e vili. E credi tu che l'oste
oggi a caso imperversi?

Teucro -
Di te solo
che temi ogni uom, spesso a temer mi sforzi.
Anzi che indurre occulto odio e sospetti,
chè non palesi i traditori e il vero,
se il sai? Palesi allor saran gli sdegni:
allor le furie drizzeranno i nostri
brandi a punir le scellerate teste.

Ulisse -
E piú palesi alla città nemica
le forsennate risse nostre allora
saranno. Omai tempo parea, che l'Asia,
finor dal nostro parteggiar difesa,

cadesse; e il fato e la vittoria piena
stava in Ajace; ed eran sue quell'armi. --
Già al suo fine è la tregua: e all'odio, aggiunto
fia l'ardire ne' Teucri. Ombra d'Achille
sorgi tu almeno ad atterrirli! Vedi;
dell'armi tue contenditor facondi
siedon gli eroi... Ma tu vivo eri fiamma
che arder volevi in civil guerra il campo.
Del valor tuo lasciasti eredi; meco
parlano, e son del tuo furore eredi! --
Ma che piú sto! Solo al fero cimento
n'andrò...

Teucro -
Tu solo?... e dove?

Ulisse -
Or, poi che Ajace
è lunge, andrò con la mia schiera io solo.

Teucro -
D'Ajace or forse ami la gloria tanto? --

Ulisse -
E lo amerò sei m'odia?

Teucro -
Mai di te
non parla.

Ulisse -
E forse nè piú mai vedermi
dovrà. Per voi corro a non dubbia morte.

Teucro -
Or che ti fingi?

Ulisse -
E troppo dissi. Or vivi

col favor degli Dei, Teucro, che il merti:
se la mia morte o il mio trionfo al campo
non si palesi, questi ultimi detti,
ultimi forse... taci. Arcana è l'opra
ch'io tento. Ajace sdegneria d'udirmi.
Avverso a lui come sarei, se in lui
gran parte sta della fortuna Achea?
O! se queste dell'armi insorte gare
l'imminente battaglia oggi non frena,
vedrai tu allor tutti i nemici veri
di tuo fratello e quanta ira di parti
e ambiziose trame in parlamento
guerreggieran per quelle spoglie, e in noi
le volgeranno.

Teucro -
Oggi si pugni: resta
tempo e petto ad Ajace, ove conteso
gli fosse il premio.

Ulisse -
Guerre, infami guerre! --
Quindi piú onesto or m'è il periglio. Mie
l'armi saran, se vinco io solo... Ah! solo
perir degg'io co' miei guerrieri. -- Ajace
plachisi almen! -- con l'ombra mia si plachi...
ma e che? Placarvi! O voi chi siete?

Teucro -
Irato
parti?

Ulisse -
Meco m'adiro.

Teucro -
E di che pugna
parli?... ristatti. --


Ulisse -
Il dir teco non giova.
Ch'io non ti mento il mostri l'opra.

Teucro -
Aggiri
tu i re in congresso, ond'io non t'odo; e sembri
degli altrui merti insidiator. Ma in campo
tu se' mente divina, e Palla è teco.
Quivi mi scorgi; io pugnerò.

Ulisse -
Il tuo brando
che pro se l'ora fugge?

Teucro -
Ah parla! Incerto
sto s'io ti creda; ma pietà e rossore
mi vince se a cimento orrido corri
tu per la patria e non t'ajuto.

Ulisse -
E certo
chi mi farà del tuo silenzio?

Teucro -
Ai fati
del popol Greco, e sul mio brando il giuro.

Ulisse -
Delle rocche l'assalto Agamennone
ad Ajace commette; ardua e mal certa
fia la vittoria, ove distolti i Teucri
non sien dal muro: io d'aggirarli elessi.
Opportuno all'intento evvi oltre il Xanto
selvoso un giogo; e mel fe' noto Reso
quando notturno il colsi. Ma di scudi
grave e d'usberghi è il mio stuolo impedito

nè basta; aggiunger ben poteva Ajace
i saettieri tuoi, spediti al corso,
atti a' boschi e agli agguati. O Teucro! teco
pugnava Ulisse allor... -- Ma vedi; il sole
rapido s'alza; i padiglioni vostri
discosti troppo, e anche piú lunge è Ajace:
nè a dargli avviso omai ora ne avanza:
ma quando pur... d'un traditor pavento
che a' nemici il palesi... Addio; gran tempo
vuolsi a raccorre i miei...

Teucro -
Fien pochi a tanta
opra. Se a te corre il nemico, a stento
non sarai vinto. Dal Sigeo tornati
meco son dianzi i saettier; qui presso
stanno; ratte ed occulte orme terremo.
Da te sappialo Ajace; ov'io poi giunga,
gli farò noto degli agguati il loco.
Frattanto i tuoi raduna, e per diversa
via m'aggiungi. Maligne voci spesso
tentan contro di te l'alma d'Ajace;
smentirle or puoi... Ma già ti penti... E t'odo?
Fosti leal tu mai?

Ulisse -
D'Agamennone
tal detto udimmo... nol cred'io... Ma quando
arbitro di quell'armi il parlamento
fosse pria della pugna; ove tu parta
fra quanti emuli suoi non lasci Ajace?

Teucro -
Tu pur rimanti emulo suo. Per lui
pugna il consenso degli Achei; la mente
per lui de' fati, e la sua fama. Intanto
chi per la patria pugna? Io per voi tutti,
e a far piú certo il guiderdon d'Ajace,

combatterò. Tu lode avrai s'io vinco:
me s'io non riedo, piangeranno i Greci,
che vinto a voi non tornerò. -- Ma l'ora
precipita. Tu il dici. A divisarmi
pregoti il loco, il tempo e il modo.

Ulisse -
Vieni:
Dio sarà meco; pari al brando hai senno,
e tua virtú magnanima mi sforza.
... Pur...

Teucro -
Che piú ondeggi?

Ulisse -
I figli miei rammento
se alla comun salute offrir la vita
vedo giovani egregi. Oh quanta speme
precideresti, o giovinetto, a noi
e al venerando padre tuo canuto!

Teucro -
Pronto al sepolcro ed alla gloria io vivo!
O Telamone padre mio! Richiami
forse alla tua reggia deserta i figli.
Ma s'io perissi, il minor figlio perdi.
A' greci e a te rimane invitto Ajace. --


ATTO SECONDO

SCENA I

Calcante, Agamennone.

Calcante -
Canuto, inerme, il tuo potere io temo,
ma piú il cielo, e l'infamia.

Agamennone -
E non ti armavi
tu dello scudo, e del furor di Achille?
Nè quell'insano, o imperversar di plebe,
nè le bende divine onde t'ammanti
t'eran difesa: quelle bianche chiome
e il tuo pallore di pietà m'han vinto.
Tremende or fai l'armi d'un'ombra, e nuovi
Achilli al volgo, profetando, accenni?
Qui, dove io sto, qui dove io t'odo e tremi,
stanno numi ed altari, e questo è loco
a men astuti oracoli. -- Rispondi;
l'armi d'Achille a chi prepari?

Calcante -
Il vero
in me difese Achille; il ver che giova
alla salute degli Achei: deh come
tu, cui temono tutti, il vero temi!
Dirlo or dovrei difenderlo non posso.

Agamennone -
Vecchio, presagi a te non chiesi; i lieti
spregio e gli avversi: al detto mio rispondi:
l'armi d'Achille a chi prepari? -- Taci? --
Ov'è il tuo ardir? -- Mi tralucea la trama;
or la discerno. Ahi frodolento! ardire
non hai tu dunque di nomarmi Ajace?


Calcante -
Al grande Ajace i figli degli Achei
dier l'ardue spoglie; io no: che a lui funesta
e a noi di pianto e a te d'infamia forse
temo la troppa sua virtú sublime.

Agamennone -
Ah tu l'esalti, oggi che è polve e larva
la tua vantata deità d'Achille;
oggi un campion ti vai mercando, e il pasci
d'orgoglio, e di fatali armi lo cingi.
Le torte vie che a vendicarti apristi,
in onta tua ricalcherai. Ritorna
in campo, e le armi rendi vili al volgo. --
Che stai? -- Le palme al cielo tendi; e immoti
gli occhi a me volgi? -- Mi ubbedisci: o eterna
notte starà sul guardo tuo che al cielo
furar presume l'avvenire e i fati.

Calcante -
Però men temo chè piena imminente,
non la tua, la divina ira discerno.
Re de' regi, t'arresta. Audaci modi
assumo e tu mi sforzi: io troppo vissi. --
L'ufficio mio compiuto era dal giorno,
che condottiero a tanti re ti elessi:
veraci e sante le parole mie
t'erano allor che per l'ignoto Egeo
attraverso le folgori e la notte
trassero tanta gioventú che giace
per te in esule tomba, o per te solo
vive devota a morte. Oggi mentito
accusi il Dio che il ver m'inspira. Ah! gli anni
lunghi ch'io vissi tra le gioie, il lutto,
gli errori, i vizi e le virtú di tanti
forsennati mortali, il ver sovente
m'insegnano. Sciagure oggi e delitti
ben presagir poss'io, poi che pur sempre

colpe e sciagure rinascenti io veggio
e voi piú ch'altri, voi, l'invidie, gli odi,
l'orgoglio vostro, e le trame, e le furie
mi siete numi, e l'avvenir mi aprite.
Divinità, che dal sen mi prorompe
e mai quetar per lagrime non posso
è il dolor mio; speme e pietà lusinga
mi fanno, e parlo. Or gli ultimi consigli
ti mando al cor. -- Ajace avi e valore
vanta comuni al generoso Achille,
e implacato, magnanimo, mortale
in ogni impresa che alla patria noccia
l'avrai nemico: ma guerrier sublime
per la tua gloria ei pugnerà, se a gloria
piú che a possanza, o Agamennone aspiri.

Agamennone -
Gloria!... Indistinti tu mi davi, eterni
di parricida e re de' regi i nomi.

Calcante -
Misero re! Pur mi vedesti assiso
sull'altar della Dea, l'intera notte,
disdir l'orrendo sagrificio: e quanto
te scongiurando e abbracciando non piansi!
Piangevi tu, ma non mi udivi. A' tuoi,
a' fidi tuoi, prezzo del sommo impero
vittima davi Ifigenia. Per essi
del terror delle Erinni ardean le schiere
e a nudi brandi intorno mi fremeano
pallide, atroci, e deliravan sangue,
che le infernali Deità placasse.
Dell'innocente giovinetta il crine
coronò il fratel tuo; gittò sovr'essa
il vel. Con fredde mani ella le mie
strinse, al cielo mirando. Io te mirava
e ancor credea che tu padre saresti!
Raccapricciando ritraevi il volto,

e il tuo scettro tremante la bipenne
accennavami... eterno in cor mi geme
della morente vergine il sospiro! --
Tu regni; in pianto e nel rimorso regni:
nè avrai nuovo poter senza novella
vittima.

