CULTURA
COLLABORA
GRANDI POETI
NEWS



















































Ed anche a me da l'innocente cuna
ridon due bimbi che l'amor mi diede
e quei due bimbi son la mia fortuna,
la mia bella speranza e la mia fede.

Anch'io, ne' chiostri che la notte imbruna,
anch'io singhiozzo d'una tomba a 'l piede:
anch'io soffro, lavoro, amo, ed alcuna
vergogna a 'l famigliar desco non siede.

L'anime intanto castigate e buone
che confondon gli apostoli e i poeti,
l'anime pie mi credono un briccone

perchè gli affetti miei cari e segreti
non portai tutti quanti a processione
ragliando salmi come fanno i preti.

__________________________

Idealisti saggi, ho molto amato
de la mia gioventù ne 'l facil corso:
chi molto amò ne 'l mondo è perdonato
tal de 'l vostro Gesù suona il discorso.

Così, critici miei, tutto lavato,
senza la macchiolina d'un rimorso,
da la gran voce de 'l Signor chiamato
a 'l cielo salirò con l'ali a 'l dorso.

Ivi la donna mia sovra le stelle,
angelo bianco, arcangelo giocondo,
bellissima vedrò tra l'altre belle;

e furtiva verrà de 'l cielo in fondo
a farmi le carezze e le frittelle
che mi fa tanto buone a questo mondo.

Apostata, marrano e rinnegato
ecco bestemmierò l'arte che amai,
de 'l mansueto ovil saggio castrato
belerò madrigali a' macellai,

farò poemi casti a buon mercato,
rogiti in versi sciolti pe' notai,
e mi confesserò da 'l mio curato
tre volte al giorno se peccassi mai:

maledirò la carne di maiale,
farò un bambino con la fantasia
d'un platonico amor frutto ideale:

e ne 'l nome di Cristo e di Maria
amerò, servirò l'arte morale
se mi saprete dir che cosa sia.

A FELICE CAVALLOTTI

Sarà il caso di vedere se per ritemprarci al gusto
antico vi sia bisogno di farci dare anche gli abiti a
prestito dai nostri nonni.
F. CAVALLOTTI, Prefaz. alla traduz. di TIRTEO.
Ma, per l'amor di Dio, ma che t'han fatto
questi disgraziatissimi elzeviri
perchè tu me li tiri
per gli orecchi e li sferzi ad ogni tratto?

Perchè son piccolini di natura
me li vuoi prender tutti a scappellotti?
Ma, mio buon Cavallotti,
vorresti de gli in-foglio a dirittura?

Dio che a i sindaci dà prestiti a premi,
tartufi a l'amor mio, pomate a i calvi,
Dominedio ci salvi
da i libri troppo lunghi e da i poemi!

Lo so, costano troppo e son piccini,
pieni di fregi e d'altre gherminelle,
ma son tanto bellini!
Piacciono tanto a le donnine belle!

C'è il budellame, già, l'osso che crocchia,
anatomie rubate a lo spedale
orgie di carnovale,
donne scollate sino a le ginocchia,

==>SEGUE



c'è tutto quel che vuoi: ma se un po' d'arte,
se un po' d'ingegno, se un pochin di vita
calda, vera, sentita,
palpita e ride ne le tenui carte,

non lapidarci, non gridarci abbasso;
perchè amammo anche noi, soffrimmo, e il pianto
lo tramutammo in canto
quando i vecchi giocavano a 'l ribasso.

Non badare a' trochei se il verso torna,
non contar le minuscole a 'l Carducci
che in viso a Vanni Fucci
de 'l giambo archilocheo squadra le corna.

Tu che di libertà segui la parte,
che ne la pugna sua ti sei scagliato
non ultimo soldato,
non ci negar la libertà de l'arte.

Anche l'arte cammina e per adesso
lascia che gli elzevir vadano avanti:
se ce n'è de' calanti,
l'arte d'Italia camperà lo stesso.

Sai, sessant'anni fa, quanto spavento,
che vaticini orribili e diversi
perchè si disse in versi
barba a la barba e non l'onor de 'l mento!

L'arte, si disse, casca ruzzoloni:
tornano i Goti, i Visigoti e il resto!
E dopo tutto questo
che cosa capitò? Venne il Manzoni.


Se nasco un'altra volta a questo mondo
vi dò parola che mi farò prete
e sarò così ciuco e così tondo
che mi faranno vescovo. Vedrete.

E vescovo, sarò tanto iracondo
che il Papa, per lasciar la chiesa in quiete,
mi farà cardinale e in fondo in fondo
non sbaglierà così come credete.

Poi sarò Papa. Allora, oh, staran freschi
i poveri poeti petrarcheschi
da i pudori cattolici e frateschi!

Ch'io crepi adesso se cacciar non faccio
con una bolla lunga mezzo braccio
cent'anni d'indulgenza ne 'l Boccaccio.






Quando vedrai cader le foglie morte
ed il lunario predirà la neve,
allungherai le tue maniche corte,
mia freddolosa, e vestirai di greve.

Le beltà velerai che bianche ho scorte
e le scultorie braccia e la man breve
e il seno, il sen che palpitò sì forte
a 'l primo bacio mio timido e lieve.

Pur qualche volta forse, e non invano,
per gli occhi pregheran le mie parole
e i veli getterai per me lontano;

e tolto il guanto che serrarla suole
nuda ti bacierò la bianca mano...
il braccio no. La critica non vuole.
A CERTI FARISEI

O piccoli pedanti
slattati l'altro ieri
che fate gl'importanti,
ed i cacapensieri,

armento d'ignoranti,
seme di cavalieri,
lievito di birbanti
fatti carabinieri,

censoruzzoli savi
che le forbici avete
ne le zampine gravi,

meglio usar le potete
al mestiere de gli avi
che tosavan monete.

ALLA MUSA

... si nonnulla tibi paulo petulantiora videbuntur,
erit eruditionis tuae cogitare summos illos
et gravissimos viros qui talia scripserunt, non
modo lascivia rerum, sed ne verbis quidem nudis
abstinuisse.
C. PLINI CAEC. Sec. Ep. IV, 14.
I.
Povera Musa mia, te l'han pur detto
il nome che a le donne è villania
perchè t'han visto nuda in un sonetto
senza la foglia de l'ipocrisia!

E pur mi torni ed il divino aspetto
concedi sempre al cor che lo desia,
e mi lasci dormir sovra il tuo petto
e mi lasci sognar la gloria mia.

Ahi, ma de 'l lauro tuo non mi si abbella,
Musa, la fronte che su 'l carme suda;
orïente non v'ha per la mia stella.

E sia, purchè su 'l petto ancor ti chiuda
come l'amor superbamente bella,
come la verità candida e nuda.

IV.
Nè mai l'orgoglio tuo, come Torquato,
bella duchessa, delirando offesi,
quando co' baci che non m'hai negato
ambo le chiavi de 'l tuo cor mi presi.

Con la candida man tu m'hai guidato
a giocondi misteri altrui contesi...
O talamo ducal, come beato,
come superbo a la tua gloria ascesi.

Duchessa bionda, i versi miei novelli
così furon per te, pe 'l roseo fiore
de le pompose forme e gli occhi belli.

Cantai le notti in cui lasciommi amore
ne 'l profumo dormir de' tuoi capelli,
fra le tue braccia bianche e su 'l tuo core.



V.
Piedini che guizzate impertinenti
fuori da le gonnelle inamidate,
labbra color di rosa e sorridenti,
riccioli biondi e provocanti occhiate,

amor cheti de l'alma e confidenti
intimità su l'origlier cambiate,
spasimi, voluttà, gaudii, tormenti
che l'amor de la carne accompagnate,

rendete a 'l labbro mio la fiamma chiusa
entro l'accidia de l'ingegno gramo;
vita fatela voi ne 'l carme infusa.

Palpitate ne 'l ritmo a cui vi chiamo,
candide nudità de la mia Musa:
v'odian Tartufo e gl'impotenti: io v'amo.

Ahi, ma le note giulive cessano;
fermarci è forza, dobbiam dividerci...
O sogni, così mi fuggite!
O mia gioia, così m'abbandoni!

Tu maledetta voce de l'odio,
perchè mi suoni bieca ne l'anima!
La pace de 'l sogno m'hai tolto!
Ecco urlando a la pugna ritorno.

Scherno a l'immane naso de' critici,
ne 'l ritmo audace di un'ode alcaica,
delirio de l'anima mia,
inneffabil delirio, t'incido.




PER NOZZE

Quando la donna de 'l tuo cor l'avrai
ne la stanza segreta, ove la festa
co' rumor non t'insegue, e da la testa
la ghirlanda ed il vel le scioglierai,

de l'ignoto a 'l terror tu la vedrai
rabbrividir ne la virginea vesta
ed il viso chinar tutta modesta
poichè a l'orecchio le susurrerai:

— Hanno promesso tutto un paradiso
a la verginità fredda e dimessa,
a la carne domata, a 'l senso ucciso:

ma tu, mia donna, a 'l talamo t'appressa,
donati tutta quanta in un sorriso,
ed io sbugiarderò la rea promessa. —
No, sgualdrina non è perchè ricusa
le comode bugie de l'ideale,
no, sgualdrina non è la nostra Musa
perchè i voti non ha de la vestale.

Non l'accusate se velar non usa
de 'l tempo suo l'oscenità brutale;
il vero è quello, il vero è la sua scusa,
peggio per voi se lo faceste tale.

O donnine da l'anima di ghiaccio
che cantate Gesù su la spinetta,
sprangate l'uscio a doppio catenaccio;

passar Mirrina, Lalage, Fiammetta,
l'arte de 'l Venosino e de 'l Boccaccio...
Curate i fiori bianchi e la calzetta.


IN MUSICA

Lasciali dir; tu m'ami,
tu che mi stai nel core,
nè per calunnie infami
potrai fuggir da me.

T'ho dato tutto: il canto,
la gioventù, l'amore...
Voglio morirti accanto,
voglio morir con te.

IN MARE

Pobre barquilla mia
entre peñascos rota,
sin velas desvelada,
y entre las olas sola.
LOPE DE VEGA. La
Barquilla, Oda I.
Passa la nave mia cupa tra i sibili
de' farisei che su la riva seggono.
Vien la tempesta. Ne le negre nuvole
i lampi azzurri strisciano.

Schiumano l'onde che la prua schiaffeggiano,
fra le corde distese urla la raffica:
laggiù, laggiù ne l'orizzonte livido
è scomparsa la patria.

Solo ne l'ampio mar, solo ne 'l turbine,
navigo arditamente a rive incognite.
La mia bandiera l'ho inchiodata a l'albero
come una sfida a 'l fulmine.

Passa la nave mia, tutte le candide
vele de l'aquilon donate a l'impeto;
passa cacciata ne le dense tenebre
da 'l fato inesorabile.

Ahi, vola forse destinata a frangersi
su le scogliere che da' flutti emergono!
Volo forse con lei, cosciente vittima,
a l'agonia de' naufraghi!

Vedrò morendo de gli squali orribili
gli occhi feroci dove brucia il fosforo,
le aguzze scane sentirò configgere
ne le mie carni lacere:

co 'l tenerume de le bocche viscide
a 'l moribondo aderiranno i polipi,
sentirò di morir, sentirò suggermi
lentamente le viscere,

ma non mi pentirò, ma ne gli spasimi
de 'l mio lungo morir non voglio piangere,
ma voglio il Dio de' farisei deridere
con l'ultima bestemmia.


CLAM
Sentio sub me validum flatum,
vox mihi salda est: quid erit, Philippe,
si meae laudes canimus Zaninae?
Accipe pivam.
MERL. COCCAI, Zanitonella. Ecl. I.

O deliciae deliciarum
solve comam, deme avarum,
tegumentum papillarum,
abiice subuculam.

Absit metus, nam censores
frustra rimant extra fores,
nec blanditias, nec lepores
nostros capiunt auribus.

Pande brachia, pande sinum,
cane carmen fescenninum:
nesciunt critici latinum
quamvis macaronicum.

Ecce manet nos paratum,
hic sub umbris molle stratum;
ecce vocat nos peccatum,
ecce vocant praelia.

Flos labiarum, flos amoenus
flos amoris mellis plenus,
Io, quam dulcis ridet Venus
in labellis roseis!

Io, quam fortis, quam formosa
Cinthia mea pruriginosa,
tendis ilia illecebrosa
amatorio impetu!

Io peccatum, Io blanditiae,
Io convicium pudicitiae;
Io postremus, Io, letitiae
apex ineffabilis!

Iam demissi sunt lacerti
nuper collo meo conserti;
languescentes et incerti
ecce pallent oculi.

==>SEGUE
Prostat pulvinar fucatum
flecte caput fatigatum,
sterne, Cinthia, sterne latum,
prostat conscia culcita.

Dum en carmen susurrabo,
tibi somnum conciliabo,
tuam flabello ventilabo
nuditatem candidam.

Dicam nunc amoris laudes,
dicam basia, amplexus, fraudes
quibus tu, mea Cinthia, gaudes,
quibus ego pereo.

Euge, impelle in hymni sonum
rabiem frigidam spadonum,
stilum, censor, sume bonum:
Euge. Rido ad lacrimas.
__________________


Esser donna vorrei, gobba, schifosa,
ricca di scudi e di ribalderie,
seccante peggio de le litanie,
puzzolente befana e scandalosa,

perchè l'arte pudica e virtuosa
lodasse tanto le bellezze mie
che tra i marenghi e le vigliaccherie
d'un poeta ideal fossi la sposa.

