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FILIPPO
Atto I - Scena I


ISABELLA
Desio, timor, dubbia ed iniqua speme,
fuor del mio petto omai. - Consorte infida
io di Filippo, di Filippo il figlio
oso amar, io?... Ma chi 'l vede, e non l'ama?
Ardito umano cor, nobil fierezza,
sublime ingegno, e in avvenenti spoglie
bellissim'alma; ah! perché tal ti fero
natura e il cielo?... Oimè! che dico? imprendo
cosí a strapparmi la sua dolce immago
dal cor profondo? Oh! se palese mai
fosse tal fiamma ad uom vivente! Oh! s'egli
ne sospettasse! Mesta ognor mi vede...
Mesta, è vero, ma in un dal suo cospetto
fuggir mi vede; e sa che in bando è posta
da ispana reggia ogni letizia. In core
chi legger puommi? Ah! nol sapess'io, come
altri nol sa! Cosí ingannar potessi,
sfuggir cosí me stessa, come altrui!...
Misera me! sollievo a me non resta
altro che il pianto; ed il pianto è delitto. -
Ma, riportare alle piú interne stanze
vo' il dolor mio; piú libera... Che veggio?
Carlo? Ah! si sfugga: ogni mio detto o sguardo
tradir potriami: oh ciel! sfuggasi.


       


CARLO
Oh vista! -
Regina, e che? tu pure a me t'involi?
Sfuggi tu pure uno infelice oppresso?

ISABELLA
Prence...

CARLO
Nemica la paterna corte
mi è tutta, il so; l'odio, il livor, la vile
e mal celata invidia, entro ogni volto
qual maraviglia fia se impressa io leggo,
io, mal gradito al mio padre e signore?
Ma tu, non usa a incrudelir; tu nata
sotto men duro cielo, e non per anche
corrotta il core infra quest'aure inique;
sotto sí dolce maestoso aspetto
crederò che nemica anima alberghi
tu di pietade?

ISABELLA
Il sai, qual vita io tragga,
in queste soglie: di una corte austera
gli usi, per me novelli, ancor di mente
tratto non mi hanno appien quel dolce primo
amor del suol natio, che in noi può tanto.
So le tue pene, e i non mertati oltraggi
che tu sopporti; e duolmene...

CARLO
Ten duole?
Oh gioja! Or ecco, ogni mia cura asperge
di dolce oblio tal detto. E il dolor tuo
divido io pure; e i miei tormenti io spesso
lascio in disparte; e di tua dura sorte
piango; e vorrei...

ISABELLA
Men dura sorte avrommi,
spero, dal tempo: i mali miei non sono
da pareggiarsi a' tuoi; dolor sí caldo
dunque non n'abbi.

CARLO
In me pietá ti offende,
quando la tua mi è vita?

ISABELLA
In pregio hai troppo
la mia pietá.

CARLO
Troppo? ah! che dici? E quale,
qual havvi affetto, che pareggi, o vinca
quel dolce fremer di pietá, che ogni alto
cor prova in se? che a vendicar gli oltraggi
val di fortuna; e piú nomar non lascia
infelici color, che al comun duolo
porgon sollievo di comune pianto?

Vittorio Alfieri     -     Tragedia: FILIPPO
Scena II




ISABELLA
Che parli?... Io, sí, pietá di te... Ma... oh cielo!...
Certo, madrigna io non ti son: se osassi
per l'innocente figlio al padre irato
parlar, vedresti...

CARLO
E chi tant'osa? E s'anco
pur tu l'osassi, a te sconviensi. Oh dura
necessità!... d'ogni sventura mia
cagion sei tu, benché innocente, sola:
eppur, tu nulla a favor mio...

ISABELLA
Cagione
io delle angosce tue?

CARLO
Sí: le mie angosce
principio han tutte dal funesto giorno,
che sposa in un data mi fosti, e tolta.

ISABELLA
De! che rimembri?... Passeggera troppo
fu quella speme.

CARLO
In me cogli anni crebbe
parte miglior di me: nudriala il padre;
quel padre sí, cui piacque romper poscia
nodi solenni...

ISABELLA
E che?...

CARLO
Suddito, e figlio
di assoluto signor, soffersi, tacqui,
piansi, ma in core; al mio voler fu legge
il suo volere: ei ti fu sposo: e quanto
io del tacer, dell'obbedir, fremessi,
chi 'l può saper, com'io? Di tal virtude
(e virtude era, e piú che umano sforzo)
altero in cor men giva, e tristo a un tempo.
Innanzi agli occhi ogni dover mio grave
stavami sempre; e s'io, pur del pensiero,
fossi reo, sallo il ciel, che tutti vede
i piú interni pensieri. In pianto i giorni,
le lunghe notti in pianto io trapassava:
che pro? l'odio di me nel cor del padre,
quanto il dolore entro al mio cor, crescea.