Agamennone -
Al dolor mio vittime voglio.
Questo infamato scettro, ecco, vel rendo:
tremar vi fea; calcatelo. Ch'io possa
me stesso almen non abborrir! -- Io tutti
punirò meco. Le viscere arcane
mi sbranano l'Eumenidi. Ma voi
astuti, sconoscenti, invidi prenci,
che a scerre un dí tra la mia figlia e il trono
pur mi traeste, siate avvinti al giogo
del parricida Agamennone.

Calcante -
Amaro
pianto i celesti move. E allor la Grecia
liberator ti ha venerato; e placa
di tutto il sangue de' suoi figli l'ombra
d'Ifigenia; e ancor ten resta il merto.
Ah bada, o re, che insultator dell'are
e della patria libertà non forse
ti creda un volgo aspro, a' delitti pronto,
nè ancor dai vizi maturato al giogo.
Or nume è Achille: a lui la fama diede
origine celeste, armi fatali,
e tu il chiamavi un dí germe di Giove;
e in lui certo splendea parte del cielo!
Poscia che al lutto degli Achei rapita
la polve dell'eroe fu dal sepolcro
correano a fuga, a terror a tumulto.
E chi potea, tranne quell'armi e il nome
renderli a speme e a' cenni tuoi sommessi?

Tu temi Ajace: re potente sei,
ei nullo invidia, ei non t'adula, e il temi?
Altri l'immensa ambizïon ti pasce,
dell'invidia la rabbia altri rovescia
dal proprio cor nel tuo. Temi chi il nome
odia d'Achille, e la virtú d'Ajace.
Te solo un dí, te d'ogni eroe deserto,
affronterà l'assalitor tuo vero.
Col ferro no: con la notturna frode
le querele eloquenti e la faconda
calunnia tutti a sgominarti il trono
moverà i federati. Ardi, soggioga
l'Asia: di schiavi barbari e di regie
spoglie trionfa. -- Alle fraterne greche
terre e a' lor numi abbi rispetto, Atride.

Agamennone -
Oggi o non mai fia manifesto al mondo
che fin ch'io spiro e ch'io vedrò la terra
me i Greci sempre obbediranno; e tutti.
Anche il mortale che nè amar nè odiarlo
vorrei, che forse me non odia... Ajace...
primo cadrà se a me non serve. -- Gli altri?
O vili o insani o perfidi son tutti.
Traditor mille io veggio. O umana stirpe
nata a ingannare ed a tremar! Ma infame
fia il traditor che mi farà piú forte.
Indi a mio grado io spezzerò que' vili
stromenti, allor che rammentarmi il nome
non s'ardirà d'Ifigenia. Me solo
giudice avrò, carnefice me solo.
Ma voi, chinate gli occhi vostri: io sdegno
lagrime, e lodi; il terror vostro io voglio.


SCENA II

Agamennone, Calcante, Araldo.

Araldo -
Ajace re de' Salamini

SCENA III

Agamennone, Calcante.

Agamennone -
In volto
mi vedrai l'onta del dolor, tu solo. --
Trema, piangimi, esecrami, e obbedisci.

SCENA IV

Calcante.
Calcante - ...
Gli prorompean le lagrime! -- Ma dentro
l'ambizïon co' suoi rimorsi ei pasce;
misero! -- e il cielo provocando, il teme.

SCENA V

Calcante, Ajace, Guerrieri.

Calcante -
A che sí cinto di guerrier t'appressi
al padiglion del sommo duce?

Ajace -
È tenda
o reggia questa? Ecco novelli armati
minacciar dalla soglia. Omai non deggio
venir, qual pria guerrier sommesso, a duce
che barbarico fasto, e d'assoluto

signore i modi assume. Odami dunque
qui favellar da re.

Calcante -
E andrai tu, o figlio,
attraverso il civil sangue a ritorti
l'armi che forse... nè a te solo ei niega?

Ajace -
Che la vittoria al sovrumano Ettorre
il mio brando rapisse, e ch'ei mi basti
ho testimoni i Greci, i Teucri e il sole.
Ma d'un eroe l'eterna ombra e le spoglie,
per cenno degli Dei, reputa il campo
funeste a Troja; e me liberamente
acclamando ne veste; e nuovo ardire
quindi il fuggente esercito rinfranca;
e v'ha un duce che il vieta! Esso in Achille
e in me i popoli spregia; esso che vede
che ad atterrir possente arte è il disprezzo,
e che al terrore servitú succede,
Amar ben deggio e deplorar gli Achei,
fidarmi in lor non posso. E chi corrompe
piú sempre ed arma di superbia e d'ira
il cor pria sí magnanimo d'Atride,
chi, se non tutti noi, sempre tra il giogo
e libertà perplessi? Odio, querele,
nell'avvenir cieca fidanza, i nostri
schermi son questi. Ma l'insulto mio
oggi n'è prova che il servaggio cresce,
e v'ha forse chi l'ama. Atride, e i suoi
abbian tal prova omai, che, se ognun trema
in me la patria e la sua forza vive.

Calcante -
I fati, la tua gloria e il nostro scampo
stan nell'eccidio de' Trojani. Impresa
unica, prima, e al valor tuo commessa

fu questa sempre, e or piú quando il Pelide
torna al cielo onde nacque. La fatale
religion della sua spada a' Greci
è necessaria; non a te, cui largo
fu d'egual possa Iddio. Vero di Troja
espugnator ti mostra, e al re la via
dell'assoluto dominar fia tolta.
Tal che il teme non l'ama; altri t'invidia,
e a lui s'attien; tal che di vil favore,
d'oro e di speme s'alimenta, il piaggia,
e il tradisce. Mal vedi in tutti gli altri
spenta virtú. -- Ma e quando amino il giogo
qual Dio, qual legge ti dà il dritto a sciorre
chi in obbedir trova sua pace? Or mentre
è dubbio il danno, un regnator che tante
schiere corregge da gran tempo, e a cui
la maestà del sommo imperio i cieli
diero e la forza, affronterai? Se cadi,
piú poderoso infierirà. Ma intriso
di cittadina strage, ove tu vinca,
vincer dei poscia la licenza e il volgo. --
Ahi burrascosa libertà, deh come
spesso l'anime eccelse a disperato
furor strascini!

Ajace -
Fortunato vecchio
quasi dall'alto dell'Olimpo miri
noi tra i delitti e il sangue, onde sei puro;
e con amor di padre, indarno ahi! guidi
le nate a delirar menti mortali.
Ma in te pur senti e in tua virtú la pace. --
Io con ben altri sacramenti venni
a questa infausta guerra. Anima e fama
toccando le frementi urne degli avi,
alla patria votai. Splendea negli occhi
terribil gioia al padre mio: dal capo
suo venerando il diadema, ond'ebbe

gloria di giusto re, trasse e mel cinse.
E a che questa corona, a che il mio brando,
a che la gloria delle mie ferite,
s'io, la mia patria e i miei guerrier, quand'arsa
Troja pur sia, servirem tutti a un solo?...

SCENA VI

Ulisse, Calcante, Ajace, Guerrieri.

Ajace -
... Ma parmi?... o il sir degli Itacensi scorgo
a noi venir? -- Guata da lunge: e aperta
gli è la tenda d'Atride...

SCENA VII

Calcante, Ajace, Guerrieri.

Ajace -
E a me piú a lungo
sarà preclusa? Egregi modi in vero
d'un condottier di re! -- olà s'accosti,
argive guardie, una di voi. -- Va; reca
al tuo signore che di lui soverchio
aspettar qui s'è fatto, e che precorri
l'orme d'Ajace.

Calcante -
Odimi, deh! per poco
indugia almeno il tuo proposto: almeno
pria rischiara la notte ove ravvolto
altri sta, e donde ogni tuo passo esplora.
Dell'alto cor d'Agamennon non temo:
ma un traditor non mancherà che il sire
primo aggirando alla perfidia il tragga:
forse illusi o atterriti il ferro i tuoi
t'immergeranno: a libertà tu forse

prime e innocenti vittime, tu stesso
li svenerai...

Ajace -
Tu parli d'imminente
periglio;... siegui. -- Mi contempli e gemi?

Calcante -
Ahi sciagurati ahi sciagurati Achei! --
Ajace - Dal re venivi... di pietà confuso
eri... -- Pur taci?

Calcante -
Ajace al mio silenzio
abbi rispetto!

Ajace -
Orribile un arcano
io leggo già sul tuo volto smarrito. --
Onta resti a chi teme illustre tomba.
Già i miei fati m'incalzano: se fissa
han la rovina mia, tu pur che m'eri
e padre e specchio di virtú fra tanta
comun viltà, tu i fati miei seconda.

Calcante -
L'ara al trono s'appoggia: empi e innocenti,
leggi ed altar seppellirà s'ei crolla.
Re giusto io bramo e qual pur sia l'onoro:
ma non sarò di tirannia ministro.
Io gemerò, le dolci aure del cielo
abbandonando; ma i miei dí trascorsi
fede a me fanno che da giusto io vissi:
morrò da giusto e lo dirà il futuro. --
Se invan t'esorto, avrai il mio pianto. Addio.


SCENA VIII

Ajace, Guerrieri.

Ajace -
De' suoi terrori il fatal vecchio, oh come
m'innonda! -- Afflitto in me gli occhi volgea
come il mio padre al partir mio... Ahi lutto
de' miei canuti genitor s'io pero!
Il cor mi trema? -- La mia destra indarno
lo reprime: pur trema! E quando mai
tu paventasti? e or donde? -- O cor mortale
trema: chè immota pura alta ho la mente.
Andiam... Pur non vo taccia io di ribelle
provocator. -- Ite al mio campo, o forti
figli di Salamina.

SCENA IX

Ajace.

Ajace -
-- Eccomi solo:
ho il mio coraggio e la mia gloria meco. --

SCENA X

Ajace, Agamennone, Ulisse.

Ajace -
Signor, te a lungo attesi; e a te veniva.
Ragion dell'armi e del divieto io chieggio.

Agamennone -
Illustre figlio di Laerte, i regi
sien convocati. Principe Nestorre
sieda: ed intimi i miei decreti al campo.