Io, mucchio di sporcizia e di letame,
il mio poeta da gli amor divini
lo metterei tra il vizio e tra la fame

per far vedere a i critici norcini
chi la vincesse ne la lotta infame,
se la sua pudicizia o i miei quattrini.
Là su, là su, dove salir non anche
fu dato a 'l nostro desiderio intenso
forse un dì voleremo, anime stanche,
spiriti vani e liberi da 'l senso,

Là su, là su, dove le stelle bianche
fan la notte più bella e il ciel più denso,
anime volerem giulive e franche,
raggi di luce ne l'azzurro immenso.

Volerem a delizie interminate
in alto, in alto luminose larve
eternamente libere e beate.

Scorderemo là su l'antico errore
e questo mondo vil dove ci parve
balsamo l'odio e tossico l'amore.

A I POETI PINZOCHERI

Plus les moeurs s'altèrent, plus on
devient délicat sur les décences. Par cette
raison, plus les hommes deviennent vicieux,
plus ils applaudissent à la peinture des
vertus.
CHAMFORT.
I.
O paffutelli e morbidi sonetti
a Fillide, a Licori,
o zampogna d'Arcadia, o lascivetti
canonici pastori,

de l'astigian bizzarro il duro stile
non v'ha, no, sterminati;
ritornano le agnelle a 'l pingue ovile,
rifioriscono i prati,

e voi tornate, Tirsi e Melibeo,
su 'l carro trionfale
a l'antico mestier de 'l cicisbeo
cattolico e morale,

e l'arte femminil che fu mezzana
a l'abate Trapassi,
l'arte severa, pia, casta, cristiana,
vi fa beati e grassi.

Damine pie, no, il parroco no 'l vieta;
ricamate per loro
le papaline di velluto in seta
con un fregio d'alloro.
==>SEGUE


È questa, è questa di confetti piena
la vostra poesia!
Fate per la sua gloria una novena,
o figlie di Maria.

Ah se co' versi tuoi di miel già pregni
e di cold-cream francese,
non sali, Arcadia, a i nobili convegni
de le vecchie marchese,

se i madrigali de' pastori abati
l'età mal ti consente,
eccoti idealisti inzuccherati
e poesia decente.

Vieni ed impera ne 'l visin patito,
ne le graziette smorte
de le ragazze che cercan marito
pestando il pianoforte.

Vieni a sdraiarti su i giornali gravi
di cristiano furore
e su 'l tavol da notte a le soavi
dame de 'l Sacro Cuore.

Cantaci, canta, poesia custode
de l'Italia morale
la solitaria venere che gode
d'un amore ideale.

Diventeremo forti e costumati
ritornando a 'l Vangelo.
Beati quelli che si son castrati
per il regno de 'l cielo.


II.
Ma noi non ci curviamo
de la rinuncia umíle a le dottrine,
ma noi non ci crediamo
a 'l tisico Gesù de le beghine.

Non han prodigi i santi
e l'inferno per noi non ha paure.
Avanti, avanti, avanti,
con la fiaccola in pugno e con la scure.

Tutto un passato muore,
tutto un mondo rovina intorno a noi;
è morto, è morto il fiore
de' poeti di Cristo e de gli eroi.
==>SEGUE
Olindo Guerrini - NOVA POLEMICA -
Pagina a cura di Nino Fiorillo           == e-mail:nfiorillo@email.it ==
 
NOVA POLEMICA
Stralci del PROLOGO

di Olindo Guerrini
__________________
Si autem de veritate scandalum sumitur,
utilius permittitur nasci scandalum, quam
veritas relinquatur.
S. GREGOR.MAGN. Homiliae.
Lib. I. Hom. VII, § 5.

Eccoti, lettor maligno, la ristampa di un libro che ti farà rizzare la chioma in capo, se l'hai; intendo la chioma, non il capo.
Il libro è cresciuto di mole e d'insolenza, e sento di qui le accuse che tu mi scagli di corrompitore della gioventù e di introduttore di nuovi iddii. Appunto l'accusa del virtuoso Anito contro Socrate. Ma io non sono Socrate e tu non sei virtuoso. Intanto, lettor maligno, sentiamo i peccatacci di questa scuola che tu chiami nuova, benchè abbia la barba lunga come il Cantico dei Cantici. Prima di tutto, dici, non crede a Dio.
È proprio vero? Può darsi, non te lo nego, che al Dio personale, che al Dio comestibile sotto le specie del pane azimo e del vino puro ci creda così e così; ma di qui all'ateismo c'è tanto di strada. Lo so anch'io che tra gl'inni elzeviriani ce ne son pochi de' sacri; ma pare a te che un disgraziato perchè ha il viziaccio di scriver versi sia obbligato a credere nella immortalità dell'anima? Ma Lucrezio non ne scrisse dei bellini senza crederci? E Guido Cavalcanti che cercò se Dio non fosse? E centomila altri? E poi, vedi, tra questi elzeviriani che ti fanno l'effetto del rosso ai tacchini, ce ne sono degli scettici, dei
panteisti, degli hegeliani, dei materialisti, e chi più n'ha ne metta. Tu intanto ti cavi il cappello al Kant, allo Schelling, all'Hegel, al Moleschott e chi più n'ha ne metta. Credi che i loro studi, comunque la pensi tu, siano un progresso del pensiero umano, ed hai ragione: ma lo credi perchè scrissero in prosa. Se dubitavano della esistenza di Dio in tante ottave, poveri a loro! Tu, buon Geremia, saresti ancora seduto sulle rovine dell'arte a piangere come la fonte del Tettuccio. Dubitare di Dio in prosa, passi. La scienza, l'umanità ed altre belle cose, ne hanno bisogno pel loro avvenire. Ma dubitarne in un sonetto! Sacrilegio, non è vero? Sei logico. Ma se invece di esser logico tu fossi cattolico, credi pure alla Immacolata che il regno de' cieli te lo sei meritato e presta un paio di occhiali a Luigi Alberti. Critico, una volta educato, ha però il brutto vizio di non leggere il titolo dei sonetti. Ne ha portato in giro uno de' miei, quello che finisce Bevendo in fresco e bestemmiando Cristo, come meritevole di un giudizio severo. Non dico di volere un bene sviscerato alla seconda persona della Santissima Trinità, ma il titolo faceva pur vedere che il sonetto era il canto di un ebbro e la chiesa ammette pure l'advocatus diaboli! Sallustio fu un birbante, ma non è giusto giudicarlo dalla orazione che mette in bocca a Catilina. Dopo questo, signor Alberti, non scriva più versi emetici al Rospo, e pazienza se non vuol stringermi la mano che è pulita, quantunque a lei paia non lo siano le pagine che scrisse. Lasciva nobis pagina sed vita proba est. Tollera questa massima, amico mio Gnoli, che non è poi così delittuosa come tu credi e che certo è verissima. Tu poi, lettor maligno, che ci vorresti vedere coi pugni in faccia, brontola pure, ma questo gusto non te lo cavi. Dunque la scuola nuova non è cattolica. Ma chi è il cattolico che infili un sonetto leggibile? Non citarmi il Manzoni. Infecondo da quarant'anni, è morto senatore e scomunicato. No, non vogliamo essere nè cattolici, nè luterani, nè ebrei. Lasciaci sognare o il vago teismo de' francesi, o il materialismo scientifico dei tedeschi, o il nichilismo buddista de' russi. Lasciaci pensare a modo nostro, credere a quel che ci pare, anche non credere, o fammi comprare un po' di fede da chi la vende, ma che non sia sofisticata, ed allora rinuncerò al mondo ed alla carne. Ma finchè trottando per la via di Damasco non cascherò da cavallo, lasciami andare. Se la scuola nuova non è cattolica, ha millanta ragioni per non esserlo. Fagliene invece aver millanta per esserlo e mi farò frate, magari gesuita, e confesserò le educande che me ne vorranno insegnare delle belline, le povere innocenti, quantunque per libro di premio non ricevano i nostri. Altra scusa. La scuola nuova non parla mai della patria. Ah, lettor maligno, come brilli, come capisci bene che questo è un punto delicato e mi aspetti al varco col fucile alla gola! Sentimi. Dato che noi facciamo professione di dir le cose come sono, non parlare della patria può anche essere carità. Altre volte facemmo il dover nostro e certo non fummo austriacanti prima del cinquantanove per diventare guelfi dappoi e rimpiangere la santa lirica del trentuno e del quarantotto. Ora il meglio da farsi è tacere. Il Carducci un giorno scagliò un verso che rimarrà storico in faccia a chi spinse i Cairoli al calvario di villa Glori e li abbandonò alla ferocia dei crocifissori. L'indignazione gli fece saettare giambi infocati contro la commissione araldica, il battesimo delle navi, i piccioletti ladruncoli bastardi. Di' un poco, credevi tu che il nostro bel paese producesse tante mele fradice quante ne furono scagliate addosso al povero Enotrio? Ma dovremo dunque ricantare Italia mia, dovremo mettere in rima il Primato del quale Massimo d'Azeglio si vergognava? Dovremo cantare le glorie di Lissa, le libertà di villa Ruffi, la opulenza de' bilanci, la moralità dei ministri, la sapienza de' Parlamenti, i trionfi che riportammo dal congresso di Berlino? Facemmo professione di verità e mancammo alla promessa tacendo; ma tacere è patriottismo. E non rimproverarci, noi piccini, se non abbiamo le audacie dell'Alighieri che trattò a quel modo gli uomini del suo tempo e la sua patria stessa. Non rimproverarci se, per carità del natio loco, abbiam chiuso Giovenale con sette suggelli. Grato m'è il sonno. Il resto lo sai. E poi, chi ti dice che come Cassio non aspettiamo anche noi gli Idi di marzo bevendo il cecubo? Chi ti dice che nel mirto sacro a Venere non sia nascosta la spada d'Armodio? Ricordati, lettore morigerato, che la etèra Leena fu l'amante di Aristogitone e che gli ateniesi, proprio ne' forti tempi della potenza loro, le eressero una statua. Non c'è bisogno d'essere Catone per amare la patria e si può cantarla senza essere Catone. Il Béranger diceva:

Aux drames du jour
Laissons la morale;
Sans vivre à la cour
J'aime le scandale.
. . . . . . . . . . . . . . .
Paix, dit à ce moi
Caton, qui fait rage;
Mais il prêche en sot.
Moi je ris en sage.
Bon
La farira dondaine
Gai
La farira dondè.