ISABELLA
L'odio non cape in cor di padre, il credi;
ma il sospetto bensí. L'aulica turba,
che t'odia, e del tuo spregio piú si adira
quanto piú il merta, entro al paterno seno
forse versò il sospetto...

CARLO
Ah! tu non sai,
qual padre io m'abbia: e voglia il ciel, che sempre

lo ignori tu! gli avvolgimenti infami
d'empia corte non sai: né dritto cuore
creder li può, non che pensarli. Crudo,
piú d'ogni crudo che dintorno egli abbia,
Filippo è quei che m'odia; egli dà norma
alla servil sua turba; ei d'esser padre,
se pure il sa, si adira. Io d'esser figlio
giá non oblio perciò; ma, se obliarlo
un dí potessi, ed allentare il freno
ai repressi lamenti; ei non mi udrebbe
doler, no mai, né dei rapiti onori,
né della offesa fama, e non del suo
snaturato inaudito odio paterno;
d'altro maggior mio danno io mi dorrei...
Tutto ei mi ha tolto il dí, che te mi tolse.

ISABELLA
Prence, ch'ei t'è padre e signor rammenti
sí poco?...

CARLO
Ah! scusa involontario sfogo
di un cor ripieno troppo: intera aprirti
l'alma pria d'or, mai nol potea..
ISABELLA
Né aprirla
tu mai dovevi a me; né udir...

CARLO
T'arresta;





deh! se del mio dolore udito hai parte,
odilo tutto. A dir mi sforza...

ISABELLA
Ah! taci;
lasciami.

CARLO
Ahi lasso! Io tacerò; ma, ho quanto
a dir mi resta! Ultima speme...

ISABELLA
E quale
speme ha, che in te non sia delitto?

CARLO
... Speme,...
che tu non m'odj.

ISABELLA
Odiarti deggio, e il sai,...
se amarmi ardisci.

CARLO
Odiami dunque; innanzi
al tuo consorte accusami tu stessa...

ISABELLA
Io profferire innanzi al re il tuo nome?

CARLO
Sí reo m'hai tu?



ISABELLA
Sei reo tu solo?

CARLO
In core
dunque tu pure?...

ISABELLA
Ahi! che diss'io?... Me lassa!...
O troppo io dissi, o tu intendesti troppo.
Pensa, deh! chi son io; pensa, chi sei.
L'ira del re mertiamo; io, se ti ascolto;
tu, se prosiegui.

CARLO
Ah! se in tuo cor tu ardessi,
com'ardo e mi struggo io; se ad altri in braccio
ben mille volte il dí l'amato oggetto
tu rimirassi: ah! lieve error diresti
lo andar seguendo il suo perduto bene;
e sbramar gli occhi; e desiar talvolta,
qual io mi fo, di pochi accenti un breve
sfogo innocente all'affannato core.

ISABELLA
Sfuggimi, deh!... Queste fatali soglie,
fin ch'io respiro, anco abbandona; e fia
per poco...

CARLO
Oh cielo! E al genitor sottrarmi


potrei cosí? Fallo novel mi fora
la mal tentata fuga: e assai giá falli
mi appone il padre. Il solo, ond'io son reo,
nol sa.

ISABELLA
Nol sapess'io!

CARLO
Se in ciò ti offesi,
ne avrai vendetta, e tosto. In queste soglie
lasciami: a morte se il duol non mi tragge,
l'odio, il rancor mi vi trarrá del padre,
che ha in se giurato, entro al suo cor di sangue,
il mio morire. In questa orribil reggia,
pur cara a me poiché ti alberga, ah! soffri,
che l'alma io spiri a te dappresso...

ISABELLA
Ahi vista!...
Finché qui stai, per te pur troppo io tremo.
Presaga in cor del tristo tuo destino
una voce mi suona... - Odi; la prima,
e in un di amor l'ultima prova è questa,
ch'io ti chieggio, se m'ami; al crudo padre
sottratti.

CARLO
Oh donna!... ell'è impossibil cosa.