SCENA XI

Ajace, Agamennone.

Agamennone -
Signor, m'ascolta. Noi finor divisi
fummo: te indusse inopportuno zelo
de' dritti altrui; me non ingiusto orgoglio.
Non parve a me finch'ebbi avverso Achille
persuaderti alle mie parti, quasi
debole io fossi. Il tacer nostro acerbe
parer fa l'ire; ed oltre al ver le narra
tal cui giova innasprirle. Ch'io paventi
di te nè d'altri, nol presumi, io penso;
ma ch'io t'onori in te medesmo il senti
che sai quanto il valor pregia il valore.
Nè ti chiedo amistà. Son tale omai,
che mentre il mondo m'obbedisce e ammira,
nessun può amarmi; e tu men ch'altri: credi,
talor non sono io di me stesso amico.
Ma vo' aperto il tuo sdegno, onde non forse
a te, ben piú che a me torni funesto.

Ajace -
A te, signor? Se alle paterne leggi
tu sei custode; se pietà del nostro
sangue teco versato e amor di vera
fama ti vince; a me funesto o a Troja
sarò...

Agamennone -
Ma intanto abbiam trofei le tombe
che la discordia empia di greche vite:
cosí il Pelide avverò i fati, e Troja
cosí atterrò! -- Nè prima ebbe la Parca
con lui tronche le sette, ecco novello
terror d'auguri: ecco le armate gregge

pervertite alla fuga; e la sua spada
in mezzo al campo guiderdone eretta
a chi fia piú ribelle, e a te commessa,
a te...

Ajace -
Se intendi appormi insidie vili,
cessiam; nè udirti nè scolparmi io deggio.

Agamennone -
Cieco nel tuo valor corri sull'orme
ov'altri te precipita. Nè i soli
tuoi settatori: ogni emulo, e il piú atroce...
se n'hai... tal larva di virtú mostrarti
può, che per essa ver me reo ti faccia.

Ajace -
Consigli odo, o minaccie? Io del divieto
ragion dianzi ti chiesi.

Agamennone -
Agamennone
minaccia oprando. -- Or piena odi ragione.
Nell'arbitrio de' regi a me quell'armi
trasferir piacque: altri le merta forse
o lo presume; ivi contendi. Troja
mai non cadrà, mai per l'acciar d'Achille.

Ajace -
Eternamente odierai dunque Achille?
Ma tue vendette primo ei non assunse
giovinetto in Epiro? Avea di genti
nerbo e tesori, e fama, e onnipotenza
tal di valor, che attonita la Grecia
suo lo sentí dominator futuro.
Pur te in Asia seguiva, e me v'indusse
me difensor di picciol regno, e speme
unica quasi di cadenti padri.


E chi tentò scettro serbarti e figlia?...

Agamennone -
-- Che ogn'uom mi versi quel sangue sul volto!

Ajace -
... Fremi?... Obbliate cose io mi credea
rammentarti, obbliate; e da gran tempo.
Ma e chi volea scettro serbarti e figlia
se non Achille, Palamede ed io?
Di Marte no; della calunnia preda
fu Palamede. Poscia il cor d'Achille
caldo d'amore e di gentil fierezza,
d'atra ingiuria piagasti: orrido, amaro
si fe' quel cor sí liberale in pria!
Pur in te, benchè ingiusto, accolta io vidi
la maestà de' patri numi; e Achille
orator tuo m'udí; da me sostenne
veraci, forti udir regie parole.
E a chi d'avi e d'amor fratello m'era
per te infido sembrai. -- Sdegnosamente
o fratel mio, forse or mi nomi all'ombre
di lor che teco divorò la guerra!

Agamennone -
Pur me fuggivi.

Ajace -
E tu il volevi. Cupo
solitario, assoluto, in te ogni dolce
senso a studio palliasti. A pochi aperto
fu il padiglion ch'era a principio albergo
d'accoglienze, di gioia e di conviti,
ove la fede e l'amor patrio e tutte
virtú guerriere avean premio ed esempio.
E a che miri? ad estinguere la fiamma
onde le anime greche arde natura?
Serperà obbliqua torbida. Tendea

piú che al racquisto d'Elena, e tu il sai,
questa impresa, a sviar l'armi civili
sovra barbara terra, e tu l'oltraggio
tuo vendicando e del fratello, addurle
a concordia potevi ed a trionfi:
che brando e mente e altero animo saldo
ti dier le sorti; e il tuo mortale aspetto
spira la luminosa ira di Giove.
Ma le tue doti a noi che pro? per esse
vedo piú sempre conculcata l'alta
dignità dei mortali, e dar lor nome
di greggia... A te venir dunque io dovea
ammonitor, complice o servo? -- Tutte
poi che tu il brami, eccoti aperte, o sire,
le cagion del mio sdegno. -- Intanto l'armi
tremende ad Ilio, e care a Greci, e illustri
io sovra tutte estimo, e perchè degno
men credo, ai re le chiederò. Novello
rito a me sembra che altro duce regga
il parlamento, e te lontano, forse
tal avviso si elegga onde t'incresca...
Ma inviolato a me sarà il decreto
qual ch'ei pur sia de' regi: ov'altri il rompa,
a vendicarlo io nuoterò nel sangue.

Agamennone -
Signor, te aspetta l'assemblea.

Ajace -
Potremo
i nostri fati oggi discerner.

Agamennone -
Oggi.

ATTO TERZO

SCENA I

Ulisse, Araldo.

Ulisse -
Dunque nel tempio ei siede? E vi salía
sí conturbato che appressar non l'osi?
Or va: me solo il tuo signore attende: --
... pur ti soffermi appiè del colle?

Euribate -
Il sire
scende.

SCENA II

Agamennone, Ulisse, Araldo.

Agamennone -
Euribate, il campo mio precluso
a tutti sia finchè sta meco Ulisse.

SCENA III

Agamennone, Ulisse.
Ulisse -
Sciolto è il consesso, o re de' re.

Agamennone -
L'evento?

Ulisse -
Dubbio.

Agamennone -
Dubbio!


Ulisse -
Sedeano i regi, e surto
Nestore primo dal suo trono indisse
nullo il suffragio popolar. Le schiere
silenziose agitavano i brandi
tutte intente al profeta. Ei le pupille
or lagrimose, or timide, or ardenti,
finchè l'ostia fumava agli immortali,
mai dal ciel non togliea. Fattosi quindi
imperturbato nel sembiante grida:
« Eroi chiedete ai re l'armi fatali » --
nè piú fe' motto: con la fronte al petto,
solo, e raccolto in sè, muto sedeva.

Agamennone -
Disdirsi a' Numi non s'addice; e sia:
ma tacciano.

Ulisse -
Nè alcun l'armi chiedea.
A Idomeneo possente re, la gara
dubbia o indegna mostrai, Nestore infuse
orror di risse ne' suoi figli. Opporre
e gloria e petto e il suo parlar facondo
potea il gagliardo Diomede a tutti:
gli membrai che al Pelide emulo aperto
visse; e bramarne l'armi onta gli fora.
Stenelo e i pari suoi fulmini in guerra,
in assemblea son dubitanti, muti.
Agevolmente io li ritrassi.

Agamennone -
Adunque
tu in consigli converti ogni mio cenno.
A ciascheduno di que' re t'imposi
di dir che Ajace m'increscea: bastava.
Se il favoriano, ogni sentenza io solo
ad annullar non basto? E a che gli obbliqui

raggiri omai se non a far piú ardito
chi piú mi teme? All'invidia, all'orgoglio
di molti io volli aprire il campo. Achille
abbiasi eredi, tranne Ajace, tutti.

Ulisse -
Che? nè guidar, nè disunire i voti,
comandarli volevi? A te sommessi
qui ad uno ad uno i regi avrai: ma uniti,
se un solo a trarli di timor s'appresta
quel solo udranno. Ed ogni tuo comando
nuovi sospetti contro te, suffragi
aggiugnerà ad Ajace. E a che ridesti
le loro forze? debole ti mostra;
sien indolciti; allor gli assali. L'arte
spregiasti ognora; e dalla forza Achille
domo non fu: tremenda oggi la sua
ombra co' regi e con Ajace stava;
non m'atterrí, l'armi sue chiesi.

Agamennone -
Quindi,
e mel previdi, rimovevi ogni altro.

Ulisse -
S'altri l'audacia, l'eloquenza, e l'arti
frenar potea del tuo nemico, ascolta:
già percorreva l'assemblea con gli occhi
tranquillo in vista, e gli esultava l'alma
che gareggiar con lui nessuno ardisse:
udimmi, e n'arse: indi com'uom che scorge
trame e le sprezza, in me ritorse un ghigno...
mentr'ei favella, piú il popolo accalcasi
al recinto dei re. Quando una voce
ripetuta da mille esce dal campo:
« L'armi a colui che il corpo del Pelide
rapí al trionfo de' Trojani ». -- « Meco
lo serbò Ulisse » grida Ajace, « meco,

ed al trionfo di maggior nemico ».

Agamennone -
E chi ardiva ascoltarlo!

Ulisse -
Il nome tuo
non proferí. -- La gloria degli eroi
esser dicea sprone al valore, e scudo
alla paterna libertà. Doversi
quindi l'armi commettere e la fama
del figliuol della Diva a chi macchiarle
mai non potria nè torcerle a periglio
piú della patria che del teucro regno.
Ch'ei condottier di poche genti a' Greci
ombra dar non potea. -- « Dal padre mio,
(gridò) che già l'antico Ilio distrusse
il nuovo appresi ad espugnar ». -- Successe
alto un silenzio, e alla risposta io mossi.
Ma tutti gli occhi alla sigea marina
si conversero. All'oste ancor parea,
quando il gel della rotta entro le navi
addensava gli Achei, veder sul vallo
fra un turbine di dardi Ajace solo
fumar di sangue; e ove diruto il muro
dava piú varco a' Teucri, ivi attraverso
piantarsi; e al suon de' brandi onde intronato
avea l'elmo e lo scudo, i vincitori
impaurir col grido; e rincalzarli
fra le dardanie faci arso e splendente,
scagliar rotta la spada e trarsi l'elmo
e fulminar immobile col guardo
Ettore, che perplesso ivi rattenne
dell'incendio la furia onde le navi
a noi rapiva ed il ritorno. -- O fosse
che il raccapriccio del passato danno
tuttor invada i popoli; o che cieca
gli attizzasse una trama, essi concordi

nel clamore, ne' fremiti, nei cenni
quel dí membravan.