Senti, Catone, che bella voce aveva il vecchio patriotta? Parliamo male delle donne; parliamo di loro come se fossero tutte... non so come dirlo idealmente, ma si capisce bene. Questa accusa poi, questo è il più bello, viene spesso dalle donne, e spessissimo dagli uomini che dovrebbero esser donne. Logica benedetta! Le accusatrici, qualunque sia il loro sesso, sono poi quelle che strillano perchè nella civil società alle donne non si fa la parte che meriterebbero; che lamentano, ed a ragione, la inferiorità voluta del sesso femminile; che protestano colle più efficaci forme della rettorica contro la tendenza mussulmana dell'epoca, la quale fa della femmina un istrumento di piacere pel maschio e null'altro. E il livello abbassato e l'istruzione e l'educazione e Cornelia madre dei Gracchi e tutti gli altri luoghi topici logori fino alla trama, sono iscritti per lungo e per largo ne' libri polemici, gridati nelle orazioni accademiche, strillati nei convegni, urlati nei caffè. Ma che santa Maria Maddalena vi aiuti le mie donne, quando voi riconoscete che i maschi tiranni tengono abbassato il famoso livello apposta perchè non vi mettiate le brache; quando dallo Stuart Mill a Salvatore Morelli tutti riconoscono che c'è molto da fare per voi altre; e che adesso non siete il tipo della migliore delle donne nel migliore dei mondi possibili, perchè diavolo poi volete che diciamo il contrario e che mettiamo in rima le vostre perfezioni? Dobbiamo affermare come nei libretti d'opera che la donna è un angelo? Possiamo anche farlo e la rettorica ci scuserà. Ma volete poi che diciamo che la donna non ha debolezze, non ha capricci, non ha istinti e muscoli brutali come quelli del maschio e forse peggio per cagione di quel solito livello abbassato? Grideremo calunniosa l'affermazione che molte donne profondano pel capriccio di un vestito quanto basta ad un operaio per vivere un anno e che quelle che non si cavano questo capriccio è perchè non se lo possono cavare?
Diremo dunque che la signora A. è la più casta donna del mondo quando i giornali citano persino il numero della porta misteriosa dietro la quale multorum absorbuit ictus? Diremo che la signora B. è il modello delle spose quando vive con un amico divisa dal marito? O che la signora C..., ma non basterebbero le lettere dell'alfabeto, e voi tutte che queste cose le conoscete, sapete ancora che se una volta erano l'eccezione, ora fanno dei gran passi verso la regola. Dica un buon giudice, il signor Bodio che dirige l'ufficio centrale di statistica, se sono i matrimoni che crescono o le case... soggette a certi speciali regolamenti. E voi reclamate per questo la rigenerazione della donna e per questo anche quello della donna è diventato, come si dice adesso, un problema. E perchè vi lamentate dunque quando diciamo quel che sapete? Siate sincere, donnine mie, e rispondete per noi a quei signori che ci accusano di cercare le modelle nostre nei fornici della Suburra, che non c'è bisogno di scendere fin laggiù per questo. Si capisce che non vi piaccia vedervi così fatte, ma noi non sappiamo far le funzioni della pezzuola che con tanta intelligenza svolazza sul centro degli angioletti dipinti nelle chiese: noi non sappiamo velare colle massime di Sant'Ignazio le ulceri aperte, come fanno con tanta vocazione certi collitorti, i quali, quando peccano, voltano verso al muro l'immagine della Madonna. Additiamo francamente, sfacciatamente se volete, il male che vediamo e che avete sott'occhio anche voi. Ci troverà rimedio il medico, ma alla poesia non spettò mai filtrar decotti di legno santo. Ci badi chi ci deve badare, e quelli che piangono a calde lagrime sulla decadenza della donna, si lascino dire che non sono galantuomini quando rimproverano a noi di mostrarla decaduta. Qui saltano sul palo i critici e gridano che tutte le donne non sono così. Grazie tanto! A chi lo dite? Amo Griselda anch'io, ma parmi che anche la Belcolore possa stare nell'arte. Urlano i critici: voi ci parlate solo della Belcolore! Non so se sia vero, ma se lo fosse, scomunichiamo noi Griselda per questo? Cantatela voi e noi canteremo l'altra e tutti pari. Non vogliamo escludere Beatrice, vogliamo che sia accettata anche Fiammetta. Questo è ciò che voi non volete. E qui dovrei parlare di un certo signor Galassini, egregio cattolico ed insegnante nel collegio S. Carlo a Modena, il quale (il Galassini non S. Carlo) ha trovato che la natura al suo primo offrirsi allo sguardo dell'uomo è pura e vergine; vergine alle prime ore del mattino e più tardi, ed ha trovato una filza di altre belle cose ed alcuni argomenti che non sono però da prendere a gabbo, ma ai quali tutti era già fatta la risposta nel primo getto di questo Prologo e che in fondo non si appoggiano che sopra un facile rovesciamento di tesi. Ma lascio stare anche perchè non uso trattare con chi mi dà del voi che non si dà oggi nemmeno alle Guardie di Pubblica Sicurezza; con chi dopo avermi dato, letterariamente s'intende, dell'asino e del porco per quaranta pagine infilate, dichiara poi di amarmi e di stringermi la mano. Grazie tante, ma le mani io me le lavo. Accusa quarta. L'arte nuova è carnale, oscena, brutale. Nientemeno!
C'è davvero una reazione forte contro le svenevolezze degli amori poetici passati che tendevano a fare dell'arte un mare di latte e miele. La donna era esclusa dalla poesia e solo ci si ammetteva un ideale di lei aereo, sentimentale, salice piangente. Questo cant, questa ipocrisia erano innalzati agli onori di canoni d'arte. Il Vittorelli trionfava, e Nice, Silvia, l'amica lontana erano le perpetue modelle. I più audaci arrivarono sino alla Elvira del Lamartine. La donna vera colle sue debolezze, la figlia d'Eva come la fece madre natura, era esclusa dal tempio dell'arte come gli scomunicati una volta; e quando ha tentato di entrarci, i leviti hanno gridato allo scandalo; e la vacuità pomposa del Guerzoni, le professeur malgré lui, la manzonaggine accapponata di cento ipercritici che sbagliarono mestiere, la stitichezza dogmatica di mille dilettanti illetterati, si sono inacidite come le pulzellone al cospetto delle nozze altrui. Hanno lordato gli Dei e inverniciato frate Cristoforo: hanno trullato che il gran Pane è morto proprio nel giorno della sua risurrezione, brontolando che la sposa era brutta perchè natura negò loro la capacità di esser mariti sul serio. Povero ideale sceso agli uffici del mantello di Noè, tolga il senno italiano che Sem e Jafet a forza di trascinarti piamente su tutte le vive libertà del secolo, facciano di te un cencio, spregiato anche dai rigattieri e dai preti!
Il rimedio, lo ammetto, è radicale; ma diceva il Botta, per raddrizzare un arboscello storto non basta costringerlo alla linea verticale, bisogna piegarlo dalla parte opposta; ed a chi ha lo stomaco pieno di schifo per abuso di dolciumi, un po' di pepe di Caienna glielo accomoda ed un sorso di gin vince più nausee che non faccia il laudano.
Oh, non ci rinfacciate l'Aretino! Non siamo noi che scriveremo la Vita di Maria Vergine e la Parafrasi dei sette salmi penitenziali. Giulio III e Carlo V non penseranno mai a farci cardinali. Ad altri le sacre elucubrazioni e le simpatie della chiesa. È facile inquinare gli album con versi squisitamente macaronici come questi:
Ed è perciò, caro signor Stecchetti,
Che per quanto in bei versi il sudiciume
Vo' che si spazzi e dal balcon si getti.
Ma la onesta scopa non bada che ne spazza anche di quelli che per la loro innocenza meritarono l'inserzione nei giornali pedagogici tra le favolette ed i problemi d'aritmetica. Non bada, la pia scopa, che spazza quattro quinti delle letterature europee antiche e moderne. Quasi tutta la poesia greca dovrebbe cedere allo spazzatore, tutta la latina, compreso Virgilio ed il famoso pastore Alessi, quasi tutto il nostro trecento, tutto il Risorgimento. Cari miei, ci vuol altro che una scopa benedetta, ci vuol altro che tirare in ballo il Giusti che scrisse anche lui la Mamma educatrice e l'Ave Maria, o il Parini che fece tanti versi per nozze.... Leggeteli. Ma lo scopatore santissimo qui m'interrompe. Nella sua virginea modestia egli crede che tutto questo libro sia stato scritto contro di lui. Nella sua cattolica morale crede lecito sparger copie di un sonetto scritto contro di me, ma non crede che io possa stampare la chiusa. Nella sua manzoniana rassegnazione scrive lettere dolciastre dove si mostra in aspetto di S. Sebastiano martire, ma non dice se le freccie che ha in corpo siano di acciaio buono. Che cosa rispondere a chi non risponde?
Amen.
Ma quel che gli scotta più di tutto è il sentir dire che il suo sonetto è macaronico. Eppure quel sonetto
non è la sua cosa migliore. La migliore è l'Ode alla regina fatta a concorrenza del Carducci, l'Ode dove il poeta sparge il crine di una donna nientemeno che di fronde, siano pure apollinee e dove si trovano versi di così squisita fattura ed armonia come quello che comincia — Voi pur pugnaste per la patria ecc. — Fattura però che non riesce nuova a chi ricorda — Pietro Paolo pittor pinse pittura Per poco prezzo ecc. — Via, via, scopatore santissimo, Enotrio almeno i versi li sa fare. Vittorio Imbriani e lei stanno di casa molto più sotto, molto più basso. Lo creda.... oh, lo creda! Un altro idealista militante grida:
Lungi questa del secolo
Smania del ver proterva
Che a la terrestre Venere
L'arte e la vita asserva.
Benone! e tre strofe dopo:
O viva, viva il turbine
Che l'anime frementi
Rapisce insiem nell'estasi
D'ingenui abbracciamenti!
Come negli occhi tremuli,
O amore, folgoreggi;
Ne' baci ardenti ed umidi
O amor, come spumeggi!

E avanti di questo passo. Ma intendiamoci bene, per amor di Dio! Volete degli amori ideali che spumeggino ne' baci umidi! Ebbene, ci stiamo anche noi! Volete, ebbri d'amore,
....................vivere
Tra le carezze e i canti?
E noi lo stesso. Ma allora perchè ci chiamate poi sacerdoti di un putrido verismo? E voi che cosa siete dunque? Come fa, per esempio, il signor Vitale (Jacopo del Fanfulla) a fulminare i poveri veristi nella prefazione della sua Primavera e poi a scrivere un volume di versi, molti dei quali perfettamente veristi con le sue brave donne così così, i letti osceni, i mariti cornuti e tutti gli accessori ormai andati a male del teatro dove recito anch'io? Mi sembra che non stia bene inalberare una bandiera bianca per coprire un carico di pepe come quello e farlo passare franco alla dogana. Ma che cosa è questo? È paura di saltare il fosso? Saltatelo, benedetti voi, che avete le gambe buone; non restate di là cogli spedati.

>>>>> SEGUE ALLA FINE DELLA PAGINA


II.
Libero il seno eretto, a 'l vento davi
ne 'l notturno mister la chioma bionda
ed, urgendo la Dea, lungo la sponda
de 'l sacro Ilisso, Adone, Adon chiamavi;

o tra le messi d'oro ebbra levavi
l'inno sonante a Cerere feconda,
o Menade sfrenata e furibonda
ignuda al sol la tua beltà mostravi.

Io t'inseguia tra gl'inni e tra le faci
ed un foco m'ardea le vene e i polsi,
il foco di quel nume in cui mi piaci,

finchè le man ne le tue chiome avvolsi
e ti tenni su l'erba e i caldi baci
e la vittoria su 'l tuo labbro colsi.



III
O pallida Eloisa, anch'io salivo
tante volte di notte a la tua cella
ed il segreto de 'l mio cor t'aprivo
e ti chiamavo benedetta e bella.

A l'onda de 'l tuo sen vergine e vivo,
palpitando obbedia la tonacella,
e i brividi de 'l senso errar sentivo
ne la tua carne e ne la tua favella.

Livida sotto a la pupilla stanca
non t'appariva più l'orma segreta
de la virtù che a poco a poco manca,

quando su 'l molle altar, vittima lieta,
abbandonavi la persona bianca
sorridendo a l'amor de 'l tuo poeta.
De la giudaica fola
e di Sion su la rovina immane,
forte, superba, sola,
la nostra Dea, la Verità, rimane:

la Dea che a poco a poco
il mister de la vita a noi disserra.
Per lei donammo il foco,
per lei donammo i fulmini e la terra.

Ecco, sino a le stelle
gl'inni e le grida de 'l trionfo vanno.
Ha vinto il gran ribelle
e le porte de 'l ciel non prevarranno!

Cadon gli altari infranti,
sfuman le larve de 'l passato impure.
Avanti, avanti, avanti,
con la fiaccola in pugno e con la scure.

No, non lordate il biondo
capo, fanciulle, con la cener vile;
venite; è bello il mondo;
oggi rinasce con le rose aprile.

No, su le aiuole brulle
non incombon più il freddo e lo squallore,
venite a noi, fanciulle,
oggi rinasce con le rose amore.

Dolce amor de' ribelli
venite a rallegrar la nostra danza
co 'l tirso e co' i capelli
coronati de' fior de la speranza.

Schiera festante, andiamo
là dove il vero come il sol risplende;
lassù, lassù corriamo
dove giocondo l'avvenir ci attende.

A i liberi, a i costanti
le vie de l'avvenir s’apron secure.
Avanti, avanti, avanti,
con la fiaccola in pugno e con la scure!

PROPOSTA

Non ego; nam satis est equitem mihi plaudere, ut audax
Contemptis aliis, explosa Arbuscula dixit.
HORAT., Sat.
Come in grembo del suol tacito dorme
Il seme, e poi si svolge in foglia e in fiore,
Così sonnecchia del poeta in core
L'opra sua che poi veste eccelse forme.

Natura attinge in sè le proprie norme,
E l'arte educa inconscio il suo cultore,
Entrambe mosse dallo stesso amore,
Che dell'eterna idea rintraccia l'orme.

Or più rapide vie schiude al poeta
Il così detto vero: or la Bellezza,
Ch'era di pochi visïon segreta,

Cerca il plauso de' molti, e li accarezza,
E si prodiga al par d'una moneta
Che più si spende, quanto più si spezza.

ANSELMO GUERRIERI GONZAGA

RISPOSTA

Insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,
Ultra quam satis est virtutem si petat ipsam.
HORAT., Ep. I, 6.
Triste colui che santamente dorme
ne 'l vacuo letto e de' suoi canti il fiore
crescer non sa co 'l sangue de 'l suo cuore...
Guai se il verso per lui non ha che forme.

Non è poeta chi le avare norme
serve de gli avi e se ne tien cultore
e quando la sua carne arde d'amore
d'una frigida idea ricerca l'orme.

E tra di noi non v'ha cor di poeta
che tradisca del ver l'aspra bellezza
per qualche molle visïon segreta.

Lusinga di sognar non ci accarezza.
La bella verità non è moneta,
nè re la falsa, nè giudeo la spezza.

IVSTITIA

Amen, with all my heart!
SHAKESPEARE, Otello, V, 2.
Alla signorina Vera Zassoulitch.
Vorrei che questa mia povera penna
fosse un ferro rovente
per bollarvi tra gli occhi la cotenna
canaglia prepotente.

E quando in faccia a i miseri ruttate
la vostra infame gioia,
perdonatemi voi che m'ascoltate,
vorrei essere il boia

e compir sopra voi la gran vendetta
di chi per fame langue.
Vorrei vedervi con la gola stretta
da 'l singhiozzo de 'l sangue.

Io che pur soglio lacrimar di pièta
de' vati su le carte,
io ch'ho in petto il gentil cor de 'l poeta,
se me ne manca l'arte,

che piango insino gli scordati eroi
d'Ilio combusto e domo,
io non ho senso di pietà per voi,
non ho viscere d'uomo.

Nè voi n'avete cui non basta a 'l gusto
stracco la carne ignuda
per chi stentando il pane a frusto a frusto,
sangue, lacrime suda;

per chi senza speranza e senza amore
vive ed invidia il cane,
per chi miniere a voi scavando, muore
senz'aria e senza pane.