ISABELLA
Sfuggi me dunque, or piú di pria. Deh! serba
mia fama intatta, e serba in un la tua.
Scolpati, sí, delle mentite colpe,
onde ti accusa invida rabbia: vivi,
io tel comando, vivi. Illesa resti
la mia virtú con me: teco i pensieri,
teco il mio core, e l'alma mia, mal grado
di me, sian teco: ma de' passi miei
perdi la traccia; e fa', ch'io piú non t'oda,
mai piú. Del fallo è testimon finora
soltanto il ciel; si asconda al mondo intero;
a noi si asconda: e dal tuo cor ne svelli
fin da radice il sovvenir,... se il puoi.

CARLO
Piú non mi udrai? mai piú?....

Scena III
CARLO
Me lasso!... Oh giorno!...
Cosí mi lascia?... Oh barbara mia sorte!
Felice io sono, e misero, in un punto...

Scena IV
PEREZ
Su l'orme tue, signor... Ma, oh ciel! turbato
donde sei tanto? oh! che mai fia? sei quasi
fuor di te stesso... Ah! parla; al dolor tuo




mi avrai compagno. - Ma, tu taci? Al fianco
non ti crebb'io da' tuoi piú teneri anni?
Amico ognor non mi nomasti?...

CARLO
Ed osi
in questa reggia profferir tal nome?
Nome ognor dalle corti empie proscritto,
bench'ei spesso vi s'oda. A te funesta,
a me non util, fora omai tua fede.
Cedi, cedi al torrente; e tu pur segui
la mobil turba; e all'idolo sovrano
porgi con essa utili incensi e voti.

PEREZ
Deh! no, cosí non mi avvilir: me scevra
dalla fallace turba: io... Ma che vale
giurar qui fe? qui, dove ogni uom la giura,
e la tradisce ogni uomo. Il cor, la mano
poni a piú certa prova. Or di'; qual debbo
per te affrontar periglio? ov'è il nemico
che piú ti offende? parla.

CARLO
Altro nemico
non ho, che il padre; che onorar di un tanto
nome i suoi vili or non vogl'io, né il deggio.
Silenzio al padre, agli altri sprezzo oppongo.

PEREZ
Ma, non sa il vero il re: non giusto sdegno
contro a te quindi in lui si accende; e ad arte
altri vel desta. In alto suono, io primo,
io gliel dirò per te...

CARLO
Perez, che parli?
Piú che non credi, il re sa il ver; lo abborre
piú ch'ei nol sa: né in mio favore egli ode
voce nessuna...

PEREZ
Ah! di natura è forza,
ch'ei l'oda.

CARLO
Chiuso inaccessibil core
di ferro egli ha. Le mie difese lascia
alla innocenza; al ciel, che pur talvolta
degnarla suol di alcun benigno sguardo.
Intercessor, s'io fossi reo, te solo
non sdegnerei: qual di amistade prova
darti maggior poss'io?

PEREZ
Del tuo destino
(e sia qual vuolsi) entrar deh! fammi a parte;
tant'io chieggo, e non piú: qual altro resta
illustre incarco in cosí orribil reggia?




CARLO
Ma il mio destin, (qual ch'egli sia) nol sai,
ch'esser non può mai lieto?

PEREZ
Amico tuo,
non di ventura, io sono. Ah! s'è pur vero,
che il duol diviso scemi, avrai compagno
inseparabil me d'ogni tuo pianto.

CARLO
Duol, che a morir mi mena, in cor rinserro;
alto dolor, che pur mi è caro. Ahi lasso!...
Che non tel posso io dire?... Ah! no, non cerco,
né v'ha di te piú generoso amico:
e darti pur di amistá vera un pegno,
coll'aprirti il mio core, oh ciel! nol posso.
Or va; di tanta, e sí mal posta fede,
che ne trarresti? Io non la merto: ancora
tel ridico, mi lascia. Atroce fallo
non sai, ch'è il serbar fede ad uom, cui serba
odio il suo re?

PEREZ
Ma, tu non sai, qual sia
gloria, a dispetto d'ogni re, il serbarla.
Ben mi trafiggi, ma non cangi il core,
col dubitar di me. Tu dentro al petto
mortal dolor, che non puoi dirmi, ascondi?


Saper nol vo'. Ma s'io ti chieggio, e bramo,
che a morir teco il tuo dolor mi tragga,
duramente negarmelo potresti?

CARLO
Tu il vuoi, tu dunque? ecco mia destra; infausto
pegno a te dono di amistade infausta.
Te compiango; ma omai del mio destino
piú non mi dolgo; e non del ciel, che largo
m'è di sí raro amico. Oh quanto io sono,
quanto infelice io men di te, Filippo!
Tu, di pietá piú che d'invidia degno,
tra pompe vane e adulazion mendace,
santa amistá non conoscesti mai.