Agamennone -
Stupefatto il membri,
parmi... tu. -- A farmi piú tremendo Ajace
forse?...

Ulisse -
Pur oggi a me dicevi, o sire,
che tu lo ammiri. E lodator suo primo
m'udir gli Achivi, e mi si fer piú intenti.
Ma infausto dissi ogni valor che sdegna
leggi; e leggi e vittoria e pace a un tempo
starsi omai nel tuo soglio. -- Al primo grido
tornò la turba: « Date l'armi al forte
che le serbò ». -- « E son pur mie, sclamai,
mie, dal mio sangue a voi serbate; meco
ma non già primo difendeale Ajace.
Ei sugli omeri suoi trasse l'estinto
eroe presso le tende. Ah! ch'io mal fermo
per antiche ferite, e allora esangue
di stral confitto al sen, come potea
quella gran salma gravissima d'armi
assumer io? » -- Mostrai il mio petto; e inerme
qual tu mi vedi io stava.

Agamennone -
O mal conosco
Ulisse; o tu nell'adunanza a un tempo
eri e tra il volgo; e ordisti quel clamore
dell'armi.

Ulisse -
... Mio... nè il negherò fu in parte.
Ma e Teucro ov'era? in assemblea nol vidi.


Agamennone -
Teucro! -- Non v'era?

Ulisse -
Ei no. Ben il Locrese
Ajace armato di tutte armi e ritto
stavasi i voti subornando. E ombrati
già sul poter tuo troppo erano molti,
e aveano eletto in lor pensiero Ajace.
E i suoi guerrieri, e i Tessali quel nome
acclamavano. A un tratto il nome mio
gridar odono i prenci; e i Salamini
insultar gli Itacensi: e vider l'aste
de' Mirmidoni balenar sul capo
alle Argive tue squadre. Muto stava
Calcante: e incerta fu dei re la mente. --
Allor partito necessario estremo...

Agamennone -
E qual?

Ulisse -
Preaccennato io te l'avea...
Sagace a te, ma poco regio parve...

Agamennone -
Che agli stranieri prigionier la lite
si deferisca? -- Arti non mie. Me dunque,
me primo, e solo omai giudice avrete.
Che re? che schiere? che profeti? Atride
alfin voi tutti acqueterà: e voi primi,
voi nelle vostre ambizïon discordi,
voi che movete il volgo, indi il temete;
ei se ne avvede.

Ulisse -
Ajace spegni... e Ulisse
dunque: incitate abbiam le schiere entrambi.

Sei tu sí forte? A' tuoi nemici in preda
bensí puoi darmi, e contro me la turba
ch'io per te mossi irriteranno. Oh! speri
senza il volgo domarli, e che te solo
il volgo segua finchè gli altri ammira?
Intempestiva autorità palesi,
o re, se a un tratto la sentenza annulli. --
A' prigionieri occulto un cenno ingiungi:
miseri sono, e obbediranno.

Agamennone -
Abbietto
partito... -- e piacque?

Ulisse -
A tutti no. Ma quete
cosí vedean le risse. Indizio n'ebbe
da me Nestorre; ed egli in ciò non vide
che amor di pace: ed il partito ei stesso
commendando propose. Ebbe l'assenso
dei piú.

Agamennone -
E d'Ajace?

Ulisse -
Non l'udiva: a lui
piú tempo innanzi susurrò il Locrese
non so che detti. Egli balzando in cocchio
precipitò i destrieri alle sue tende. --
... Tumultuar odi qui presso?...

Ajace -
Vili,
prostratevi.

Agamennone -
La voce odo d'Ajace?


Ulisse -
I tuoi custodi atterra.

SCENA IV

Agamennone, Ulisse, Ajace.

Agamennone -
E chi il ribelle?
Chi il furibondo che meco imperversa?

Ajace -
Io. -- Le schiere mi togli; e il cor pretendi
togliermi e il ferro?... -- Ecco il ripongo. Udirmi
spero e insieme rispondermi vorrai.
Teucro dov'è?

Agamennone -
Ciò ch'ei tramasse, io tosto
saprò.

Ulisse -
Suo duce e suo fratel non sei?

Ajace -
Pur a te venne, o Atride, ei su le prime
ore del dí, mentr'io stava con pochi
all'Ellesponto. Trapassando il campo
mi soffermai qui teco, indi in consesso,
senza veder le tende mie, chè Teucro
ivi io credea. Gli mandai tosto un messo
che nol rinvenne.

Ulisse -
Fra le turbe forse
non l'indagava.

Ajace -
Fra le turbe stava

la calunnia e il tumulto. -- In parlamento
talun mi disse che da lunge il vide,
quando il sol giunto a sommo il ciel non era,
solo e sul lito deserto ai Numi
sacrificar, quasi a mortal periglio
si accingesse. Volai. Tutti partiti
celatamente eran con lui gli arcieri.

Agamennone - ...
Ulisse... seco rimanevi.

Ulisse -
E a' motti
che a te presente saettò, rimasi.
Or chi non sa che adulator tuo primo
seminator di scandali mi chiama
altamente? Costretto o persuaso
esser potea da me chi tanto m'odia;
chi mai verun, tranne il fratel, non ode?
Ma e quando pur... a che inviarlo? e dove
che omai tu, o re, nol risapessi? e ch'ei
nol ridicesse al fratel suo? Devoto
stavasi il grande Ajace al monumento
del dio Pelide. Ma il minore Ajace,
piú che fratel sublime amico, forse
l'avria ignorato anch'egli?

Ajace -
Ove pur sia
mal si accusa di trame: egli? -- e tradirvi
senza tradir me e la sua patria insieme
potria?

Ulisse -
Tradir te, il fratel tuo!... -- ma e sempre
udirmi sdegni? e sí m'abborri?...


Ajace -
Il nome
tuo sempre sdegno io proferir: -- ti spregio.

Ulisse -
Non vile tuo commiliton m'avesti
spesso; e pur or tu il confessavi.

Agamennone -
E tacqui
che a te rifugio fu il mio scudo spesso.
Pur co' Teucri sei prode e vil tra noi.
Non raggiravi oggi vilmente il volgo
e piú vilmente i re? Tua non fu l'arte
che li sedusse a deferir la lite
a' prigionieri? Qui tornando il seppi.
Della cieca sentenza il fine astuto
scerno. Que' prenci che oltraggi e catene
difendendo i lor numi, hanno mertato,
sgomentati, ingannati, strascinati
fien al voler di chi sarà sí basso
da deludere i miseri, e sí crudo
da perseguirli, e ritorcere in essi
l'astio del volgo. Ah fien difesi! e il grida
dal suo trono infernale a me il tremendo
Eaco del mio gran padre avo e d'Achille;
e piú tremenda la pietà mel grida. --

Ulisse -
E chi librar, chi giudicar può i merti
de' vincitor meglio che i vinti? Alcuni
da me fur presi, altri dal forte Ajace.
Di sette prenci prigionieri, due
fratelli sono di Tecmessa; è l'altro
suo genitor: suborneranno il quarto.
Tolta ad Achille fu dal re la schiava
e a prevenir egual periglio festi
moglie la tua: i figli tuoi fien pari

a Teucro in ciò; madre troiana avranno.
Scudo cosí farti dicevi allora,
oggi il ridici, a' miseri: e tu il dei.
Diè guerra all'Asia il padre tuo; già un tempo
fu vincitor; ma poi d'ospizio accolse
pegni, e di pace: ed ebbe iliache spose.
A rivedere i suoi congiunti a Troja
finchè spiri la tregua occultamente
Teucro n'andò: seco gli arcieri ha quindi.

Ajace -
Tacito io penso se lasciarti io deggio
te, di fraudi vestito e d'impudenza
al vituperio a cui tu vivi; o dentro
nel cor tuo negro ove l'invidia rugge
le calunnie rispingere e i sospetti
col ferro.

Ulisse -
E brando v'ha che meglio uccida
un greco re? Non hai d'Ettore il brando?

Ajace -
Ahi fatal dono! E il mio ti diedi, o forte
Ettore, il mio, sul campo ove leale
nemico egregio contro me pugnavi.
Ti valse almeno a morir per la tua
patria, e cadesti lagrimato e sacro!
Ma io?... vedi... le furie mi strascinano
a bagnarlo di sangue, di quel sangue
che tu abborrivi, e ch'io finor difesi.

Agamennone -
Ed io finor tacito veggio in uno
sospetti indegni, empio furor nell'altro.
Necessità di alto severo quindi
imperio veggio. -- Ajace; di me pensa
che vuoi; non mento perchè nessun temo.

Le tue schiere sviarti o menomarle
non curo. Teucro e i suoi senza mio cenno
nè indizio mio, se pur son lunge, il campo
abbandonaro: usati modi; ogni uomo
qui si fa duce, e divezzarvi intendo.
S'anco tornasse vincitor, punito
il vo' ch'egli piú ch'altri impaziente
è d'ogni legge, ei d'ogni applauso sempre
avido: ei primo e temerario sempre.
Che s'ei tradisse... io te fidar piú a lungo
potrei?... -- Cessa la tregua. Ebbro il troiano
di sua vittoria noi tremanti estima
da che spense l'eroe; s'accorga ei dunque
se Atride vive. Fin dall'alba indissi
però l'assalto ad innoltrata notte,
sí volli, e il voglio perchè il volli. E spenta
pria nel mio campo ogni discordia voglio.
Giudici sien, poco rileva, i prenci
stranieri. Io il dissi; odilo ancora: Troja
mai non cadrà, mai per l'acciar d'Achille.

Ajace -
Pari alle tue, pacate odi parole. --
Nessun di noi l'armi, per esse, pregia.
Te ambizïon, me libertà sospinge,
livor costui: ardon le brame; e incerto
sovrasta evento; onde temiam noi tutti.
E tu piú ch'altri, a cui temenza detta
l'imperioso favellar. -- D'altrui
schermo in battaglia ebbe mai d'uopo Ajace?
Sol contro te che a tirannia prorompi
l'armi bramo di lui che i feri moti
della superba anima tua gelava.
Minor di posse, e pari d'alma, vedi
me, alle tue mire ambiziose inciampo;
vedi d'Achille adoratori i Greci
chè amor gli stringe e meraviglia e l'alta
religion de' suoi avi celesti.