Ridan le vostre donne a cui ne 'l petto
de l'òr brucia la sete:
ridan beate che ne 'l vostro letto
coniaron le monete,

e su 'l talamo altrui de le figliole
vendean la bianca vesta;
a la virtù che vender non si vuole,
ecco, il delitto resta.

==>SEGUE

A LE OSTRICHE

EPICEDIO
Wir mahlen mit Augen der Liebe:
und Augen der Liebe müssten uns auch
nur beurtheilen.
LESSING, Emilia Galotti, I, 4.
Ostriche ghiotte che aderiste a i pali
dove i nonni legarono
le navi trionfali,
intelligenti e nobili animali,
incarnazione e simbolo
di sublimi ideali,

poichè i vati piagnoni, ahi sconoscenti!
ne' flosci endecasillabi
non v'ebber mai presenti
nemmeno quando a' pranzi succulenti
di voluttà grugnirono
biasciandovi contenti,

ostriche verdi, a i miei bizzarri canti
deh, spalancate docili
le valve stravaganti.
Ecco il pepe, il limone, il vin di Chianti.
I versi miei rallegrino
gli ultimi vostri istanti.

Come i piagnoni, v'incrostate forte,
a quell'antico scoglio
che v'assegnò la sorte,
ed il moto v'uccide, e mezzo morte
a 'l mercato vi comprano
per le feste di Corte.

Come i poeti onesti a Dio più grate,
d'un casto e solitario
amor vi contentate
e senza voluttà prolificate,
fredde, mute ed immobili
o bestie costumate!

E quando il glauco mar non vi nasconde
le nozze de i cetacei
maschiamente gioconde,
sigillate le valve pudibonde
in faccia a tanto scandalo;
o bestie vereconde.

==>SEGUE


Nelle nicchie romite e tenebrose,
dando l'anima piccola
a larve paurose,
la vanità de 'l mondo e de le cose
meditate in silenzio,
o bestie religiose.

O bestie, bestie, imagine e modello
de' vati neo cattolici,
che san castrare il bello,
questo ingrato mondaccio è un gran bordello!
Non c'è nemmeno un critico
che v'abbia ne 'l suggello!

Non c'è un pedante che sbagliando schiumi
ne i libri del suo prossimo
un paio di volumi,
che dica schietto senza tanti fumi:
signori, io sono un'ostrica
d'ingegno e di costumi.

E il peggio è questo, che v'è capitato
dopo millanta secoli
l'elogio meritato,
ma in un ritmo così sconclusionato
che l'Arcadia, buon'anima,
m'avrebbe strangolato!

Prendete quel che c'è. Tanto quei tali
che vi biasciano a tavola
de' preti sensuali,
non sanno che belar salmi ideali.
Mangiano il proprio simile!
Moralisti immorali!

Basta. Affogate ne 'l propizio vino,
a morir ne 'l mio stomaco
vi condanna il destino.
Quanto a 'l prossimo vostro, poverino,
è andato a farsi friggere,
e lo frigge Pasquino.
________________

ALL'ALBERGO

Io li guardavo da la serratura.
Ella faceva molti complimenti,
egli schizzava apostrofi eloquenti
e le diceva — non aver paura. —

Ed in lei de 'l pudor l'estrema cura,
l'istintive repulse ed innocenti
e le caste ignoranze e gli sgomenti
a 'l destarsi cedean de la natura.

Così a l'audacia de la mano amata
l'ultimo de 'l pudor velame frale
concedea vergognosa e rassegnata:

e tutto cadde, ed ella apparve quale
un asse d'acajou liscia, piallata...
Canchero — disse lui — troppo ideale!

NELL'ALBUM
DELLA BARONESSA COSTANZA GRAVINA

Se un giorno rivedrò Pizzofalcone
e lo scoglio di Frisio e Mergellina
mi voglio travestir da lazzarone
e camminar così fino a Resina.

Ivi de l'amor mio sotto a 'l balcone
canterò la Ciccuzza e l'Inglesina
con tanto affetto e tanta commozione
da far piangere i pesci a la marina;

e il canto mio sarà così perfetto,
tipo de l'ideale in poesia,
che la mia bella s'alzerà di letto

e ne l'ombra verrà fuor de la via,
a pregar Dio con me perchè il Prefetto
non ci mandi a dormire in Vicaria.
PALINODIA

Poi sdraia nel porcil l'anima sazia
E — vigliacchi siam noi — si mette a urlare.
Potrà darsi benissimo. Ma... in grazia...
Se parlaste un pochino al singolare?
F. CAVALLOTTI, nel giornale
La Ragione, Anno IV, n. 232.
Dissi — noi siam vigliacchi —
e me ne pento. Errai.
È il secolo de' Gracchi
questo che bestemmiai;
ma voi vi siete accorti
che siamo tutti forti, forti, forti.

L'evo romano, l'evo
eroico è ritornato
ed io non lo sapevo.
Ma forse sarà stato,
Bruto me lo perdoni,
perchè non vado a le dimostrazioni.

Già. In Italia nasciamo
Catoni e Cincinnati.
Ladri? Ma non ne abbiamo
e i poveri avvocati
per non morir di stento
vanno a farsi le leggi in Parlamento.

Oh, no, non ci son vili
tra un popolo d'eroi,
ma le virtù civili
son sì fitte tra noi
che fin gli appaltatori
li abbiam dovuti far commendatori.

Ipocrisia? Davvero
non ci si può pensare!
Siamo un po' furbi, è vero,
ma ipocriti? vi pare!
Oh, li abbiamo aboliti
(leggete il Curci) i padri gesuiti!

Deh, patria mia, felice
come ti veggo e lieta,
spregiar la corruttrice
copia de la moneta!
L'ebbe di ferro Sparta:
più spartana di lei tu l'hai di carta.

==>SEGUE
Su 'l tuo beato suolo
che ci fanno gli uscieri?
A che serve lo stuolo
de' tuoi carabinieri?
In Svizzera, nol sai?
cassieri e casse non ne scappan mai.

E le donne? Oh, le donne!
Che modelli di spose,
di ragazze, di nonne!
Che virtù portentose!
Se questo tempo dura,
non c'è più corna per la iettatura.

Uomini puri e forti,
a Monaco ci andate
per compiangere i morti
de le cinque giornate?
Ma questo si può fare
anche a Milano. Al club si può giocare.

Uomini forti e puri,
perchè, perchè scendete
ne gli angiporti oscuri
e ne l'ombre discrete
de le strade lontane?
Cercate le virtù repubblicane?

Oh, non tocche da 'l male
virtuose persone,
voi siete l'ideale
sognato da Platone,
la semente novella
de la santa città de 'l Campanella,

ed io per ritornare
in grazia vostra, o puri,
parlerò a 'l singolare
e scriverò su i muri
l'aforisma novello
che c'è un corrotto solo ed io son quello.
______________________
Respira i molli balsami
che da lontani fior le porta il vento,
guarda pe' vani de l'intercolonnio
le stelle scintillar come d'argento.

Ne' grandi occhi le passano
le fiamme de 'l desìo come un baleno;
commosse quasi da un arcano spirito
turgide pulsan le beltà del seno.

Ella sente ne l'anima
il fremito passar de la tempesta,
ella sente bollir ne 'l sangue giovane
la potenza d'amor che in lei si desta;

ed ecco da le complici
ombre che fascian d'Adonai l'altare
sì come un angel di bellezza splendido,
a l'aspettante un giovanetto appare.

Apri le braccia, donati
a le carezze de l'amor Maria...
Noi leviamo a 'l Signor l'osanna, o popolo:
tra nove mesi nascerà il Messia.
____________________

Poveri uccelli, che a 'l giardin volate
de' poeti morali e religiosi
e tra le frasche pudibonde ascosi
il biscottino solito aspettate,

poveri uccelli, non ve ne fidate,
poveri uccelli, siate men golosi.
Se gli uomini con voi son maliziosi,
fingono i vati per mestier. Badate.

Conosco più d'un arcade patito
che d'adorarvi ne' sonetti ostenta,
ne' sonetti di zucchero candito,

ma quando l'eco de' suoi gridi è spenta,
si rassegna a pranzar con appetito
e gli piacete assai con la polenta.
Debbono andar con le pupille basse
e non dar confidenza alle persone,
chè la critica mai non le sgridasse,

e come già sognò re Faraone,
dopo il passaggio de le vacche grasse,
le vacche magre andranno in processione.


DIES IRAE
POEMA

Oh, quand j'aurais une langue de fer
Toujours parlant, je ne pourrais suffire,
Mon cher lecteur, à te nombrer et dire
Combien de saints on rencontre, en enfer!
VOLTAIRE, La Pucelle, c. V.

CANTO I.

Quando parton le rondini
e gli ozi lascio de l'autunno anch'io,
mi prende un desiderio
di conciliarmi co 'l Signore Iddio,

e mi raccolgo e medito
su la fragilità di tante cose...
Dio di misericordia,
come fan presto ad appassir le rose!

Solo il cipresso, il simbolo
de l'umana miseria e de 'l dolore,
solo il cipresso vegeta
anche ne 'l freddo, e il verde suo non muore.

E ripenso a i Novissimi,
specialmente a 'l Giudizio Universale,
quando le trombe angeliche
ci romperanno il sonno sepolcrale.

O buon Gesù, che imbroglio
quando mi desterò dentro la fossa
e ne le fredde tenebre,
povero me, non troverò più l'ossa!

— Destatevi, destatevi
e ditemi, vicini, in cortesia,
il mio povero cranio,
ditemi un po', chi l'ha portato via?

==>SEGUE
Era una testa giovane
piena di sogni e spesso innamorata,
d'Emma su le ginocchia
io non la posso aver dimenticata.

C'è forse qualche critico
che sia venuto qua senza la testa
ed abbia detto: diavolo,
perchè la mia non l'ho, prendiamo questa?

Avrebbe preso un granchio
facendo il suo mestiere anche da morto.
Non s'adatta a le vertebre,
la testolina mia, d'un collo torto.

Lo scopriranno subito,
lo manderanno ad arrostir co' rei.
Il mondo de gli spiriti,
come l'altro non è pien di baggei.

Ahi non potrò più leggere,
perchè con gli occhi non ho più gli occhiali,
i sermoni clorotici
che laudano Gesù dentro i giornali.

Non vedrò più le candide
verginità che ne' sonetti ho viste
e i poeti che sudano
per salvar la virtù de le modiste. —

CANTO II.

Quando la testa mia l'avrò spiccata
da 'l collo a qualche critico
e sopra il mio l'avrò bene attaccata,
me ne anderò al Giudizio.

Ahi, fedeli di Cristo! ahi questa scena
come sarà terribile!
Tutti staremo nell'immensa arena,
de la valle di Josaphat.

E nudi ci starem. Calzoni e gonne
quel giorno non si portano.
Ignudi tutti quanti; uomini e donne!
Che immenso colpo d'occhio!

Ma poichè ne 'l gran dì ci sveglieremo
belli, ben fatti e giovani,
le nostre nudità le guarderemo
senza rossori ipocriti.

==>SEGUE
Solo i poeti casti e purgativi,
morali fino a l'ultimo,
imiteranno co' gli attucci schivi
la Venere de' Medici.

Poeti magri, amor segreto e cura
de le donnine isteriche,
ci rivedremo senza imbottitura,
e guai per i rachitici,

oh, guai! Le verità pericolose
e le pance cattoliche
nude vedranno alfin le vostre spose
che mai non ve le videro.

Che disinganni allor, poveri voi!
Che pioggia di rimproveri!
Basta: verremo a consolarle noi,
se saranno passabili.

Seduto intanto su l'immenso trono
starà l'ultimo Giudice
ed uscirà da la sua bocca il tuono
e da' suoi occhi il fulmine.

A 'l segnal degli angelici trombetti
farem due schiere súbito.
A la destra di Dio staran gli eletti,
a la sinistra i reprobi.

Curvi sotto l'eterna onnipotenza,
ne 'l silenzio terribile,
attenderemo l'ultima sentenza
e l'ultima giustizia.

Ma, sorridendo, un'anima sorella
mi spingerà co 'l gomito...
Emma bionda, sei tu? Come sei bella!
Ma sei nuda... Vergognati!

CANTO III.

Come si stava comodi,
come si stava bene a l'altro mondo!
Ti ricordi le liriche
che scrivevo per te, demonio biondo?

E tu matta, le forbici
cacciavi sempre dentro a' miei sonetti.
Le mie più belle pagine
diventaron modelli a' tuoi colletti.

==>SEGUE
Ti ricordi le lucciole
che inseguimmo lassù lungo le mura?
Quante stelle brillavano
ne 'l cupo azzurro de la notte oscura!

E l'inverno? E le maschere?
Te lo ricordi l'ultimo veglione,
e il povero geranio
che di freddo morì sul tuo balcone?

Ed i racconti eretici
sovra i capricci de le nostre notti
che misero lo scandalo
ne la santa tribù de' paolotti?

Care memorie! Tornano
così lieti a quel tempo i miei pensieri!
Eran parecchi secoli
che stavo a la Certosa. E tu dov'eri?

Emma, perchè promettermi
che non m'avresti abbandonato mai?
Oh, laggiù ne 'l mio tumulo,
povera donna, m'annoiavo sai?

Quanti, quanti cadaveri
calaron giù ne la mia fossa muta,
ed io povero scheletro,
cercavo il tuo, ma non ci sei venuta.

Dimmi, sei morta in maschera
cenando co gli amici in carnevale?
Sei forse morta tisica
in un autunno triste a l'ospedale?