................................................
FILIPPO
Atto V - Scena I


CARLO
Ch'altro a temer, ch'altro a sperar mi resta,
che morte omai? Scevra d'infamia almeno
l'avessi!... Ah! deggio dal crudel Filippo
piena d'infamia attenderla. - Un sol dubbio,
e peggior d'ogni morte, il cor mi punge.
Forse ei sa l'amor mio: nei fiammeggianti

torvi suoi sguardi un non so qual novello
furor, mal grado suo, tralucer vidi...
e il suo parlar colla regina or dianzi...
e l'appellarmi; e l'osservar... Che fia...
(oh ciel!) che fia, se a lui sospetta a un tempo
la consorte diventa? Oimè! giá forse
punisce in lei la incerta colpa il crudo;
che del tiranno la vendetta sempre
suol prevenir l'offesa... Ma, se a tutti
il nostro amor, ed a noi quasi, è ignoto,
donde il sapria?... me forse avrian tradito
i sospir miei? Che dico? a rio tiranno
noti i sospir d'amore?... A un cotal padre
penetrare il mio amor mestier fors'era,
per farsi atroce, e snaturato? Al colmo
l'odio era in lui, né piú indugiar potea.
Ben venga il dí, ben venga, ov'io far pago
della mia testa il posso. - Ahi menzognera
turba di amici della sorte lieta!
Dove or sei tu? nulla da voi, che un brando,
vorrei; ma un brando, onde all'infamia tormi,
nessun di voi mel porgerà... Qual sento
stridor?... la ferrea porta si disserra!
Che mi s'arreca? udiam... Chi fia?
Scena II
CARLO
Chi veggio?
Regina, tu? Chi ti fu scorta? Oh! quale
ragion ti mena? amor, dover, pietade?






Come l'accesso avesti?

ISABELLA
Ah! tutto ancora
non sai l'orror del tuo feral destino:
tacciato sei di parricida; il padre
ti accusa ei stesso; un rio consiglio a morte
ti danna; ed altro all'eseguir non manca,
che l'assenso del re.

CARLO
S'altro non manca,
eseguirassi tosto.

ISABELLA
E che? non fremi?

CARLO
Gran tempo è giá, ch'io di morir sol bramo.
E il sai ben tu, da cui null'altro io chiesi,
che di lasciarmi morire ove sei.
Mi è dura, sí, l'orrida taccia; è dura,
ma inaspettata no. Morir m'è forza;
fremerne posso, ove tu a me lo annunzi?

ISABELLA
Deh! non parlarmi di morte, se m'ami.
Cedi per poco all'impeto...




CARLO
Ch'io ceda?
Or, ben mi avveggo; hai di avvilirmi assunto
il crudo incarco; il genitore iniquo
a te il commette...

ISABELLA
E il puoi tu creder, prence?
Ministra all'ire io di Filippo?...

CARLO
A tanto
potria sforzarti, anco ingannarti ei forse.
Ma, come or dunque a me venirne in questo
carcer ti lascia?

ISABELLA
E il sa Filippo? Oh cielo!
guai, se il sapesse!...

CARLO
Oh! che di' tu? Filippo
qui tutto sa: chi mai rompere i duri
comandi suoi?...

ISABELLA
Gomez.

CARLO
Che ascolto? Oh! quale,



qual profferisti abbominevol nome,
terribile, funesto!...
ISABELLA
A te nemico
non è, qual pensi...

CARLO
Oh ciel! s'io a me il credessi
amico mai, piú di vergogna in volto
avvamperei, che d'ira.

ISABELLA
Ed ei pur solo
sente or di te pietá. L'atroce trama
ei del padre svelommi.

CARLO
Incauta! ahi troppo
credula tu! che festi? ah! perché fede
prestavi a tal pietá? Se il ver ti disse
dell'empio re l'empissimo ministro,
ei col ver t'ingannò.

ISABELLA
Ma il dir, che giova?
Di sua pietá non dubbj effetti or tosto
provar potrai, se a' preghi miei ti arrendi.
Ei qui mi trasse di soppiatto; e i mezzi
giá di tua fuga appresta: io ve l'indussi.




Deh! non tardar, t'invola: il padre sfuggi,
la morte, e me.

CARLO
Fin che n'hai tempo, ah! lungi
da me tu stessa involati; che a caso
Gomez pietá non finge. In qual cadesti
insidíoso laccio! Or sí, ch'io fremo
davvero: omai, qual dubbio avanza? appieno,
Filippo appien giá penetrò l'arcano
dell'amor nostro...