Ma il lungo imperio tuo molti fea queti
al giogo, quindi fu protratto ognora
lo sterminio di Troja; e tuo d'altronde
l'utile e il vanto ne bramavi. Spento
alfin è Achille e avvilir vuoi la fama
d'Achille e me. La meraviglia tutta
poi che l'amor non puoi, tendi in te solo
trar della Grecia; e guidarla a trionfi
col tuo valore o a sempiterne guerre,
finchè di forti vedovata e lassa
da te pace ed onore abbia e catene. --
Me vile fa d'un vile oggi la gara:
e ov'ei deturpi del Pelide il brando,
creduto opra divina, anche gli Dei
fien vano scudo a libertà: costui
spregi, ma allenti alle sue trame il freno.
S'ei me tradisca, e te ad un tempo, ignoro.
Teucro da lui credo aggirato; e certo
i frigi prenci ingannerà se forse
nol fe'. Me non vedranno. Inviolato
servar giurai dell'assemblea il decreto.
Stolto decreto; e giuramento, ahi! stolto:
ma rivocarlo ella può sempre. -- Intanto
non però cessa oggi la lite vera,
e magnanima sia: apertamente
dimmi se re son io? se a Telamone
il valor mio frutterà infamia e ceppi?
Ma bada, o re, che a terminar tal lite
a noi non resta che la sorte, e il volgo.
Tu col terrore; io con l'amor; costui
con fraudi nuove, lo trarremo al sangue.

Agamennone -
Udir detti ribelli, e a tuoi furori
libero abbandonarti, a te sia prova
se Agamennon t'avanza. Odine i cenni. --
I re prigioni fien giudici, e tosto. --
L'armi, e le ottenga chi si vuol, fien vili. --

Nè piú a contender di parole, accolti
fien d'oggi innanzi a pugnar meco i duci;
e all'intimata pugna fra brev'ora
mi seguiran. -- Di Teucro, ove non rieda,
mi sarà pegno il figlio tuo. -- Chi sia
qui re il saprai. -- Seguimi Ulisse.

SCENA V

Ajace.

Ajace -
Oh infausto
Ilio, di qual mai scempio oggi godrai!

ATTO QUARTO

SCENA I

Agamennone.

Agamennone -
Ma e che? Son io signor di me? Da quanti
oggi non pendo! -- O incerte ore!... Nè il mondo
lasci alla notte, e a che piú tardi, o Sole? --
O! a chi dar leggi io voglio. -- Io?... che ad Ajace
dir pur or non osai: cedi il tuo scettro,
snuda il brando e per me pugna, e t'immola.
Io che onore e possanza e pace aspetto
or da un Ulisse... -- Ah no! la pace mia
fin ne' miei tetti, e sparí col sorriso
della mia figlia: all'angoscia, al terrore,
al parricidio io la mia casa educo. --
Ch'io qui riposi almen per or. -- Qui assiso,
o Agamennone, il tuo tranquillo aspetto
incodardisce questi avvezzi al sangue
regnatori superbi... E non ardiva
qui il mio regal paludamento un uomo,


un uomo sol quasi strapparmi? e rabbia
e vendetta e stupor e la vergogna
del simular, e la tomba che Ajace
si spalanca... ma piú quel terreo, immoto
volto d'Ulisse, mi fean muto quasi,
e in me scorrea gelato un sudor lento... --
Ecco già notte. E Ulisse aspetto io sempre! --
Vil alma, audace a un tempo, infida, fredda
sortí colui. Gli uomini, i casi, i tempi
attrae scaltro, invisibile, e avviluppa
tutto me in essi. Io m'agito: trascorro
strascinato... e li guida ov'io piú bramo:
sa ch'egli splende di mia luce, e fida
come se a un tratto ei spegnerla potesse.
Già mi ha divelto ogni segreto mio,
quindi io sospetto... -- Ma non piú. Si sappia
che sin la Grecia vo' regnare io solo. --
Ardan le faci, il campo mio risplenda.
Il re de' regi s'apparecchia all'armi.

SCENA II

Agamennone, Ulisse.

Ulisse -
Pertinaci piú sempre i frigi prenci
dall'assegnar l'armi contese, tutti
ritraggonsi. -- Di Teucro altro non sanno
gli esploratori tuoi, se non ch'ei tenne
d'Ilio il sentier lungo la spiaggia; e innanzi
ch'ei si partisse, uscia mesto dal vallo
de' prigionieri. -- Tuttavia Tecmessa
quivi è col figlio, ed all'araldo il niega.

Agamennone -
Oh mia stolta fidanza! -- A me si tragga
Tecmessa.


Ulisse -
L'altro messaggero a' suoi
accampamenti il Telamonio, ritto
seguiva; e intesi ambi trovò gli Aiaci
a squadronar le schiere, a cui frementi
tutti d'Achille i Tessali s'uniro.

Agamennone -
O Menelao, superba alma ondeggiante
nè a virtú, nè a viltà nata nè al regno!
Ardi s'io teco sono; ov'io ti manchi
tepido torni.

Ulisse -
Nè premio nè legge
valse, nè il nome tuo con que' perversi
abborritori degli Atridi; e al tuo
fratel negando d'obbedire, in guerra
seguir vogliono Ajace. A lui Taltibio
della fede di Teucro ostaggio il figlio
chiese. Il padre tacea. Ma il re de' Locri
additò quelle schiere; e il fero cenno
mostrò all'araldo del tornar la via.

Agamennone -
Pronti son gli altri alla battaglia?

Ulisse -
Tutti. --
Perfido Teucro stiman molti; e ordita
o conosciuta dal fratel li fuga.
Nestore solo e il re Cretese, noto
bramano a te, che se a civil conflitto
si mova, ritrarranno essi lor armi.

Agamennone -
Odi Euribate. Fra non molto aperti
i miei disegni avrete: e qual pur deggia

esser la pugna, imparerà il vegliardo
che il vincitor obbedirà chi mira
le altrui battaglie immoto; e Idomeneo
vedrà se orgoglio senza ardir gli giovi.
Tu va. Silenzio tra le file regni.
Tutti i fuochi s'estinguano. Sul piano
per diversi sentier dietro a quel colle
sien congregati con le schiere i duci. --

SCENA III

Agamennone, Tecmessa, Donzelle Frigie, Araldo.

Agamennone -
Vien ch'io ti veggia, o sposa del sublime
propugnator di libertà. Fra queste
donne io ti scerno alla gemmata zona.
A me ti appressa. -- Muta tremi? Il velo
togli. Ribrezzo il tuo pudore accresce;
chè greco io sono, e tu moglie d'Ajace. --
Or di'; perfette son le trame? e saldi
stanno vieppiú contro il decreto mio
gli eroi prigioni? Udisti altra novella
di Teucro, da che teco egli e co' tuoi
pria di partir, venne a consiglio? -- Parla.
Ma domestico vezzo è il non udirmi. --
E ov'è il tuo figlio? A' Tessali il mostravi
teco stamane, e ne frenasti l'ire,
poichè stanza ad Ajace omai son fatte
le frigie tende. -- E immobile persisti?
E piú nel velo ti ravvolgi? -- Schiava
svelati.

Tecmessa -
O Sante Deità de' nostri
distrutti altari, ah m'aiutate!


Agamennone -
Parla.

Tecmessa -
... Da che all'urna d'Achille il signor mio
andò, nol vidi;... ohimè! ben aspre cure
dovean vietargli il rivedermi. E scorta
egli mi fu quando ier l'altro io venni
consolatrice a' miei congiunti afflitti.
Teucro sol vidi: tacito improvviso
abbracciò il figliuol mio, quasi abbracciarlo
piú non dovesse mai: parlar volea;
ma fuggí ratto e mi lasciò in affanni. --
Odo tumulti; il campo freme; il mio
padre e i fratelli di terror confusi;
venir, andar, tornar vedo i tuoi messi...
Misera! e solo il signor mio non vedo.
Prieghi mando ed avvisi; ei mi risponde
che perigliosa è l'ora e ch'io nel cielo
fidi. -- Soletta con le ancelle mie,
fra le spade e le tenebre m'accinsi
a rivederlo. Al limitar l'araldo
tuo ne rattenne: altro non so. Paterno
rito e l'amor de' nostri lari tiene
divise noi dal viril sesso; e noto
soltanto è a me delle battaglie il lutto:
vedo appena i guerrieri; e il tuo sembiante
talor da lunge io riguardai tremando.

Agamennone -
Ma non tremavi trafugando il tuo
figlio.

Tecmessa -
Già in salvo egli era.

Agamennone -
E il loco?


Tecmessa -
Ah forse..,
signor tu non sei padre.

Agamennone -
... Io?... fui padre.

SCENA IV

Agamennone, Tecmessa, Donzelle Frigie, Araldi, Calcante.

Calcante -
O re de' re, corri a battaglia, e i numi
del popol tuo teco non hai? nè l'aure
suonan di canti a presagir trionfi?
E a qual vittoria tendi? orrendamente
dal silenzio e da tenebre ravvolti
accelerar s'odon gli armati... O donna
desolata d'Ajace!... ah! l'ostia forse
tu sei che il nostro re pria della pugna
offre agli Dei; -- ma non morrai tu sola.

Agamennone -
Tua morte a me, nè tua vita rileva.
Gl'Iddii presenti il mondo teme. A voi
le sue minaccie diè l'olimpio Giove,
ed a me le sue folgori. Alle turbe
tuonar auguri, o degli Dei codardo
adorator, piú non t'udrò. Riposa,
e manda gl'inni al vincitor.

SCENA V

Agamennone, Calcante, Tecmessa, Donzelle Frigie, Araldi, Ajace preceduto da un araldo.


Tecmessa -
O padre
del figlio mio!... pur ti riveggio.

Ajace - ...
Oh iniqui! ...
Tu qui! -- Ben posso io trartene... ma... loco
ove salvarti a me non resta. -- Atride;
ti sta intorno l'esercito, parato
a ferir ove accenni. Io co' miei pochi
e co' Locri, e co' Tessali vi aspetto:
tranne quella di Troja, ogni altri via
precideremo a voi. N'avrai nemici
o federati; eleggi. Ma tua fede
sola non basti: me la diè in tuo nome
Euribate; qui a dir venni e ad udire
sensi di pace: e mentre io fra' prigioni
finchè il giudizio fosse dato, l'orme
non pongo, inerme la dolente mia
donna lasciando; tu svellerla ardivi
da' domestici Dei; tu la tua fede,
appena data, rompi.

Agamennone -
A voi le trame
romper intendo; ma da voi fur pria
sí ben conteste, ch'io veder non posso
se non che siete traditor voi tutti. --
Un dí alla tregua rimaneva, e in campo
non eri tu; ma i tuoi soldati il campo
con prodigi atterrivano. Bastava
il frigio sangue a' Mirmidoni; e un grido
di feminetta contro noi li volge.
Frattanto i numi parlano piú arditi
dando la gloria de' trionfi a un'ombra;
mentre il volgo sommosso arma te solo
successore d'Achille; e obbedienza
audacemente il fratel tuo m'impone.