Oh, se almeno t'avessero
a 'l vecchio amico tuo sepolta accanto!
Là nella terra fracida
avevo freddo e m'annoiavo tanto!

Zitti! L'eterno Giudice
urla da l'alto le parole estreme.
Siam dannati. Rallegrati.
Ecco, a l'inferno ci anderemo insieme.

Oh, non invidio gli angeli,
perchè teco laggiù sarò felice.
Vieni, mia bella! Il diavolo
così brutto non è come si dice.


==>SEGUE
CANTO IV.

Squadra le fiche a 'l ciel. Vadano i santi
e i poveri di spirito
in quel fetor di frati zoccolanti
che rivolta lo stomaco

a goder le graziette tabaccose
de le beghine sudice,
ed a baciar le stimmate schifose
de le badesse idropiche.

Ivi ne 'l cielo che non ha mai notte,
dormir non è possibile.
Ivi su 'l capo de' beati, a frotte
i cherubini ronzano.

Perchè Dio non li acciechi, a 'l guardo schermo
fan de l'ala gli arcangeli,
e cantano in latino a canto fermo
i salmi del breviario.

A l'eterno rumor de' tamburelli,
de' cembali e de' timpani,
friggon de' santi i poveri cervelli
sotto a i nimbi che scottano,

ed abbagliati de 'l Signore il viso
eternamente guardano...
Che rottura di tasche il Paradiso!
Che divina seccaggine!

Talor compreso da 'l bisogno ardente
di un po' di refrigerio,
Iddio permetterà, ma raramente
una qualche accademia.

Con lieti squilli l'aspettato avviso
daran le tube angeliche;
immenso tuonerà ne 'l paradiso
un clamore di giubilo.

Abbandonato l'inginocchiatoio
dove stavan da' secoli,
voleranno i beati a 'l Serbatoio
de la celeste Arcadia.

Con l'ala a 'l dorso, dentro l'ampia sala
pioveranno le monache
e i gesuiti co 'l cappel di gala,
e i poeti virginei.

==>SEGUE
e son belle, son giovani,
e noi ne amiam quanto possiam amarne
e pecchiam senza scrupoli,
de l'anima ribelli e de la carne.

Contemplate lo splendido
viso di Dio co' gli occhi abbarbagliati:
andate, andate in estasi
cantando salmi, poveri beati:

trïonfate co gli angeli
de 'l paradiso ne le sante chiostre,
ma le pompe di Satana
sono più belle de le pompe vostre!

Abbiamo sano il fegato
e l'invidia di voi non ci tormenta:
la compagnia de' diavoli
ci tien chiara la bile e ci contenta.

Qui de 'l tempo saturnio
rifioriscon i gaudi e i miti amori;
puton d'incenso gli angeli,
olezzan qui per le dannate i fiori.

Voi di Dio ne la faccia
tutto il passato e l'avvenir leggete,
ma l'onda sua benefica
largisce a noi l'oblivïoso Lete.

Da' santi suoi l'Altissimo
chiede la prece, l'umiltà, la fede;
a' figli suoi Lucifero
ogni più cara libertà concede.

Ma voi l'ingiurie solite,
santi soprani, a i reprobi cantate!...
Deh, poveri di spirito,
deh, se sapeste che pietà ci fate! —

CANTO VII ED ULTIMO.

Va, poema infernale e paterino,
dove ti porta il caso:
e se t'ingiuria mai qualche scaccino,
fagli tanto di naso.

_______________________________
CONGEDO

Intro hinc abeamus, nunc jam saltatum satis pro vino' st.
Vos spectatores, plaudite, atque ite ad vos comisatum.
PLAUT. Stichus, vv. 755-56

Voce che in cor mi parli, che bieche parole mi dici
perchè mi mordi come un rimorso antico?

China la stanca fronte su i libri vegliati, t'ascolto
e il ciel s'imbianca de 'l giorno a 'l primo lume.

Cantano su le gronde destate le rondini a l'alba,
da' campi arati bianca la nebbia fuma,

canta ne' boschi il vento fragrante di freschi profumi,
color di rosa ride là giù l'aurora,

tutto rivive a 'l mondo ne' baci de l'alba e d'amore,
io solo, io solo, misero me, non amo!

L'odio che in me fermenta ne' i versi maligni trabocca,
mi brucia il sangue, m'empie di fiele il core.

Oh maledette queste battaglie che l'odio avvelena!
Sia maledetta questa fatica mia!

Voce che in cor mi parli, che i giambi feroci mi detti,
solo un momento, solo un momento taci!

Ecco da 'l sol destati che allegra le candide cune
i miei bambini mi tendono le braccia.

Splende ne' ricci biondi il tremulo raggio de 'l sole
e su le bocche vermiglie il riso splende.

O miei bambini, orgoglio, speranza de l'anima mia,
o miei bambini, voi mi guarite. Prendi,

prendi il mio libro, Mevio, inchiodalo pur su la croce
da queste cune sorrido e ti perdono.

_______________________________
IL NOME DI MARIA

Non per tempo che passi o lunga via
che da te mi divida o m'allontani,
non per mutarsi de gli eventi umani
potrò dimenticarti, anima mia;

e ne lo spasimar de l'agonia,
giunto a la sera che non ha domani,
pensando a questi dì fatti lontani
il nome tuo singhiozzerò, Maria.

E diranno di me: — l'ora de 'l pianto
ecco vinse il ribelle: ecco l'aiuto
chiese d'un nome benedetto e santo. —

Ma no. Su 'l letto funeral caduto
quel dolce nome lo dirò soltanto
in memoria de 'l ben che m'hai voluto.

A GIOSUÈ CARDUCCI

E su 'l ginocchio, come
il gladiator tirreno,
Poggiato, io, fra le chiome
E ne 'l rïarso seno
La fresca aura sentendo
Morirò combattendo.
G. CARDUCCI
Enotrio, dormi ed alte a 'l ciel le grida
de la battaglia vanno, e la bandiera,
la tua bandiera dispiegata a i venti
sta ne la pugna.

Stretti a coorte, giovani soldati,
a lei d'intorno, combattiam per lei:
tu nostro duce intanto e forza nostra,
Enotrio, dormi.

Non senti dunque de l'incenso il puzzo
e il canto fermo e d'Escobar la voce?
Antiche l'armi a le novelle pugne
porta il nemico;

==>SEGUE


e il buffon Mena, da 'l tuo forte schiaffo
segnato il viso, le tue laudi canta,
ma co 'l pugnale di ferirti cerca
dietro le spalle.

Oscenamente dondolando l'anca
Bavio spadone d'assalir si vanta
l'arte tua bella e di tenerla sotto
ferma, domata;

e Lesbia, usata a glubere i nepoti
floschi di Remo sotto gli angiporti,
getta il tuo libro e con la lingua infame
turpe lo dice.

Ecco i nemici, e tra di lor gli onesti,
canuti o pigri, che scordar non sanno
gli antichi santi, cari a la lontana
lor giovinezza.

Ecco il nemico. Destati. Le chiavi,
le chiavi d'oro stan ne 'l suo vessillo.
Ecco, ne gl'inni lacrimosi invoca
papa Leone.

Le forti strofe contro lui saetta,
prorompan gl'inni da 'l possente petto,
gl'inni civili e il giambo avvelenato
come una volta,

e vinceremo. Su 'l sudato campo
erigeremo il memore trofeo:
la fronda sacra cingerem, Poeta,
a la tua fronte.

Intanto Marsia a 'l vergognoso tronco
udrà, legato, de 'l trionfo il canto,
Marsia che indisse co 'l sottil belato
a te la sfida.

Co 'l suo coltello le caprine corna
e il vello infame gli trarrem di dosso:
ad Evio sacro ne faremo un vasto
otre pe 'l Chianti.
GIOVANNIN BONGÈE
E DETTI

Barborin, Barborin, te l'ho già ditt
fa no la cialla che son dree a dormì.
Te vedet no che te me fee i gallitt?
Te vedet no... Salamm?... Salamm a chi?

Ma cossa l'è sta razza de petit
che te veut mangià carna el venerdì?
L'è semper venerdì? Che bel delitt!
Mi son minga verista, cara tì.

Hin i verista quii che fan sti coss,
sti balossad inscì strasordenari,
sti peccaa de tirass l'inferna adoss!

Ma mi, l'idealista leggendari,
tutt in d'un bott deventaroo un baloss?
Brava, e la religion? Brava, e el salari?

L'IDEA PURA

«Saliam, fanciulle, per la via fiorita,
su per la via che in alto ci conduce.
C'è una selva lassù, verde e romita,
un tripudio d'augelli, un mar di luce.

Venite meco se il desìo v'invita
di conoscer l'idea che mi seduce.
Lassù vivono i cor d'un'altra vita
a i fortunati un altro sol riluce.

Leviam le penne a i cieli alti e lontani,
poi che puro l'amor là si conserva
da la bassezza de gli istinti umani». –

Il poeta così caro a Minerva
canta, pieno de 'l Nume, e a l'indomani
rumina un terno e dorme con la serva.
WIENER BLUT
WALZER DI JOHANN STRAUSS

Senti le note di Strauss che vibrano
chiare, giulive ne l'aria tepida,
l'olezzo de' fiori e la molle
voluttà che ne' volti traluce!

In ampi giri le vesti seriche
rotando, ascosi candor tradiscono.
Non vedi? Un delirio sublime
gonfia i petti e prorompe da gli occhi.

Dammi la mano, la mano candida;
chinami il biondo capo su l'omero
e insieme ne 'l vortice lieto
de la danza, fanciulla, voliamo.

Come sei bella! Come ti brillano
socchiusi gli occhi sotto le ciglia!
oh, come la gioia sorride
su 'l tuo labbro gentil, ne 'l tuo viso!

Voliam leggieri, voliam ne 'l turbine:
gustiam l'ebbrezza de la vertigine.
Immote su l'ali distese
così volano in ciel le palombe.

O fortunata questa camelia
che bianca muore tra i veli candidi
de 'l seno, socchiusi, agitati
da 'l pulsar de le turgide forme!

O fortunata che muore, il palpito
de la bellezza la morte allevia!
Oh, un'ora piacerti e morire,
come un fiore morir su 'l tuo petto!

Voliam, voliamo! Tra le mie braccia
ti stringo tutta, materia ed anima.
Sei mia, mia, come in sogno,
non lo sai? tra le braccia ti tenni.

Voliam, voliamo insiem ne l'aere
lassù fin dove s'amano gli angeli,
fin dove ci assume l'amore
ne l'azzurro infinito de' cieli...

==>SEGUE

Candide tortorelle innamorate,
delizia e cura de la donna mia,
che de 'l costante amor l'inno tubate
contente assai de la prigion natia,

candide tortorelle che ignorate
l'uggia, la sazietà, la gelosia
e il vecchio nido fedelmente amate,
senza stanchezza e senza ipocrisia,

emblemi sacri de' tranquilli affetti,
simboli de l'amor serio e composto,
de gli amplessi periodici e corretti,

dite a' critici miei che ad ogni costo
vi vogliono veder ne' miei sonetti,
che mi piacete sì, ma cotte arrosto.




O bianche nubi che ne 'l ciel turchino
come fiocchi di lana il vento spinge,
perchè nova un'angoscia il cor mi stringe,
quando lassù vi guarda il mio bambino,

ed un desio mi assal che ne 'l divino
azzurro a figger gli occhi mi costringe,
un desio di tentar l'ignota sfinge
che l'avvenir conosce e il mio destino?

Ma no, bambino mio, non ci diranno
queste nuvole bianche il gran mistero,
e, come noi, se viva Iddio non sanno.

Io stanco scenderò ne 'l cimitero,
i tuoi riccioli biondi imbiancheranno,
povero bimbo, e non sapremo il vero.


E grida, udite, il volgo macilente:
— «Noi, plebe, non morremo,
ma ne 'l gran giorno, in faccia a 'l sol lucente
giustizia ci faremo.

Da le città, da gli abituri foschi
che il sol mai non abbella,
giù da i monti, da 'l mar, da gli aspri boschi
che l'aquilon flagella,

innumeri, feroci e disperati,
noi plebe maledetta,
incontro a voi discenderemo armati
di ferro e di vendetta.

Siete voi che rideste allor che invano
pietà per Dio pregammo
ed una pietra ci metteste in mano
quando un pan mendicammo.

Non sperate pietà dunque ne 'l santo
giorno de l'ira eterna.
Troppo, dinanzi a voi, troppo abbiam pianto.
Vigliacchi, a la lanterna!» —



A UGO BASSINI

T'ho promesso un sonetto e t'ho promesso
di fartelo decente ed ideale.
Eccolo qui che te lo faccio adesso:
leggilo che non c'è niente di male.

Vedi, qualunque petrarchista smesso
te lo farebbe appunto tale e quale
ed io lo taglio, poichè m'è concesso,
su 'l modello cattolico e morale.

Ma se qualche maligno ti osservasse,
esempligrazia, che codesto imbratto
è il più sciocco che mai si perpetrasse,

di' pure, amico mio, di' che t'ho fatto
un sonetto ideal di prima classe,
giusto perchè non dice niente affatto.
L'ANNUNCIAZIONE

Erat autem Maria instar columbae
educata in templo Domini.
PROTEVANGELION IACOBI VIII.
In FABRICII Cod. Apocr.
Le faci impallidiscono
ne 'l tempio de 'l Signor vivente e vero.
Giganti dietro le cortine immobili
vegliano lo spavento ed il mistero.