ISABELLA
Ah! no. Poc'anzi io il vidi,
mentre dal suo cospetto a viva forza
eri strappato: ei d'ira orrenda ardea:
io tremante ascoltavalo; e lo stesso
tuo sospetto agitavami. Ma poscia,
in me tornata, il suo parlar rammento;
e certa io son, che ogni altra cosa ei pensa,
fuor che questa, di te... Perfin sovviemmi,
ch'ei ti tacciò d'insidíar fors'anco,
oltre i suoi giorni, i miei.

CARLO
Mestier sarebbe
che al par di lui, di lui piú vile, io fossi,
a penetrar tutte le ascose vie
dell'intricato infame laberinto.

Ma, certo è pur, che orribil fraude asconde
questo inviarti a me: ciò ch'ei soltanto
finor sospetta, or di chiarire imprende.
Ma, sia che vuol, tu prontamente i passi
volgi da questo infausto loco: indarno
tu credi, o speri, che adoprarsi voglia
Gomez per me: piú indarno ancor tu speri,
s'anco egli il vuol, che gliel consenta io mai.

ISABELLA
E fia pur ver, ch'infra tal gente io tragga
gl'infelici miei dí?

CARLO
Vero, ah pur troppo! -
Non indugiar piú omai: lasciami; trammi
d'angoscia mortalissima... Mi offende
pietade in te, se di te non la senti...
Va', se hai cara la vita...

ISABELLA
A me la vita
cara?...

CARLO
Il mio onor, dunque, e la fama tua.

ISABELLA
Ch'io t'abbandoni in tal periglio?

CARLO
A tale
periglio esporti? a che varria? Te stessa
tu perdi, e me non salvi. Un sol sospetto
virtude macchia. Deh! la iniqua gioia
togli al tiranno di poter tacciarti
del sol pensier pur rea. Va': cela il pianto;
premi i sospir nel petto: a ciglio asciutto,
con intrepida fronte udir t'è forza
del mio morire. Alla virtú fian sacri
quei tristi dí, che a me sopravvivrai...
E, se pur cerchi al tuo dolor sollievo,
fra tanti rei, sol uno ottimo resta;
Perez, cui ben conosci: ei pianger teco
potrà di furto;... e tu, con lui talvolta
di me parlar potrai... Ma intanto, vanne;
esci;... fa' ch'io non pianga,... a brano a brano
deh non squarciarmi il cuore! ultimo addio
prendi,... e mi lascia;... va: tutta or m'è d'uopo
la mia virtude; or, che fatal si appressa
l'ora di morte...

Scena III
FILIPPO
Ora di morte è giunta:
perfido, è giunta: io te l'arreco.

ISABELLA
Oh vista!
oh tradimento!...



Trama della TRAGEDIA "FILIPPO"