Tu i re chiami a licenza, e ti professi
vindice a' Greci e d'Asia domatore;
mentre l'ora, e le vie di trucidarmi
insegna Teucro in Troja. Ostaggio io chiedo;
costei non vedi; ma chi tolse a lei
il figliuolo lattante, e chi piú arditi
fe' gli schiavi? Tu sol. Tu che ribelli
fai teco i Locri e i Tessili, e mi sfidi;
e quando? Or che prorompono i Trojani
dalle lor rocche: or che novello sangue
spargerem noi per la vittoria. -- Torna
a' magnanimi detti onde tu velo
festi alle insidie; or te conosco: trema.

Ajace -
Tremi colui, che sogna fraudi; trema
tu che a' rimorsi e al terror che in te provi,
indur vorresti ogni alto core.

Tecmessa -
Oh Ajace!... --
Tu che pur gemi all'altrui pianto, i miei
occhi in amare lagrime nuotanti
non vedi? e dispietato ahi! con me sola
con me che forse t'amo unica al mondo
sarai? -- Potessi almen perir io sola!

Calcante -
Dir parole di pace era pensiero
vostro, e agl'insulti trascorrete? Aperte
le greche tende all'assalto e alla fiamma
vedrà il troiano, e forse unico scampo
vi saran l'onde ed un ritorno infame
dopo tante speranze. Unico scampo!
Che spero? Il vincitor fatto piú ardito
all'atterrito esercito la via
precluderà dell'Oceano. Indarno
le spose, i padri, i figli vostri indarno

nella lusinga de' trionfi vostri
cercan ristoro dell'incerta amara
lontananza protratta: abbandonati
eternamente, appena l'ossa e l'urna,
nè l'urna forse rivedran di voi!

Ajace -
Ascolta dunque, o Agamennon. Tradito
o traditore esser dee Teucro; quindi
te seguir non poss'io, nè tu a notturna
pugna puoi muover con fidanza. Al giorno
sia differita. A Pirro ed a Peleo
l'infauste spoglie sien retaggio omai
e conforto nel lutto. Alla mia tenda
torni Tecmessa. Al re de' Locri e a' miei
tu manda ostaggio Menelao; che inerme
teco io starò pegno di Teucro. Il sole
le trame scopra, e il campo acheo non veda
di fraterni cadaveri profano.

Agamennone -
Non nel mio padiglione, in campo il sole
mi mostri estinto, o tal, che mai piú meco
nessun da re favelli. Odil tu primo:
poi la vittoria il manifesti agli altri. --
L'Asia i greci oltraggiò poi che s'accorse
quanti discordi avidi re tiranni
si sbranavan la Grecia; e lor fu esempio
la schiatta vostra, Eacidi superbi
predatori di regni. A voi traeste,
sol con le sette e volgo e fama e cielo;
e, spenti ancor, resta alle vostre spoglie
la perfidia e la rissa. Abbia la Grecia
vendicator de' numi suoi me solo;
moderator, dominator me solo.
Vili ed innocue alfin palesi Ulisse
l'armi vostre. Tu prostrati: o a' Trojani
numi impotenti, a cui pace giurava

il padre tuo; a cui l'infame Teucro
consacra il figlio della schiava, io stesso,
a strugger tutti d'Eaco i nepoti,
lo svenerò.

Ajace -
Perchè io mi prostri, devi
evocar la tua figlia e ricomporre
le ossa che a cena orrenda il padre tuo
teco imbandiva al suo fratel Tieste.

Calcante -
O forsennati, forsennati! io veggio
l'inespiata ira d'Iddio chiamarvi
a scontar con novelle orride colpe
le iniquità de' padri. Entro quell'urne
voi le mani sacrileghe cacciando
sangue e fiele mescete all'esecrate
ceneri. -- O Agamennon! gli avi tuoi crudi
e gli Dei che tu provochi, al tuo letto
vigili stanno; e tu li vedi; e serpe
negli occhi tuoi fra le lagrime il sonno
finchè il terror ti desti. Empio non sei;
ebbro d'orgoglio sei. Della tua vera
gloria deh! ascondi il tumulo d'Atreo;
con le regali tue virtú la terra
consola; e il cielo alfin placa e te stesso. --
E tu, mio figlio (o a me piú assai che figlio!)
obbliar vuoi che sei mortale; alzarti
oltre la inferma, sventurata, cieca
nostra natura? Splendida si mostra
virtú; ma i petti umani arde funesta
quanto è piú schietta; e appena un raggio scende
tra noi. S'innalza; già tutta rapita
al ciel l'hai tu; già del tuo lume splende
l'universo... Mi stride dall'Olimpo
la folgore, e l'obblio teco e la lunga
notte travolve chi agli Dei s'agguaglia. --

Ma che parlo? Feroci i lumi al suolo
questi crudeli fuggono. Tu indarno
morente quasi dal marito implori
pietà, e le voci ti soffoca il pianto.
Qui presso è un colle ed un altar... Mi segui.

Tecmessa -
A me ti volgi, o signor mio; deh porgi
a me la destra, che mi trasse un giorno
di mezzo al sangue, alle rovine, al foco
de' miei tetti paterni... -- Ove mi lasci?...
chi mi consola?... Ohimè! corri; in periglio
forse è il mio figlio...

Ajace -
Serva d'altri io mai
vederti meco! -- ...

Tecmessa -
Il figlio mio...

Ajace -
Di tutti
noi solo, o donna, il figliuol tuo fia salvo.

Agamennone -
Guardie, traete a voi la schiava.

Ajace -
A voi
dunque traete il signor vostro esangue...

Calcante -
Non profanate gli occhi miei di sangue,
empi! o ch'io torco in voi l'ire de' Greci. --
Della vostra regina, o sventurate,
reggete i passi. -- Ecco la sacra benda
stendo sul capo all'innocente donna. --



Vieni: sull'are di dolor morremo.

SCENA VI

Agamennone, Ajace.

Agamennone -
Va; la mia fè ti giovi. Il campo io movo
ver le dardanie rocche; e sarà face
al sentier mio l'incendio delle tende
de' prigionieri.

Ajace -
O crudelmente astuto!
ben fuggi il sol; ben nella notte fidi!
Ma non osi assalirmi; e vuoi ch'io stesso
abbandonando i miei congiunti a morte,
mi palesi tuo servo; o che la plebe
me traditor sospetti, ov'io col greco
scempio i frigi difenda. Or di': non pende
sui guerrier nostri che tien Priamo avvinti
la scure e il foco? E me divider pensi
dall'onor, dalla sposa e dal mio soglio
con le fiamme e i cadaveri? Vien dunque
poi che per mari d'innocente sangue
nuoti al sommo poter, vieni e la tua
fama, e la patria, e te sommergi. -- Vedi
a terra il balteo e la vagina. Ignudo
sempre a' tuoi sguardi questo acciar baleni
finchè sicura e libera non sia
la Grecia meco.

Agamennone -
Il loco ove perisse
Agamennone atterrirà voi tutti
ed i figli e i nepoti. -- A me il mio scettro.
-- Tu Ifigenia reggi i destrieri e l'ira.


SCENA VII

Ajace.

Ajace -
O Teucro! e dove è il brando tuo? sí vile
mi credi tu che a vendicarmi corri
agli agguati? sei tu perfido o insano?
L'oscurità dell'Erebo è diffusa
anche su gli astri: io tra l'insidie e l'ombre
chi sa in che petto immergerò il mio ferro!
Teucro, ove sei? -- Teucro! mi fai codardo. --
T'odo, Bellona! Il tuo urlo spaventa
la notte. Vengo, o fera Dea: vedrai
s'io placherò la tua rabbia di stragi.
Ma tu perdona agl'innocenti almeno!

SCENA VIII

Ajace, Ulisse.

Ulisse -
Pur ti trovo: t'arresta. Al tuo disprezzo
è pari alfin la mia vendetta. O Ajace,
mi spregiasti; e piú vil tu mi credevi
poi che potendo aver tomba d'eroe,
da te sostenni esser io salvo. Ah! vissi;
infame; e vivo; ma per farti infame. --
Te ammiri tu! Nessuno ammiro io mai,
tranne chi proprie fa le forze altrui.
Il tuo valore è mio; lo traggo io solo
a insane guerre: i mutui sdegni vostri
o Greci re, son miei; mia la delira
credulità de' popoli; l'amore
de' tuoi congiunti, è mio; mia di Calcante
la pietà che abborrendo Agamennone
darti i suoi Dei non osa. Io la fortuna
sol con le vostre passioni affretto;

ed oggi amica, oltre ogni speme, apparve.
Atride regni. Palamedi e Achilli
e nuovi Aiaci io gli apporrò, che Ulisse
rispetteranno. Ilio conquisti; e vinca,
s'ei può lo spettro di sua figlia e il muto
terror della vendetta onde la moglie
già gli circonda il talamo. Vacilla
quel trono ognor che su le tombe posa.
Ma per lui posso or assalirti. In campo
t'aspetta, o Ajace, il vincitor di Reso.
Dubbia è mia morte e la tua infamia è certa. --
Il cor dentro ti rugge... mi trafiggi
piú traditor parrai.

SCENA IX

Ulisse.

Ulisse -
Gli apro l'abisso
lo vede, e freme; e piú mi spregia ei sempre.




ATTO QUINTO

SCENA I

Calcante, Tecmessa, Donzelle Frigie.

Calcante -
Fuggi, misera... Scendi.

Tecmessa -
Ahi!


Calcante -
Dall'orrendo
spettacolo, voi donne, a piè dei colle
sottraetela.

Tecmessa -
Il foco ahi! li divora. --
E ripercosse quelle fiamme io sento
sovra il mio volto. -- O padre mio!... beato
re di beati popoli ti vidi:
chi ti strappò la tua corona? Ajace
struggea la sede de' tuoi numi; Ajace
t'incatenò: pianse il crudele; e a Greci
ti strascinò di cenere cosperso
nè mi fe' moglie sua, nè ti difende
che ad innasprir contro di noi l'iniqua
insanguinata alma d'Atride... -- O Ajace
tu almen ti salva dall'incendio. Invano
spegnerlo vuoi; vidi crollar fumando
il carcere de' miei; io con questi occhi
dagli armati carnefici in quel rogo
vidi scagliar vivo co' figli il padre...
Ohimè! spirano ardendo... ed esecrando
la lor sorella. O padre mio, mio padre
non maledirmi tu.