Un silenzio terribile
pesa ne l'aria di profumi carca.
Ritti ne l'ombra, l'ala immane stendono
i cherubini d'oro intorno a l'Arca;

ed una bruna vergine,
cui l'immenso mister non ispaura,
ne la penombra de' fuggenti portici
le faci a risvegliar scende secura.

Secura ne le tenebre
passa costei de 'l suo signor ne 'l nome;
chiude il tenero piè ne 'l breve sandalo,
stillan di nardo le fluenti chiome.

Ella non sa che inconscio
ne gli occhi di gazzella amor le dorme,
ella non sa come la stola candida
l'onda tradì de le virginee forme.

Bruna ma bella. Il tumido
labbro ricorda il fior de 'l melograno.
Bruna ma bella. I curvi lombi ondeggiano
come su i colli di Samaria il grano.

Ecco da l'alto un pallido
raggio di luna sovra lei discende;
un azzurro baglior come di fosforo,
gli sculti enigmi de l'altare accende.

Ecco ne l'aria tepida
un cantico lontan palpita e muore.
Bella è la notte. Le fanciulle cantano
sotto le palme la canzon d'amore.

Come una bianca statua,
ne le pieghe de 'l vel candido avvolta,
ritta su i gradi de l'altar, la vergine
gl'inni che fremon ne la notte ascolta.

==>SEGUE
Presto il giorno verrà che per le strade
così ricche quest'oggi e così belle,
come fiumana che la messe invade
proromperà l'esercito ribelle.

Fiammeggeranno in alto allor le spade
tinte ne 'l sangue d'una gente imbelle,
ed il clamor de la fraterna clade,
orrendo salirà fino a le stelle.

E tutto suonerà d'urla e di pianti
e la vendetta veglierà fatale
de la città su i ruderi fumanti.

O correttori de l'altrui morale
quello il tempo sarà di farvi avanti
a predicar Manzoni e l'ideale.

CAMBIA LA MODA

I.
Ah, queste donne bionde
amor de gli Stecchetti,
che porgon l'anche tonde
e gli insolenti petti,

sgualdrine invereconde
che, abbandonando i letti,
mostran le pance immonde
ne 'l mezzo de i sonetti,

la smetteranno ormai
di distillar la loia
in tanti calamai,

Taidi venute a noia,
scarti di fiaccherai,
cittadine di Troia!.

II.
Or de le bionde non sappiam che farne
ma le dame cerchiam di pelle scura,
che sian marchese almeno e che mostrarne
possano i quarti de la figliatura.

Debbono esser spolpate e debbon darne
prove provate a la letteratura
con l'esser senza petto e senza carne,
ossa, pelle, merletti e imbottitura.

==>SEGUE
Sopra un palco di stelle, in lunga schiera
aspettan gli accademici.
I cherubini accendon la lumiera.
Comincia lo spettacolo.

Zitti, zitti! Lisciandosi il ciuffetto
e i baffi aristocratici,
un bel signore recita un sonetto
morale in questi termini:

CANTO V.

«Noi siam felici ne l'eterna calma
a cui la grazia di Gesù ci assunse,
L'anima nostra fortunata, giunse
a coglier de la fe' l'eterna palma.

»Deposto il peso de l'antica salma,
d'inni soavi un bel desio ci punse,
e cantiamo il Signor che si congiunse
a noi ne 'l gineceo casto de l'alma.

»Così levando il cantico fraterno,
ne l'infinito ciel spiegando l'ali,
voliamo incontro a 'l refrigerio eterno.

»Gl'inni santi, pudichi e celestiali
invidiateci pur giù ne l'inferno,
voi che cantate il ver, brutti maiali!»

CANTO VI.

Ma da gli abissi un cantico
fino a le case de 'l Signor si leva.
— Sia benedetto Satana
che porse il pomo de 'l peccato ad Eva;

e lodato l'Altissimo
che seppe giudicar l'anime tutte
e liberò gli eretici
da 'l paradiso de le donne brutte.

Qua giù tra noi non scesero
de l'antico vangel gli antichi errori,
e il parroco ed il sindaco
non torcono il capestro a' nostri amori.

Salìro a 'l ciel la monaca
morta di tabe e il francescano immondo,
ma qui tra noi calarono
le migliori beltà vissute a 'l mondo,

==>SEGUE



Paedicabo ego vos et inrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex versiculis meis putastis
quod sint molliculi, parum pudicum.
Nam castum esse decet pium poetam
ipsum: versiculos nihil necesse est.
C. VAL. CATULL. Carm. XVI.
>>>>> SEGUITO