Don Carlos, figlio di Filippo II, e Isabella, sposa al re per ragioni di stato, scoprono di amarsi. La tragedia si apre nella reggia di Madrid con il lamento della regina sull'amore che nutre per l'uomo.
Il monologo di Isabella mostra come il sentimento sia denso di sensi di colpa: ella non può, infatti, amare il figlio del proprio marito, e si strugge dal dolore. Soggiunge Don Carlos, il quale altro non può che manifestare anch'egli i propri sentimenti, ma viene zittito dalla donna, che è cosciente dell'impossibile realizzazione dei desideri reciproci. Don Carlos palesa tutto il suo rancore verso il padre, Filippo, che inizialmente stipulò il fidanzamento tra il figlio e la principessa francese per poi romperlo e convolare con lei a nozze.
Isabella abbandona la scena chiedendo a Carlos di dimenticarsi di lei. Entra quindi Perez, dietro al quale si cela la figura del segretario di Stato, che chiede a Carlos di condividere con lui i segreti del proprio stato d'animo. Don Carlos, cosciente di dovergli rivelare l'odio verso il proprio padre, lamenta la propria situazione disperata svelando il loro antagonismo, nodo centrale della tragedia: si delinea così, dalle parole dell'Infante, la figura del monarca/padre tirannico.
Filippo, scoperto il segreto che lega la moglie al figlio, sfrutta l'occasione per sfogare il suo odio contro Don Carlos. Convoca dunque il fido Gomez, chiedendogli di assistere, nascosto, ad un colloquio tra lui ed Isabella: compito del servitore sarà quello di osservare con accortezza la donna, per leggerle sul volto gli eventuali segni che potranno svelare la verità sui sentimenti da lei nutriti.
Isabella sottostà titubante all'interrogatorio del monarca, che le chiede subdolamente cosa ella pensi del figlio: Filippo dichiara che Don Carlos trama alle sue spalle e che è giunto il momento di prendere una decisione riguardo l'eventuale punizione da destinargli. Si mostra, però, fintamente contrito della situazione, mostrandosi combattuto tra il dovere regale e il sentimento paterno. Isabella tenta di difendere Don Carlos, giurando ch'egli sia innocente ed estraneo ai complotti dei quali è sospettato. Filippo convoca, dinanzi a lei, Gomez ed il figlio, accusandolo di aver preso in simpatia i Fiamminghi: l'Infante si difende dicendogli che è un tiranno, che non riesce a provare pietà per i popoli a lui sottomessi.
Filippo finge di perdonare il figlio, e gli chiede di ritirarsi, come alla moglie. Rimasto solo con Gomez, esprime in pochi versi l'intuizione del reale legame che unisce i due:
A parte, Carlos redarguisce Isabella sulla linea di difesa tenuta nei suoi confronti e tenta di metterla al corrente della mancanza di pietà del padre. Filippo, nel frattempo, convoca Leonardo, Perez e Gomez in un Consiglio di coscienza, seduta dei fidi consiglieri del sovrano nella presa di decisioni in linea con i principi religiosi. Dinanzi a loro lancia la falsa accusa di tentato parricidio da parte di Carlos, che sarebbe stato fermato da un cortigiano chiamato Rodrigo, che non appare mai in scena né più menzionato. Seppur titubanti nel dover esprimersi nei confronti di un Infante, Leonardo e Gomez asseriscono di credere nelle parole del loro monarca e, dunque, alla colpevolezza di Carlos. La scena si riempie di dialoghi che si apprestano a svariate letture: il tradimento filiale, la cecità del potere, il servilismo della religione al potere monarchico. Perez, tuttavia, invoca la pietà per evitare la condanna a morte di Carlos.
Rimasto solo, Filippo nutre odio nei confronti di Perez: difendendo Carlos, diviene ai suoi occhi un traditore della corona.
Filippo, seguito da alcuni soldati armati, arresta il figlio, assorto nei suoi pensieri, con la falsa accusa di tentato parricidio. Carlos è sorpreso, ma non tenta la difesa, esprime solo di conoscere il perché di tale azione nei suoi confronti. Filippo lo odia e questo è un modo per punirlo. Il conflitto tra i due è espresso in una serie di velenose battute, nelle quali il monarca assume un atteggiamento sdegnoso e distaccato, appellandosi all'onore ed alla ragion di stato, mentre il figlio sviscera la disaffezione nei suoi confronti, chiamandolo tiranno sanguinario. A nulla vale il pensiero di Carlos, che viene rinchiuso in prigione.
Isabella, disperata, accorre per chiedere spiegazioni e Filippo, nuovamente, insinua parole sibilline su un possibile amore tra lei e Carlos. Rimasta sola, viene raggiunta da Gomez che le reca notizia della prossima condanna a morte dell'Infante. Anch'egli, addestrato da Filippo, con sapiente retorica insinua nella mente di lei il sospetto che i suoi sentimenti siano noti. Allo stesso tempo, ammette di sapere, come tutti, che le accuse di Filippo sono false, e che nessuno dei consiglieri ha osato opporsi all'arresto di Carlos. Gomez sta tendendo una trappola alla regina: Isabella, sconcertata, chiede prima al consigliere di intercedere per il perdono dell'innocente e, vista l'impotenza di Gomez, gli suggerisce di aiutare Carlos a fuggire. Certa dell'impossibilità della cosa, prega Gomez di condurla alla prigione: sarà lei a condurre l'amato alla libertà.
Carlos riflette nella sua cella sulla possibilità che l'odio estremo del padre nasca dalla consapevolezza di lui dell'amore che lega il figlio alla moglie. Isabella viene introdotta nella prigione e confessa a Carlos di aver avuto l'aiuto di Gomez. Il principe, conoscendo la natura di questi, inorridisce e rimprovera la donna, che tenta di convincerlo che il consigliere sia un uomo onesto. Carlos invoca eroicamente la morte come unica possibilità di risoluzione del dramma, e conferma ad Isabella di potersi fidare solo di Perez: le chiede, inoltre, di nascondere i suoi sentimenti per salvarsi la vita dalle ire di Filippo.
Il monarca, però, ha teso una trappola ed irrompe nella cella, lanciando finalmente il suo grido d'accusa: adulterio. Carlos tenta la difesa della regina, ma inutilmente: Isabella, sgomenta della rabbia di Filippo, si fa risoluta ed ammette il suo sentimento nei confronti di Carlos, vomitando odio nei confronti del sovrano.
Giunge allora Gomez, con l'annuncio della morte di Perez per volere del tiranno: ha in mano l'arma con la quale il consigliere è stato ucciso. Filippo, nella sua rabbia vendicatrice, porge il ferro a Carlos, spingendolo ad uccidersi. Eroicamente, Carlos si pugnala. Isabella viene invitata da Filippo a vivere accanto a lui colma di dolore, e solo al passare di questo morire per mano sua. Isabella, però, afferra velocemente il pugnale dell'amato togliendosi la vita, pur di non rimanere accanto ad un uomo così privo di pietà.