Silenzio

Tecmessa -
Ma, e voi... non siete
misere dunque al par di me? me sola
piangete forse?... E che? pianger potete! --
Meco tornate su quell'erta: udremo
delle vittime i gemiti: il mio padre
mi chiama... io manco... -- o terra, ecco io t'abbraccio;
coprimi.

Silenzio


Tecmessa -
Ajace, vien; mira la tua
moglie prostesa ove tu dianzi il forte
provocavi, o superbo, ed obbliasti
ch'io periva... Ma posso io non amarti?
Morir poss'io finchè il tuo figlio vive? --
E sí curvo alla valle, e che piú guarda
l'atterrito profeta?... Odi, Calcante;
volgiti, deh!... al mio ultimo priego
rispondi. Vedi tu forse nei campi
illuminati dall'iniquo rogo
cader Ajace?... Ah! gridagli che seco
corre a perir la moglie sua.

Calcante -
Rimane
languida vampa all'arse tende; e il fumo
ogni veder mi toglie. Atride, o figlia,
s'arretra; chè appressarsi a noi la pugna
intendo. Sorge in liete voci all'aura
d'Ajace il nome. -- Odi feroce un grido?
« Io col mio brando ferirò Bellona ».
Dell'aspro figlio d'Oileo è il grido.
Voi difendete l'are vostre, o Numi!...
Ma e questa donna a un tempo udite.

Tecmessa -
Ah i numi
da che infelice io fui, piú non m'udiro!
Patria e pace mi han tolto, e padre... tutto
m'han tolto: sposo mi torranno e figlio. --
Torni il sorriso al mio pallido volto,
il ciel non ama i miseri. Versate
fior sul mio grembo; a me i profumi e l'arpa
come quando l'allegro inno suonava
nella mia reggia. Allor m'udiva il cielo;
allor ch'io non gemeva!


Calcante -
O desolata
giovine! oppressa dal cordoglio immenso
delira.

Tecmessa -
E oh quante vergini guidavano
meco le danze; e zefiro sciogliea
le lor treccie odorate; ed i miei passi
e il mio sembiante illuminava il sole,
quando in Lirnesso i candidi corsieri
e l'aureo cocchio risplendeano e l'armi
de' frigi re!... Su via: date all'argiva
Elena il regio peplo, a lei le rose
e l'amoroso canto, a lei che il mare
empiea di navi a desolarmi. Intanto
fra i morti, il sangue, i gemiti e la notte
andrò errando se mai l'ossa de' miei
trovassi; e tutta consecrar sovr'esse
la mia chioma recisa; e sotterrarle
nelle rovine dell'avita reggia.

Calcante -
O sanguinosa alba tu sorgi!

Tecmessa -
Orrenda
del sacro vecchio odo la voce!

Calcante -
L'asta
del Telamonio, o re de' re, ti giunge;
tu vacillando nel tuo cocchio a terra
cadi; ma sul tuo capo ecco protesi
cento scudi d'eroi. Muto stupore
al tuo cadere i popoli confonde.
Stanno attoniti, immobili. Percote
Ajace invan lo scudo ampio col brando

a rinfiammar i suoi guerrieri. -- O Ajace,
solo tu pugni; e contro il ciel. Volava
l'aquila intorno alla tua culla, e Alcide
entro la pelle d'un leon sanguigna
ti ravvolgeva infante. Ah non ti tolse
l'esser mortal; ritratti: eterno è il fato;
le Parche ti circondano. E un iddio,
manifesto un iddio serba la vita
d'Agamennone a piú funeste mani! --
Ecco il carro d'Ulisse; a rivi il sangue
dal rotto usbergo gli prorompe; a stento
regge le briglie; ma col guardo pugna
e con la voce moribondo. Rapide
le sue ruote sorvolano i cadaveri
di schiera in schiera. A' Tessali si mesce
e a' Salamini inerme; e l'odon tutti,
torcendo ad Ilio furibondi il volto. --

Tecmessa -
...Spaventoso silenzio!... E non fremea
di minacce, di carri e di omicidi
la terra intorno?... Appena odo da lunge
il burrascoso muggito del mare. --
O! vi siete tra voi svenati tutti!

Calcante -
Rapido il campo su le vie di Troja
s'affretta. -- Ajace,... Ajace solo a noi
torce i destrieri a disperato corso. --
Odi il fragor delle sue ruote... Ei giunge.

SCENA II

Calcante, Tecmessa, Donzelle Frigie, Ajace.

Tecmessa -
O signor mio!... tu vivi; unico vivi...


Ajace -
Nella mia nave è il figliuol nostro; al mare
fuggi; solingo è il campo: avrai fidata
scorta l'auriga, e celeri i destrieri.
I tristi antichi genitori miei
conforta e di' che tu non hai piú padre,
nè congiunti... che sei madre del figlio
d'Ajace... ch'io la reggia tua distrussi,
che t'amai... che gemendo io ti lasciava...
di' che la gloria mia... -- Ahi non m'intende
e in me tien fitta l'arida pupilla.
... Breve ed incerta ora m'avanza!

Calcante -
Al fato
il lutto in parte, e solo in parte, il lutto
che a noi prepara or pagheremo!

Ajace -
... Sorge
sorge, o Calcante, a' Greci il dí supremo.
L'incendio e l'alba fer palese a Troja
la civil pugna. Immensa onda d'armati
sul vallo acheo del monte Ida prorompe
e Teucro ei stesso li precorre. Ulisse,
che di sue colpe ha complici le furie,
de' saettieri le faretre addita,
e i noti elmi e i cimieri. Io li conobbi
co' nemici da lunge e nella mia
min tremò il ferro e sol vorrei fumante
trarlo dal sen del perfido fratello.
E ancor, ahi stolto! perfido nol credo,
nè so scolparlo. Ad una voce il campo
fellone il grida; e ogn'uom mi accusa e fugge.
Dell'empia strage de' prigioni inermi
già s'esalta il tiranno: a lui sue schiere
Nestore manda; e per l'achea salute
gemendo afferra Idomeneo la lancia.

Mi sospettano i Tessali, esecrando
Teucro insieme e gli Atridi; e le funeste
armi d'Achille chiedono a recarle
al patrio lido, e abbandonar gli Argivi
all'Iliaca vendetta. Unico il sire
de' Locri, ancor fido mi resta... ah forse
il mio verace unico amico è oppresso!
Che regi e plebe e numi affronta. -- Omai
che fia non so: tutti siam noi traditi.
E solo tu, forse tu solo...

Tecmessa -
O morte!
Vieni.

Ajace -
Tu va... deh! spento è il nostro sangue
se tardi.

Tecmessa -
E tu?...

Ajace -
Io? -- vado ove andar deggio:
tu starai forse senza me gran tempo.

Tecmessa -
Gran tempo!...

Silenzio

Tecmessa -
Ajace... tu d'una regina
felice un dí, misera poscia, spesso
tu mi parlavi lagrimando, e il tuo
cuore accusando, che canuta e assisa
su le tombe de' suoi, l'abbandonasti
sordo a' suoi lunghi prieghi. Era tua madre
quella regina; e ancor vive e t'aspetta,

e sventurato t'amerà, e con noi
lagrimerà di men amaro pianto.
A crescer meco disumano il nostro
figlio da te, deh! non impari. Torna
meco al tuo regno. Ahi! se tu mai non torni,
me d'ogni tua sciagura incolperanno
i genitori tuoi; della straniera
figlio fia detto il figlio tuo... -- Qui teco
ch'io resti almen: nè ricordar m'udrai
ch'io per te piú non ho padre e fratelli;
te piangerò, te seguirò sotterra.

Ajace -
... Mi rivedrai,... se il rivedersi a' giusti
non è conteso. Ma il piú starti meco
fia periglioso, or che i mortali e i numi
voglion punita la mia gloria. E Teucro...
ei che noi sempre amò felici... ei forse
perseguirà il mio figlio! Asilo in Troja
non ti sperar; se mai da' greci ha scampo
oppressa fia dalle sue colpe: e i tuoi
parenti omai nè il ciel potria ridarti.
Abbi rifugio a' miei: pietosi afflitti
sono, e innocenti, e a te simili in tutto.
Me difender poss'io, me solo; e tolto
forse dagli altri or ti sarei, se indugi.
Addio... t'amai; t'amo, Tecmessa...

Tecmessa -
Or quando
tremò, come or, la tua man nelle mie!...

Ajace -
Cedi a' miei prieghi... lasciami... -- Mi prostri
il cor. Non far che i miei detti infelici
sieno comandi.


Tecmessa -
A queste fide ancelle
e a' Dei del mar commetterò il mio figlio:
tu, padre mio, deh tu alquanto rimani.
Ratta io qui riedo. Al fero duol ch'ei preme,
e m'atterrisce, alcun sollievo forse
fia l'amor mio.

Ajace -
Tal v'ha dolor, cui nulla
dolcezza val che ad innasprirlo.

SCENA III

Ajace, Calcante.

Calcante -
Io tremo:
che degg'io far? tu, che rivolgi in mente?

Ajace -
Non gloria a me, nè libertà, nè speme,
tranne il mio brando e questo petto ov'io
piantarlo possa, a me nulla piú resta.
Va, di' ch'io muoio, e fia tronca ogni rissa,

Calcante -
Oh ciel!... Tu dunque rapirai i tuoi giorni
al voler degli Dei!... Tu d'inaudita
colpa agli Achei primo darai l'esempio!

Ajace -
Fellone io sembro, e viver deggio? -- dove? --
per chi? -- Fu vano tanto sangue offerto
a libertà; vinto fu Atride, e pugna.
Posso domarlo io piú? trarrò alla rissa
i pochi amici della mia sventura
or che il furor de' barbari sovrasta

al popol nostro?... Affronterò i Trojani?
Ma non gli affida il fratel mio? Già i Greci
la mia difesa abborrono. Nè posso
pugnar se il mio fratello io non uccido,
onde recar poscia alla patria i miei
ceppi e l'obbrobrio e il lutto. -- O se vedessi
tu come l'infortunio in sí poche ore
m'ha trasmutata l'alma!... io... quel fratello
ch'ebbi sí caro, e tuttavia fedele
stimo,... io talor d'atri disegni accuso:
sgombrarsi il mio trono paterno ei tenta.
Forse; e s'ei vince svenerà il mio figlio.
In sí bassi, tremanti, orridi sensi
or la vita io protraggo! -- Se di noi
han cura i numi, e mi han dannato a tristi
servili dí, non mi dorrò dell'alta
ingiusta legge; eluderla ben posso. --
Va, riconcilia e salva i Greci; in tempo
sei forse.