L'arte nuova è corruttrice. Baie! L'arte non ha mai corrotto nessuno; e, in caso, è sempre l'ambiente sociale che corrompe l'arte. Non è il Meissonier che ha messo alla moda i quadri piccoli; sono i committenti che grandi non li vogliono. È forse decaduta la pittura perchè non si fanno più affreschi con cinquecento figure come Michelangelo li faceva? Ma nessuno li cerca. Non si scrivono più opere melodiche come le scrivevano il Cimarosa ed il Rossini? Ma il pubblico fischia le cabalette. Non ci sono più architetti? Ma oggi si contentano di un maestro muratore. Non si scrivono poemi? Ma non li leggerebbe nessuno. Non si fanno tragedie? Ma le fischiano. Ah no, non è colpa dell'arte se il pubblico divora certe edizioni e certe altre non zoppicano fino alla terza che coll'aiuto de' professori compari i quali le fanno comprare agli scolaretti come libri di testo. No, non è colpa dell'arte se il pubblico legge più volontieri una brutta traduzione dell'Assommoir che i sempiterni Promessi sposi. Non è colpa dell'arte se si applaudono i proverbi seminudi, se si comprano i quadretti di genere e le statuette senza foglia di fico. Anzi chi vuol andare contro la corrente è immediatamente e ferocemente punito. Così al mio Cavallotti toccò lo sfregio immeritato di sentirsi lodare dal (con licenza) Barone Mistrali per l'ode che precede la traduzione di Tirteo e per la lettera al Prati. Un'altra lode della stessa fabbrica di concimi è toccata a Leopoldo Marenco che scrive al Bersezio dolendosi che i critici non parlino a modo suo e che il pubblico legga gli scrittori che non piacciono a lui. L'autore di tanti celebri idilli comici chiama mostricciattoli questi poveri autori e li copre con un monte di contumelie biliose per finire dicendo che «i critici di maggior sapere e di maggiore acume, quando non tristi per natura o per cieca passione, sono i meglio riguardati a giudicare le opere altrui. La loro stessa severità non è scevra di rispetto: franchezza, non brutalità; gentilezza di forma, non villanie». Se fosse vero, padre Zappata!
E non vi domanderemo quali siano i sani e forbiti scrittori che nessuno legge e che i librai non tengono in bottega. I libri del De Amicis non peccano di verismo e le donne che ci sono dentro sono scrupolosamente vestite; eppure quei libri si comprano e leggono. Perchè non accade lo stesso degli altri sani e forbiti scrittori? C'è dubbio che la corruzione umana sia giunta fino a non amar più l'arte noiosa? Ci pensino i sani e forbiti scrittori che si dolgono di non trovar più un cane che li legga. Potrebbe darsi che, una volta almeno, avessi ragione io. In Italia pochi anni fa non si leggevano che libri francesi, ed il nostro paese era lo sbocco pel quale i romanzieri di terza e di quarta classe scolavano i loro libri ebeti. I lettori vivevano d'importazione e papa Gregorio, buon'anima sua, era entusiasta dei romanzi di Paolo de Kock. Libri italiani non se ne vendevano e non se ne vedevano. Perchè? Come sta invece che un po' di emancipazione dal gran mercato di Parigi, un po' di risveglio letterario è venuto appunto quando gli scrittori non si sono più ostinati di andare contro la corrente a forza di tragedie, idilli, romanzi storici ed inni sacri? Come è dunque che la gran morta, l'arte italiana, dà segni di nuova vitalità e non solo combattiamo noi, ma i seminaristi sconquassati dai superiori mi scrivono asinità anonime o pseudonime e dalle case di salute per le malattie che sapete, o dalle prigioni, mi vengono sonetti in difesa della morale? Come è dunque che bisogna essere alienati per non gridare eppur si muove! e il pubblico, il pubblico stesso, così indifferente una volta, prende gusto persino a queste inutili polemiche d'arte e legge i giornali fatti apposta, anche quelli (copio dal vero) che sostengono la letteratura plasmatrice dei popoli, che combattono i mirmilloni da trivio e da bordello ed il cinismo spudorato ed altre galanterie, segno della educazione degli scrittori? È perchè gli artisti hanno cominciato a capire che il segreto del trionfo sta nel sapersi ispirare all'ambiente in cui si vive, alla verità di oggi non a quella di cinquant'anni addietro.
Hanno capito che in arte bisogna essere del proprio tempo o morire. Poco importa se l'ambiente non è l'ottimo; in quello bisogna vivere. Poco importa se la società non è sana; nel morbo stesso è il segreto della evoluzione, la genesi dell'avvenire. Ogni anello della catena deve essere al suo posto sotto pena di soluzione di continuità. Fate il pubblico raffinatamente bestiale ed avrete Anacreonte e Batillo; fatelo religioso e guerriero ed avrete i cicli cavallereschi; dategli entusiasmi ed odi patriottici ed avrete Rouget de l'Isle, Riego, Körner, Berchet; ma non tentate mai di rammodernare Omero, di correggere il Decameron, di processare Madame Bovary. Perderete il tempo, poichè in verità vi dico che non è l'arte che fa la società, ma la società che fa l'arte a sua imagine e somiglianza.
E poi, dov'è questa gran corruttela? Via, si può giurare che Gustavo Droz colle sue allegre descrizioni di notti matrimoniali non ha corrotto e non corromperà nessuno. Ma intanto i buoni Filistei proibiscono alle ragazze di leggere le poesie dello Stecchetti e le conducono invece a vedere le nudità nei musei, dove, poverine, benedicono l'autunno che fa cascar le foglie. Siate logici come lo fu Ferdinando II e seppellite la Venere Callipygos e la Danae del Tiziano. Bruciate le vanità come il Savonarola e laudate con cembali bene sonanti chi mise le brache ai dannati di Michelangelo e la camicia di rame alla Giustizia del sepolcro di Paolo III. Anche qui il Nettuno di Giambologna fa pompa della sua virilità in piazza; perchè non gli mettete almeno le mutandine che la Questura prescrive ai bagnanti? Un cardinale logico lo fece, ma voi proibite alle ragazze la Fernanda del Sardou e le conducete a prendere il fresco all'ombra della virilità del Nettuno! No, Filistei carissimi, Michelangelo, Tiziano, Guglielmo della Porta, Giambologna, non corruppero nessuno e, fatte le dovute proporzioni, non corrompiamo nessuno nemmeno noi. La corruzione non nasce dalle nostre nudità, ma
dalla vostra ignoranza.
Ci son delle ragazze a questo mondo: debbo riconoscere questa dolorosa verità. Ma perchè ci sono, si
dovrà scrivere soltanto per loro e soltanto in modo che nel leggerci non si sentano l'acquolina in bocca? È pretender troppo. Disse bene Ferdinando Martini: maritatele una volta queste benedette ragazze, che possiamo finalmente dire le cose come sono! Il meglio poi è questo, che, se facciamo dei libri tanto innocenti da poter esser letti da queste eterne ragazze, ecco che i babbi non li comprano più; i babbi pudicissimi che nel Furioso cercano solo il canto XXVIII e chiusi in una biblioteca studiano minutamente le sole incisioni dei trattati di ostetricia. Salvo, si capisce, ad urlar poi che libri di quella fatta dovrebbero star chiusi a chiave e che il Furioso non può essere tollerato che nelle sconciature dell'Avesani. Purtroppo le ragazze ci sono, ma per educarle alla castità immacolata ed alla meritoria ignoranza del mondo e delle sue pompe ci sono educandati apposta. Credo anzi che il professore Giovanni Rizzi (giacchè bisogna che gli diamo la soddisfazione di nominarlo, dice il Chiarini), uno de' più strenui e continenti avversari della scuola nuova, diriga qualche cosa di simile. Mandatele da lui le ragazze, in nome di Dio, che le educherà e troverà loro un casto marito, ma lasciateci parlare coi babbi a modo nostro. E siate sinceri, Filistei, ditelo una volta che la virtù per voi è l'ignoranza del vizio. Ditelo una volta che per voi, quando la benedetta ignoranza se n'è andata, non c'è altro rimedio che l'isolamento, l'infibulazione e les maudits engins, fermoirs ecc. vituperati dal signor di Brantôme.
Audio quid veteres olim moneatis amici:
Pone seram, cohibe. Sed qui custodiet ipsos
Custodes? Cauta est, et ab illis incipit uxor.
La verità vera è che siamo tornati alla battaglia dei romantici e dei classici, (c'è anche l'avvocato Stoppani di Beroldinger) con questo di guadagnato che la polemica non è più un cas pendable e che nessuno dei combattenti, per ora almeno, cerca di fare intervenire in suo favore la Polizia8. Meno, s'intende, quegli ingegnosi avvocati di Genova che, non avendo cause da difendere, fanno istanza al Procuratore del Re perchè sequestri i libri ed i giornali veristi, pronti poi a difendere gli autori e i gerenti in tribunale. Si dice che a tanto eccesso di comica furberia abbia riso persino il crocifisso della Corte d'Assise. Figuriamoci i veristi! Eppure anche il buon Stoppani di Beroldinger e gli amici Demosteni del foro genovese dovrebbero capire che c'è qualche cosa che si rinnova dappertutto, anche nella letteratura del nostro paese. Si sente pure che il mosto fermenta e vuol diventar vino, perchè quello degli anni passati è diventato aceto. La fermentazione è tumultuosa, è vero; si sviluppano gas malsani, ma l'intimo lavoro c'è, e il vino lo berremo. Se non sarà Falerno, pazienza; almeno sarà vino schietto. Lo sanno tutti che nelle battaglie non si misurano le sciabolate: e' colpi non si danno a patti, disse il Cellini. I romantici esageravano gli scheletri, i classici esageravano gli Dei. I nostri idealisti rifuggono adesso con orrore sacro dal mangiar carne il venerdì, i veristi affettano di mangiarne per dispetto il venerdì santo. Questi, per necessario istinto, badano solo alla apparenza delle cose senza sillogizzarci sopra e cercano appunto gli argomenti e le forme che valgano a far spiccare la loro reazione contro l'abuso del sentimentalismo. Quelli si attaccano a quegli antichi, a quel Manzoni, che alla lor volta furono gridati rivoluzionari e corruttori dell'arte. Dimenticano che anche il Metastasio a' suoi tempi fu un ribelle e pronosticano la fine del mondo ad ogni tentativo: si chiudono nella loro ortodossia con un non possumus intransigente e sognano un Sillabo letterario cogli anatemi di rito.
Dove andiamo? grida spaventato Luigi Alberti.
Alle battaglie della libertà.
Arcadia nuova. Ma chi in Italia ha il coraggio di parlare d'Arcadia? Ma non è in Italia che le accademie hanno lasciato un tipo, un campione monetario al quale si ragguagliano ancora tutti i valori del mercato artistico?
In letteratura la moneta tipo è ancora il ducato del secolo XVI o lo zecchino del XVIII. E nelle altre arti, chi non conosce i pittori che hanno per unità di valore Raffaello Sanzio, gli scultori che ragguagliano tutto al Buonarroti o al Canova, i musici che adorano il solo Rossini forse perchè ignorano la Messa di Papa Marcello e il Palestrina? E questo accade pure in Italia, nel paese già dichiarato ingovernabile e dove regna ancora sovrano delle lettere Sua Santità Papa Leone X! Disse Hegel che tutto diventa, ma qui non lo sa nessuno. Le dottrine evoluzioniste, venute da poi, rimasero lettera morta pei nostri critici, i quali si ostinano a misurare il Carducci colle unità lineari del tempo del Manzoni, senza capire che perdono il tempo, proprio come quella brava gente (perdonami Galileo Galilei) che sciupava la carta confrontando l'Ariosto col Tasso. Possibile che non si capisca come le donne moderne non possono star dentro alle forme cavate sulla Venere Capitolina, che il modo di sentire di Garibaldi non può esser quello di San Francesco d'Assisi, che il misurare con la misura stessa le opere vecchie e le nuove è come misurare l'anno col computo di Giulio Cesare dopo la riforma gregoriana? Le accademie stabiliscono la fede artistica come i concilii la religiosa, senza vedere che anche in arte la fede uccide la ragione. Ci rimproverano di non aver nessuna fede e poi ci dicono accademici: urliamo che ci vuole un po' di libertà, ce la prendiamo, e ci dicono arcadi. Santa pazienza!
L'amico mio De Gubernatis, che s'immagina anche lui (chi sa perchè?) di essere cordialmente odiato da questa scuola nuova, ci avverte che siamo fuori del seminato. Infatti l'anno 1878, così fecondo di lieti e tristi avvenimenti, non
produsse che pochissimi versi buoni sopra le cose accadute. Ma non erra egli credendo la poesia d'occasione scaduta in Italia? Eppure non c'è matrimonio, non c'è laurea, non c'è guarigione, non c'è messa nuova o quaresimale vecchio che non faccia cantare molti poeti e parecchi bene. Deve però ridursi a questo la poesia? Questa non sarebbe Arcadia della peggiore?
Gli epigoni della santa e benemerita Arcadia sono quelli che non vogliono adattarsi a credere che ci sia qualche cosa al mondo capace di cambiare. Costoro non possono supporre che oggi ci sia una tendenza ad un paganesimo riformato, ad un naturalismo, ad un panteismo materialista, al quale possono scagliar coppie di calci tutti i gesuiti del mondo, ma che cresce tutti i giorni, ingigantisce e rovescierà i templi e gli idoli dei nonni. Pare eresia agli accademici il sostenere che il cristianesimo muore e che ogni religione rivelata è bugiarda. Tornano piangendo ai lontani ricordi dell'infanzia quando la mamma li faceva inginocchiare sulla culla bianca e sussurravano colle mani in croce i misteri della salutazione angelica. Tornano ai sogni beatifici che rallegrarono la loro prima comunione e si chiudono nella memoria de' sentimenti passati come se solo in quelli potesse trovarsi la poesia e la bellezza. E c'è nella religione e nell'arte un mare di laudanum dove le anime pie che non hanno forza di combattere le tempeste di altri mari cercano la pace rassegnata, la rinuncia quietista del Deus dedit, Deus abstulit. Annegano là i cattolici desiderosi dell'ozio del pensiero e gli islamiti che aspirano alla eternità del kief. E quando gli uomini e la società si destano e si muovono, queste religioni immobili e fataliste declinano insieme e rovinano, meteore pallide, pianeti spenti, colle arti da loro ispirate. Ma per gli accademici nostri tutto questo non è vero. La religione cattolica guadagna anzi proseliti ogni giorno, s'inalzano chiese, appaiono Madonne e la signorina Luisa Lateau ha le stimmate. Certuni poi che hanno le carie del rispetto umano nell'ossa, cattolici che si vergognano di esserlo, che il giorno credono di essere tretragoni ai pregiudizi, e la notte quando tuona, si fanno il segno della croce sotto ai lenzuoli, cercano altrove che nella religione i sillogismi per confonderci e per convincere il prossimo che è opera scellerata il pensare fuori delle massime cristiane ed il ribellarsi alla teosofia del Rosmini. Non credono che nell'arte latina e cattolica, e se vi provate a dire che anche i ribelli hanno affetti, gioie e dolori li vedrete levarsi e gridare che il Manzoni, il Giusti non pensarono, non sentirono, non soffersero così. Sentirete gridare che non ci può esser arte materialista, che non si può concepire il bello colle teorie dello Spencer, che il sublime non può esser capito dagli allievi dello Schiff. Cosi Orazio è darviniano e gli arcadi siamo noi! E gli accademici si sfiatano e sudano. Per loro non muta nulla, per loro non ci può esser arte fuori delle tesi accademiche e ne conosco parecchi che, a letto, scrivono commoventissime canzoni sui dolori dell'esilio perchè l'accademia trovò che dopo il Berchet l'esule era un bell'argomento. Ma non vedete dunque come galoppano le idee che vituperate? Non vi accorgete che c'è qualche cosa che vi trascina pei capelli (ne avete?), che vi trascina nelle lotte di Satana? Non vedete le transazioni che fate tutti i giorni colla vostra fede, le toppe che tutti i giorni dovete ricucire alle vostre candide stole? Ecco l'autore della Morale cattolica morto fuori dell'ortodossia cattolica, ecco il povero Aleardi che cantava l'immortalità dell'anima costretto a nominare professori che non ci credono, e il Prati farsi un Dio che vada d'accordo col regolamento del Senato e lo Zanella ammalare per la necessità di cantare fuori del Sillabo e tutti, tutti, tutti, fino ai minimi, fino ai pedagoghi di ragazze, dover scappare dalle prigioni della fede cieca, intera, romana, per vivere e per scrivere. Esiste l'arte anche fuori dalle formole del Gravina e del Soave e c'è tanta poesia nella coda di un fauno quanto nel piviale di un arcivescovo. Properzio è poeta quanto e più del Manzoni, e voi, cavalieri crudeli, non potete più caricar di legnate i puledri che vogliono correre i prati, trovar nuovi pascoli e nuove vie. Maledite pure il dottore in zooiatria che li lasciò stalloni, ma persuadetevi che poeti laureati non ce ne sono più e il Senatore di Roma non può incoronare nè il Petrarca nè il Baraballo. È il popolo che incorona oggi e dovete adattarvi ai suoi gusti, alle sue libertà, ai suoi costumi per quanto vi spiaccia. Dovete scendere in campo a viso aperto e non protetti, come una volta, dal baluardo della fede, e dovete scendere in campo, qui, con noi, e non potete più disprezzare o interdire, ma dovete combattere. Venite, cattolici, a vedere che in Roma stessa vi tocca disputare sulla venuta di San Pietro: venite, figli dell'Aquinate, a disputare col Renan e collo Strauss: venite, idealisti, a sentire quanti figli ebbe l'angelica Laura: venite, venite, poichè anche voi dovete combattere per l'esistenza ed il bargello non può più definire le questioni di fede e d'arte. Non ci potete più schiacciare col silenzio e coll'indice e condannarci come parricidi perchè non accettiamo le convinzioni dei padri. Combattiamo e il Dio vostro v'ispiri la lealtà, la franchezza di chiamarvi crociati per Gesù, paladini per la croce.