CARLO
Ed io son presto a morte:
dammela tu.

FILIPPO
Morrai, fellon: ma pria,
miei terribili accenti udrete pria
voi, scellerata coppia. - Infami; io tutto,
sí, tutto io so: quella, che voi d'amore,
me di furor consuma, orrida fiamma,
m'è da gran tempo nota. Oh quai di rabbia
repressi moti! oh qual silenzio lungo!...
Ma entrambi al fin nelle mie man cadeste.
A che dolermi? usar degg'io querele?
Vendetta vuolsi; e avrolla io tosto; e piena,
e inaudita l'avrò. - Mi giova intanto
goder qui di vostr'onta. Iniqua donna,
nol creder giá, che amata io t'abbia mai;
né, che gelosa rabbia al cor mi desse
martíro mai. Filippo, in basso loco,
qual è il tuo cor, l'alto amor suo non pone;
né il può tradir donna che il merti. Offeso
in me il tuo re, non il tuo amante, hai dunque.
Di mia consorte il nome, il sacro nome,
contaminato hai tu. Mai non mi calse
del tuo amor; ma albergare in te sí immenso
dovea il tremor del signor tuo, che tolto
d'ogni altro amor ti fosse anco il pensiero. -
Tu seduttor, tu vile;... a te non parlo;


nulla in te inaspettato; era il misfatto
di te sol degno. - Indubitate prove
m'eran (pur troppo!) ancor che ascosi, i vostri
rei sospiri; e il silenzio, e i moti, e il duolo,
che ne' vostri empj cori al par racchiuso
vedeva, e veggo. - Or, che piú parlo? eguale
fu in voi la colpa; ugual fia in voi la pena.

CARLO
Che ascolto? In lei colpa non è: che dico?
Colpa? né l'ombra pur di colpa è in lei.
Puro il suo cor, mai di sí iniqua fiamma
non arse, io 'l giuro: appena ella il mio amore
seppe, il dannò...

FILIPPO
Fin dove ognun di voi
giungesse, io 'l so; so, che innalzato ancora
tu non avevi al talamo paterno
l'audace empio pensiere; ov'altro fosse,
vivresti or tu?... Ma, dalla impura tua
bocca ne uscí d'orrido amor parola;
essa l'udía; ciò basta.

CARLO
Io sol ti offesi;
né il niego: a me lieve di speme un raggio
sul ciglio balenò: ma il dileguava
la sua virtude tosto: ella mi udiva,
ma sol per mia vergogna; e sol, per trarmi


la rea malnata passíon dal petto...
Malnata, sí; tale or, pur troppo! ed era
giá legittima un dí: mia sposa ell'era,
mia sposa, il sai; tu me la davi; e darla
meglio potevi, che ritorla... Io sono
a ogni modo pur reo: sí, l'amo; e tolta
m'era da te;... che puoi tu tormi omai?
Saziati, su, nel sangue mio; disbrama
la rabbia in me del tuo geloso orgoglio:
ma lei risparmia; ella innocente appieno...

FILIPPO
Ella? in ardir, non in fallir, ti cede. -
Taci, o donna, a tua posta; anche lo stesso
tuo tacer ti convince: in sen tu pure
(né val che il nieghi) ardi d'orribil foco:
ben mel dicesti; assai, troppo il dicesti,
quand'io parlava di costui poc'anzi
teco ad arte: membrando a che mi andavi,
ch'ei m'era figlio? che tuo amante egli era,
perfida, dir tu non l'osavi. In cuore
men di lui forse il tuo dover tradisti,
l'onor, le leggi?

ISABELLA
... In me il silenzio nasce,
di timor no; stupore alto m'ingombra
del non credibil tuo doppio, feroce,
rabido cor. - Ripiglio al fin, ripiglio
gli attoniti miei spirti... Il grave fallo





d'esserti moglie, è al fin dover ch'io ammendi. -
Io finor non ti offesi: al cielo in faccia,
in faccia al prence, io non son rea: nel mio
petto bensí...

CARLO
Pietà di me fallace
muove i suoi detti: ah! non udirla...