Calcante -
... Teco noi trafiggi... e mentre
l'evento ignori de' consigli eterni
tu lo precidi. Indugia almen... per poco
spera...

Ajace -
Se il figlio orfano mio distormi,
nè quella ch'io morendo amo piú sempre,
non può; tu certo nol potrai. Ben sento
freddo un orror nel perdere la luce
del giorno: odo ulular i disperati
miei genitor nel funereo deserto
delle mie case... -- Il suo materno seno
m'apre intanto la terra; ed altro asilo
che in quelle sacre tenebre non trovo. --
Deh vola; salva con Atride i Greci,
fa santo il scettro del tiranno; il mio

capo e di Teucro al Tartaro consacra;
reca al volgo i suoi numi; uniche vie
a ricondurlo alla comun difesa
fien oggi: va... Se mai cedano i Teucri
avvisa i re che su la Grecia pende
l'ambizïon d'Agamennone, pende
sovr'essi il ferro e la calunnia e Ulisse.
Di', che del morir mio solo conforto
m'è il ridestarli omai... Se rammentarmi
sdegnano, almen di Palamede, almeno
di Filottete vittime d'Atride
giovi il tremendo esempio... -- Tu i miei fati
rispetta.

Calcante -
...Ohimè -- che all'orrido proposto
ti lasci! almen...

Ajace -
E tu abbracciarmi, o giusto,
potresti? Vedi di che sangue io grondo.
Or di Lete la sacra onda lavarmi
dovrà. Ben tu l'esangue Ajace ignudo
amerai sempre. A quegl'iniqui invola
il cadavere mio: l'ascondi dove
nessun m'insulti e gridi: Ecco la fossa
d'un traditor.

Calcante -
E cosí dunque inganni
la moglie tua, che a te, misera! torna?

Ajace -
Poichè tu il brami, l'empio Ilio trionfi;
tu inorridisci intanto...

Calcante -
Arresta -- ...Addio.


Ajace -
Men infelice di me vivi! -- Addio.
Calcante - Gl'iniqui e i giusti un fulmin solo atterra.

SCENA IV

Ajace.

Ajace -
Gli ultimi passi miei verso la morte,
giudice vera di noi tutti, alfine
libero e forte io volgerò. La speme
piú non m'illude; e certa è la mia pace. --
Fortune umane tenebrose! Questa
spada, a' Greci fatale, Ettore diemmi;
la mia si cinse; e col mio balteo il vidi
legato esangue e strascinato. Or questa
spada, sul lito a cui guerra io giurai,
presso la tenda ove sdegnai curvarmi,
mi prostra: ed invisibile un fratello
esplora forse se piú il cor mi batte,
per regnar poscia. -- O Telamone, solo
regna, e nella tua pira ardi quel scettro.
Tu, o madre mia, abbraccia e mostra ai Greci
l'unico figlio di tuo figlio. Un empio
nato dall'abborrita tua rivale
tel rapirà... -- Ahi tornano frementi
le umane cure e m'abbandona l'alta
sicurtà della morte. Ajace, fuggi
ove piú non vedrai nè traditori
nè tiranni nè vili; ove imitarli
piú non dovrai nè calunniar chi forse
or per te more. -- O uomini infelici
nati ad amarvi e a trucidarvi, addio! --
O Salamina patria mia, paterne
are, da me non profanate mai,
campi difesi dal mio sangue, addio!
Ch'io veggia e adori quella sacra luce

del sol prima ch'io mora. Oh come s'alza
splendida, e il mio occhio avvilito insulta!
Ah, se rivive la mia fama, allora
o glorioso eterno lume, o sole!
sovra il sepolcro mio versa i tuoi raggi.
Or ti guardo dall'erebo, e ti fuggo,
e nell'ignota oscurità m'immergo
inorridito!... -- Ahi l'infelice donna
m'insegue; io l'odo... Morir non mi veda.

SCENA V

Tecmessa.

Tecmessa -
Salvati, Ajace... Ove sei tu?... T'insegue
stuol d'armati a gran passi... -- Ajace! Ajace!
Ah m'hanno ucciso il signor mio... -- Chi vedo?
Teucro!

SCENA VI

Tecmessa, Calcante, Teucro, Ajace, Guerrieri.

Calcante -
È perduto! -- e ogni soccorso è vano.

Tecmessa -
Dal suol ripiglia il ferro tuo... mi svena,
o fratricida; e nell'onde il mio figlio
insegui, e sovra il padre suo lo svena.

Ajace (di dentro) -
O morte!... amara or sei... Ah!

Tecmessa -
Ahi! chi t'uccide,
o sposo mio?


Calcante -
Deh!... statti...

Tecmessa -
Ohimè! sul brando
si sorregge e vacilla. -- O Ajace mio
vieni; sul petto mio spira... io ti seguo.

Ajace -
Ah!... -- del mio cor la via... non trovò il ferro.
E a tanto lutto or qui rimani... -- L'elmo
lasciami, armato io morirò... Il mio scudo
serba al mio figlio... Ah!... non obblii che è mio
figlio... ma troppo nol rammenti... -- E dove
mi posi tu?... Questo è d'Atride il seggio.

Teucro -
Nè a me un guardo rivolge... O mio fratello,
non esecrarmi! Laverò col mio
sangue le tue ferite; io che t'uccisi
e per salvar gl'ingrati Achei.

Ajace -
Gli hai salvi!
Tu!... o mi deludi anche sull'urna?... Or dove
eri?... e quai genti ti seguian?

Teucro -
Gran turba
di prigioni, e d'Ulisse eran le squadre.
Meco ei dovea sul monte Ida mostrarsi
a sviar verso noi l'armi nemiche
mentre alle rocche tu co' Greci avresti
dato l'assalto.

Ajace -
Ah!... Ben nell'empia pugna
pochi scontrai degli Itacensi.


Teucro -
Attesi
Invan sino alla prima ora notturna
l'armi d'Ulisse: e mentre io dubitando
di sue promesse, già volea dar volta,
gran stuol d'armati traversò la selva
tacitamente. Eran novelli ajuti
che a' Dardani guidava il Licio Sire.
Pugnai: fuggí Glauco ferito; e i suoi
dall'ombre esterrefatti e dall'assalto
si arresero. Io tornava. A sommo il monte
da' precursori miei seppi che il campo
si congregava in ordinanza; e tutti
unirsi a' miei vidi i guerrier d'Ulisse.
Ei lor duce mi fea, poi che la pugna
il venir gli contese; e che in agguato
stessi a infestar l'oste nemica a tergo,
che a guerreggiarvi dalle porte uscia. --
Sicura io tenni la vittoria e conscio
te Ajace mio, del loco ond'io pugnava,
ch'io fin d'jer t'inviava a darti avviso
Medonte nostro. A mezza via sul lito
mel recar l'onde a' piedi; a mezza via
fu trucidato e in mar sospinto...

Ajace -
O quanti
fedeli amici... io trassi meco... a morte!

Teucro -
Spesso l'afflitta mia mente presaga
mi consigliò il ritorno. Ah tardi io mossi
poi che m'accorsi dell'incendio. Vidi
che pria distormi dal congresso volle
il traditore; e quando arse la rissa
mandò i guerrieri e t'impedí il soccorso.
Mentr'io già tocco il vallo, gl'Itacensi
il mio drappel trafiggono alle spalle.

E con le guardie Argive Ulisse a un tempo
precorre il campo, e m'investe. Indifeso
cado ed oppresso, e te invocando, o Ajace.
Frattanto i Licj prigionier cogliendo
i nostri dardi, tentano la fuga;
li cinge Ulisse, e a' popoli che omai
accorrean con gli Atridi: « Ecco, gridava,
ecco quali armi il traditor notturno
traea contro voi tutti » -- Gl'Itacensi
la calunnia ripetono, e la plebe
liberatore Ulisse acclama; e tolte
l'armi d'Achille dall'altar, ne veste
quel traditor, che anelante ed esangue
non domo ancor dalle ferite esulta.

Calcante -
L'empio nei nembi ravvolgete, o venti!
Deserta il pianga la sua casa! all'empio,
o mari, le carpite armi togliete!
Recatele alla sacra urna d'Ajace!

Ajace -
Al tuo fratel gl'iniqui dubbii, o mio
Teucro, perdona... reggimi, Tecmessa
ch'io l'abbracci. -- O fratello! io non ti lascio
esecrandoti... io piú vile non moro...
E tu sei salvo.

Teucro -
Mi togliea dall'empie
spade il sire de' Locri; ei la tua fama
difende ancor... e il delirante volgo
disingannar solo potea Calcante.
Ma qui, mia scorta io il trassi... ohimè! salvarti
piú non poss'io. -- O Salamini, o soli
di tanti forti, o sciagurati avanzi,
chi piú vi resta omai? viver degg'io?
Morite almen col nostro re; struggete

la tenda e il trono del tiranno.

Calcante -
O figlio!
Qui i tutelari Dei stanno e le leggi
del popol nostro; il popolo a piú atroci
colpe strascini...

Ajace -
Ah! il civil sangue... basti,
o Teucro,... teco ogni sostegno a questa
donna rapisci e a' tuoi... Vano è il tuo brando
se sta ne' fati che d'Atreo la stirpe
regni... -- Io manco... addio, Teucro... su questa
tremante destra... e questo estremo priego
reca al duca de' Locri -- O Teucro giura
che lascierai le mie vendette... al cielo.

SCENA ULTIMA

Ajace, Tecmessa, Teucro, Calcante, Agamennone, Araldo, Guerrieri.

Ajace -
Deh! vieni, coprimi col tuo
velo, Calcante, coprimi... che l'occhio
dell'oppressor... non contamini almeno
il morir mio. -- Sotterra t'aspetto,
o re de' re!

Tecmessa -
Ahi miseri! O mio figlio
piú non hai padre!

Calcante -
Dell'Eroe sopiti
ecco gli errori e le virtú del giusto.


Agamennone -
O grande anima! -- o a te funesta e a noi!

Tecmessa -
Piangi? Fu poco di tua figlia il sangue
alla porpora tua. Tingila in questo
nè ti basti mai lagrima che il lavi,
ma il sangue tuo sparso da' tuoi.

Agamennone -
Piú forte,
e piú esecrato, e piú infelice io sono. --