ISABELLA
Indarno
salvarmi tenti: ogni tuo dire è punta,
che in lui piú innaspra la superba piaga.
Tempo non è, non piú, di scuse; omai
è da sfuggir l'aspetto suo, cui nullo
tormento agguaglia. - Ove al tiranno fosse
dato il sentir pur mai di amor la forza,
re, ti direi, che tu fra noi stringevi
nodi d'amore: io ti direi, che volto
ogni pensiero a lui fin da' primi anni
avea; che in lui posta ogni speme, io seco
trar disegnato avea miei dí felici.
Virtude m'era, e tuo comando a un tempo,
l'amarlo allor: chi 'l fea delitto poscia?
Tu, col disciorre i nodi santi, il festi.
Sciorgli era lieve ad assoluta voglia;
ma il cor, cosí si cangia? Addentro in core
forte ei mi stava: ma non pria tua sposa
fui, che repressa in me tal fiamma tacque.
Agli anni poscia, a mia virtude, e forse


a te spettava lo estirparla...

FILIPPO
Io dunque,
quanto non fer, né tua virtú, né gli anni,
ben io il farò: sí, nel tuo sangue infido
io spegnerò la impura fiamma...

ISABELLA
Ognora
sangue versare, e ognor versar piú sangue,
è il sol tuo pregio; ma, fia pregio, ond'io
il mio amore a lui tolto a te mai dessi?
A te, dissimil dal tuo figlio, quanto
dalla virtude è il vizio. - Uso a vedermi
tremar tu sei; ma, piú non tremo; io tacqui
finor la iniqua passion, che tale
la riputava in me: palese or sia,
or ch'io te scorgo assai piú ch'essa iniquo.

FILIPPO
Degno è di te costui; di lui tu degna. -
Resta a veder, se nel morir voi sete
forti, quanto in parlar...
Scena IV
FILIPPO
Gomez; compiuti
mie' cenni hai tu? Quant'io t'ho imposto arrechi?


GOMEZ
Perez trafitto muore: ecco l'acciaro,
che gronda ancor del suo sangue fumante.

CARLO
Oh vista!

FILIPPO
In lui dei traditor la schiatta
spenta pur non è tutta... Ma tu, intanto,
mira qual merto a' tuoi fedeli io serbo.

CARLO
Quante (oimè!) quante morti veder deggio,
pria di morir? Perez, tu pure?... Oh rabbia!
Giá giá ti seguo. Ov'è, dov'è quel ferro,
che spetta a me? via, mi s'arrechi. Oh! possa
mio sangue sol spegner la sete ardente
di questo tigre!

ISABELLA
Oh! saziar io sola
potessi, io sola, il suo furor malnato!

FILIPPO
Cessi la infame gara. Eccovi, a scelta
quel pugnale, o quel nappo. O tu, di morte
dispregiator, scegli tu primo.

CARLO
Oh ferro!...




Te caldo ancora d'innocente sangue,
liberator te scelgo. - O tu, infelice
donna, troppo dicesti: a te null'altro
riman, che morte: ma il velen deh! scegli;
men dolorosa fia... D'amor infausto
quest'è il consiglio estremo: in te raccogli
tutto il coraggio tuo: - mirami...(2) Io moro...
Segui il mio esempio. - Il fatal nappo afferra...
non indugiare...

ISABELLA
Ah! sí; ti seguo. O morte,
tu mi sei gioja; in te...

FILIPPO
Vivrai tu dunque;
mal tuo grado vivrai.

ISABELLA
Lasciami... Oh reo
supplizio! ei muore; ed io?...

FILIPPO
Da lui disgiunta,
sí, tu vivrai; giorni vivrai di pianto:
mi fia sollievo il tuo lungo dolore.
Quando poi, scevra dell'amor tuo infame,
viver vorrai, darotti allora io morte.

ISABELLA
Viverti al fianco?... io sopportar tua vista?...

Non fia mai, no... Morir vogl'io... Supplisca
al tolto nappo...(3) il tuo pugnal...

FILIPPO
T'arresta...

ISABELLA
Io moro...

FILIPPO
Oh ciel! che veggio?

ISABELLA
... Morir vedi...
la sposa,... e il figlio,... ambo innocenti,... ed ambo
per mano tua... - Ti sieguo, amato Carlo...

FILIPPO
Scorre di sangue (e di qual sangue!) un rio...
Ecco, piena vendetta orrida ottengo;...
ma, felice son io?... - Gomez, si asconda
l'atroce caso a ogni uomo. - A me la fama,
a te, se il taci, salverai la vita.

Don Carlos
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