Combattiamo, voi per la fede, noi per la libertà, poichè anche noi abbiamo un'arte, un pubblico, una speranza, un pudore. Ma il pudore nostro non è quello santificato dal vostro Stanislao Kostha e chiosato dal vostro Sanchez. Abbiamo un'arte anche noi, ma, come la bocca d'Ezechiele, anche la nostra non rifugge dalle lordure. Siamo chirurghi, non Dame del Sacro Cuore. Oramai però anche i poveri idealisti l'hanno capita e, disperati del loro avvenire, si danno affatto alla religione che mi pare in brutte acque anche lei. È il destino delle peccatrici che diventano vecchie. E pazienza lodassero l'Altissimo e la morale cattolica, ma si mettono alle pratiche del culto esterno. E pazienza anche questo, ma rubano il mestiere ai carlisti ed alla Gioventù Cattolica. La scolaresca dell'Accademia scientificoletteraria di Milano, guidata da quel comico perfetto che è Paolo Ferrari, accompagnata da una rappresentanza di altri istituti e da due illustri professori dei quali non ricordo il nome, si recò, in pio pellegrinaggio, alla casa del Manzoni. Uno che
pretende di aver fatto parte della spedizione, grida nel giornale (con licenza) del barone Mistrali:
— «...io vi assicuro che sul primo entrare nella modesta casetta mi sentii come compreso di devozione profonda, proprio come quando una tacita prece si leva a Dio nel silenzio di un tempio sull'imbrunire della sera.» Con trepidante curiosità ho voluto vedere i minimi particolari. Non istarò a dirvi che i mobili della casa si trovano ancora al medesimo posto che occupavano quando il grande poeta era vivo e fiorente: vi dirò bensì che a un certo punto non potetti rattenermi e piansi: piansi vedendo l'umile scrittoio e il calamaio e il tagliacarte e la penna di Alessandro nostro; la penna che ha vergato eterne pagine!» Ecco sopra un tavolo il cappello di paglia e il bastoncino su cui il buon vecchio reggevasi negli ultimi anni. Ecco nell'anticamera del piano superiore un altro cappello e un mantello appesi in un angolo: si entra poi nella cameretta da letto, dove tutto è semplice e modesto, il letticciuolo, le sedie: non v'è la menoma ombra di lusso e di affettazione». —
Ci manca la paglia della prigione alla quale questi scomunicati realisti hanno condannato il pover'uomo per tanto tempo, e poi siamo proprio ai pellegrinaggi spagnuoli e belgi quando Pio IX era ancora al mondo!
Dopo lo squarcio qui sopra c'è la tirata d'obbligo contro i veristi nani e pomposi, i quali, a quanto pare, non adoperano cappelli di paglia, mantelli, tagliacarte ecc., ma si adagiano nel lusso più sardanapalesco, dormono sulla porpora e sui petti delle donne, mangiano ananassi con salsa di tartufi, ballano il cancan dodici volte il giorno e bevono sangue di idealisti in crani di parroci. Che porci! Ha ragione quel signore di piangere dirotto come la cascata del Niagara!
Così gli idealisti come i credenti delle religioni ammalate, cominciano i pellegrinaggi! Presto vedremo l'obolo. Intanto davanti al cappello di paglia del Manzoni — «uno degli scolari, il giovine Costa, prese la parola per esprimere, interprete dei propri condiscepoli, i sensi d'ammirazione verso l'opera del poeta e di adesione ai suoi principii di moralità e di castigatezza nella letteratura. A lui rispose il prof. Ferrari, facendo plauso ai sentimenti manifestati e affermandoli più altamente, come una protesta concorde e solenne contro le intemperanze d'una nuova scuola letteraria che si compiace del lezzo d'un verismo inverecondo.» — Sembra la parodia di uno squarcio di Tito Livio! Vedete di qui il giovanetto Annibale che giura odio eterno ai romani e sull'ara sta il cappello di paglia del Nume ed il gran sacerdote squassa orribilmente le famose bende candide, vestite con tanta disinvoltura dai coristi druidi della Norma. Lo studente Costa avrà certo avuto il premio in fine d'anno e certissimamente poi questa farsetta annuncia una seconda giovinezza di vis comica nell'autore della Bottega del cappellaio. Con un po' di musica potevamo augurarci di assistere al natale del vaudeville in Italia; ma non si potè, perchè il municipio non concesse la banda e poi la tesi non la richiedeva. Peccato!
Ma via, buona gente, non è già l'idealismo che ci irriti i nervi. Ohibò! Accettiamo tutta l'arte del nostro paese, vecchia e nuova, cattolica anche, da Fra Iacopone ad Alessandro Manzoni, per quanto non siamo cattolici, nè vecchi, nè nuovi. Ma veneriamo il Petrarca, non i petrarchisti. Ben venga l'ideale quando non sia una ricetta, una falsariga, uno stampo; quando non rimpianga, come fa ne' sonetti del prof. Rizzi, la voce armoniosa de' cigni antichi e non ci mostri, con sale più inglese che attico, la cuoca che medita di tirare il collo al canoro augello. Queste stampiglie erano vecchie sino al tempo del Pervigilium Veneris dove: Loquaces ore rauco, Stagna cycni perstrepunt: non ce le date ora come le colonne d'Ercole dell'arte. Dateci pure dell'ideale, ma non modelli da sarto per tagliarci sopra le giubbe agli studenti di liceo. Dateci dell'ideale, non del brodo lungo. E non adoratelo in una chiesa fuori della quale non ci sia salute, non lo fate lo czar di tutte le lettere che sono una repubblica. C'è posto per tutti, pel Cavalca e pel Boccaccio, pel Tasso e per l'Ariosto, pel Montaigne e pel Bossuet, pel Dryden e per lo Shakespeare, pel Klopstock e pel Goethe, e noi nell'arte non cederemo mai nè un palmo della nostra terra, nè una pietra delle nostre fortezze. Siamo gelosi di Bice come di Fiammetta, del Metastasio come dell'Alfieri; non abbiamo casta, non abbiamo tribù, non abbiamo chiesa. Tutti i poeti li accettiamo purchè siano poeti e non saremo noi che scomunicheremo le Odi barbare in nome della rima, per applaudire poi ai versi troppo sciolti del primo scalzacane che ci lecchi le scarpe. Tutta dunque questa ribellione contro la tirannia dell'ideale, tutte queste scritture polemiche goccianti giù assiduamente dai torchi, vanno intese nel senso loro. Non è già che i combattenti vogliano la testa del nemico, non è che in nome della fotografia vogliano bruciare le madonne del beato Angelico, o in nome della sensazione rinnegare il sentimento. No. Ma anzi dicono coi fratelli De Goncourt, non sospetti certo di meteorismo ideale: «Le réalisme se répand et éclate alors que le daguerréotype et la photographie démontrent combien l'art diffère du vrai». Ma tutto questo accade perchè anche nell'arte si è voluto distinguere nell'uomo la materia dallo spirito, l'anima dalla carne, mentre l'uomo è uno; ed è perciò che noi lo vogliamo rappresentato tutto intero, nella bellezza e nella deformità, negli istinti sublimi e nei bassi, com'è, come l'hanno fatto i tempi, le religioni, le virtù ed i vizi. Vorremmo che l'amore si cantasse come tutti lo sentono, non aspirazione platonica ad un tipo, ma desiderio sublime di una donna intera, spirito e carne; di una donna vera e viva, santa o peccatrice che sia. Cercare la deformità, accarezzarla, compiacersene, è caso patologico; ma lo è altrettanto fingere che la deformità non esista. È vizio l'eccesso come il difetto, la lussuria come la castità, e poichè il nostro secolo lo sa e lo dice, vogliamo essere del secolo nostro. Vogliamo l'arte del presente, non quella del passato, non quella dell'avvenire. Vogliamo sentire come i nostri nervi ed il nostro cervello comportano, non attraverso al diaframma delle sensazioni altrui. Vogliamo amare come sappiamo amar noi, non come amarono i nostri nonni. Vogliamo insomma essere del nostro tempo, e se il tempo non è
bello, non lo abbiamo fatto noi e non ce ne abbiamo colpa. Questa ribellione non si fa dunque per detronizzare l'ideale e ghigliottinarlo, ma per farne tutt'al più un re costituzionale che divida i suoi poteri, chiuda la Bastiglia e si lasci costringere a largire la Carta. Almeno almeno come gli spartani ed i siamesi, ammetta un collega agli onori del trono: il vero.
Ed ecco il Cavallotti che ci crede:
Carichi di saette pei pedanti,
Di crani e feti e aborti d'ospedal,
Di vermi per mangiar le proprie amanti,
D'upupe per cantarne il funeral;
ed egli, l'uomo delle generose illusioni, dice:
Portiam le mode del vecchio Parini
Le mode rococò d'Ugo e Manzon.
In questi versi intanto no di sicuro. E poi, adagio. Dobbiamo fare come i chinesi che ai morti illustri erigono templi dove pregano e sacrificano? Dobbiamo pellegrinare anche noi col bordone e il sanrocchino fino al cappello di paglia del Manzoni? Ci condanneremo all'immobilità di Budda e di Confucio? Ma no, Cavallotti; i grandi uomini vogliamo onorarli, studiarli, ma adorarli e copiarli, no.
Non ti ricordi dunque che i crani e l'ossa da lungo tempo hanno acquistato la cittadinanza italiana e fino da quando il tuo Berchet traduceva e chiosava nel Conciliatore la Eleonora del Bürger con grave scandalo delle parrucche italiane? Non ti ricordi dunque che proprio l'upupa che svolazza sulle croci fu uno dei rimproveri che si fecero ai Sepolcri del Foscolo, ai quali gli idealisti d'allora preferirono la cattolica risposta del Pindemonte? Non ti ricordi quel che dice il Ranalli dei Promessi Sposi ne' suoi Ammaestramenti? E bada che gli Ammaestramenti sono libro di testo in troppi licei di questo povero regno d'Italia. Non ti ricordi di una poesia di un certo Cavallotti nella quale certi scheletri salgono sulla carrozza di certi principi? Perchè dunque tante ire? Forse perchè vuoi vestirti come il vecchio Parini? Bada, non è carnevale ed i vestiti rococò ti solleverebbero contro tutti i torsoli di cavolo che vegetano in val d'Olona. Ogni tempo ha i suoi vestiti: tanto è vero che tu non ti vesti affatto come il Parini, ma tu solo sei il sarto de' tuoi versi e, se ti dicessero il contrario, te ne avresti a male.
Pare impossibile! Mentre dappertutto si cammina in libertà, noi sentiamo prescriverci la lunghezza dei passi come i coscritti! E non sempre i passi li vorrebbero fatti avanti. Tutti sanno che l'adorazione cieca, la superstizione, è difetto italiano. Quando l'idolo fu il Leopardi, guai a non maledire la vita ed il sole in strofe libere! Quando l'idolo fu il Manzoni, fu dovere il cucinare inni sacri in settenari; e i plagi dei Promessi Sposi! Guai a scostarsi dai modelli! Guai ad uscire dal campo arato, seminato, esaurito dai vecchi! Abbiamo ancora nelle ossa l'antica lue dei petrarchisti. Ma ditemi, per Dio, non era proprio ora di muoversi? Ma non vedete che noi, rivoluzionari, scapigliati, sanculotti, siamo ancora alle cinquantenni prefazioni del Cromwell e di Mademoiselle De Maupin? Immaginate dove sono gli altri! E con tutto questo si sentono alte le grida per la mancanza del romanzo, del teatro, della lirica, della storia, della pittura, dell'arte italiana insomma! Lo credo, io! Guardate per esempio Leone Fortis, che ringrazio pubblicamente, intanto, pel bene che m'ha fatto scrivendo intorno alle cose mie, sia credendomi morto che sapendomi vivo. Guardate Leone Fortis che ha intelletto d'arte, quantunque nella furia delle battaglie gli avversari glielo neghino. Ebbene, è del mio parere in teoria; ma in pratica? Nell'Illustrazione italiana uno che scriveva in vece sua e con idee che egli certo non rinnegherebbe, accettava l'arte purchè fosse arte e non sconciatura, protestava di ammirare una donna scollacciata purchè bella. Ma dunque perchè combattiamo? Tutto l'odio dei nostri avversari cade dunque soltanto sui versi falsi? Ma credono che la scuola nuova sia la scuola de' versi falsi? Ma tanti idealisti non ne fanno dunque dei così scrofolosi che gli ospizi marini non li guarirebbero? S'intende che il maggior numero de' versi storpi sono dei veristi; poichè oggi il verismo è opposizione e chi ha qualche lite colla legge è sempre coll'opposizione e non coi carabinieri. Quando i manzoniani erano opposizione, il maggior numero di versi degni d'essere gettati giù dal Taigeto li facevano i manzoniani (ahimè! ne fanno ancora); ma era forse quella la scuola de' versi falsi? I versi del Carducci tornano pure. Perchè il Fortis, accecato anch'egli dalla furia del combattimento, li trascina alle Gemonie?
E poichè sono col Fortis, ci sto. Una donna di mala vita fu macellata e sparata da un beccaio in Milano. Ed ecco il Fortis che nella Illustrazione reputa responsabili dell'atroce beccheria, immaginate chi? Il realismo ed il borghesismo! È proprio il caso di ricantare:
Je ne suis pas notaire,
C'est la faute à Voltaire.
Je suis petit oiseau,
C'est la faute à Rousseau!
Tali accuse furon già fatte agli enciclopedisti ed ai romantici. Oggi le si fanno ai veristi. Ah, ma dunque il beccaio era realista e borghese? Leggeva dunque questi maledetti elzeviri? Povero me, che credevo di essere un buon avventore
pel mio beccaio ed invece m'accorgo che il beccaio è il mio miglior avventore!
Leggo in un giornale milanese — «Cronaca nera. Ieri furono eseguiti sei arresti: due per ubbriachezza, uno per contravvenzione all'ammonizione, due per rapina ed uno in persona di una donna per infrazione ai regolamenti di sanità pubblica». Questi son dunque tutti veristi? Quanti ne arrestarono in un sol giorno ed in una sola città! E come è antico il verismo! Caino dovette esser verista perchè accoppò Abele, e Giuda certo tradì Cristo per comprare un volume elzeviriano coi trenta denari. Pel verismo Milziade tradì la patria, Appio Claudio insidiò Virginia, Nerone bruciò Roma, Teodorico ammazzò Simmaco, Ravaillac pugnalò il Re! Furon dunque veristi Gasparone, il Boggia, il Verzeni ed altri assassini illetterati! E il Passanante? Oh, se gli avessero trovato in tasca il Polemica, che belle ore mi avrebber fatto passare! Invece gli trovarono un volume del Giannetto a maggior onore e gloria dell'arte educativa! Che rivelazione!
Je suis tombé par terre,
C'est la faute à Voltaire.
Le nez dans le ruisseau,
C’est la faute à Rousseau.
Lasciamo lo scherzo. Il Fortis porta un esempio, Giorgio Pallavicino. Il venerato patriota, nel suo ideale della patria una, trovò la forza di resistere persino a Giuseppe Garibaldi. Vedete, si dice, come l'ideale produca gli eroi mentre il verismo non produce che beccai, squartatori di donne! Siamo sempre lì. Siamo sempre all'errore del prendere gli effetti per le cause. Nel 1860 si poteva, si doveva avere l'ideale della Italia una. Ora che questa unità non è più nè discussa nè minacciata, come faremo ad avere lo stesso ideale e cantarlo? Forse dovremo fare dei meetings per l'Italia irredenta? Ma e allora che cosa direbbero il Pungolo e la Perseveranza? Il verismo ed il borghesismo che cosa sono dunque se non effetti di uno stato sociale, momenti di una evoluzione civile? Cercate più in alto le cause che li produssero, discutete quelle, ma consentite che verismo e borghesismo esistono ora per necessità ineluttabile, che sono un prodotto di organismi sociali sbagliati, se volete, ma esistenti. Non possiamo avere alcun ideale perchè non ne troviamo più nessuno presente ed i vecchi non sarebbero più al loro posto in questo Stato, in questa società, in questa famiglia. Fate che scatti fuori una idea nuova, santa e che risponda al bisogno dell'epoca, scatterà fuori anche il cantore di questa idea, e ci saranno i confessori ed i martiri come ci furono per gli altri ideali. Ora il verismo ed il borghesismo sono al loro posto necessario e non saranno cacciati di seggio se non quando i successori saranno maggiorenni. Lasciate dunque di attribuire ai versi de' veristi i delitti dei beccai e gli arresti per oltraggio al pudore, perchè non otterrete altro che di farli ridere questi veristi e di farli cantare:
On est si laid à Nanterre,
C'est la faute à Voltaire,
Et bête à Palaiseau,
C'est la faute à Rousseau.
Mi hanno anche rimproverato nella Illustrazione italiana la fanciullesca bizza che mi fece cacciare in un verso i fiori bianchi, i quali, a quanto pare, si possono ricordare con applauso di mezzo mondo in un epigramma alla marchesa di Pompadour, ma non in un sonetto ai critici, che non sono poi intangibili e belli come lo fu la marchesa.
Ma, domando io, come si fa a non prender cappello quando un idealista stampa queste incredibili parole: «Anche a me piace il vero, ma il bello mi piace più, fosse anche un po' discosto dal vero» e da questa eresia trae la conseguenza che è un peccato che certi libri vadano per le mani dei giovani «i quali non hanno bisogno che gli scrittori mettano loro sott'occhio il vero nella sua nudità più desolante, avendo anche troppo spesso l'occasione d'incontrarlo nella società in cui vivono».
Vale a dire che l'arte deve tacere perchè i giovani non perdano l'ignoranza del male; e non solo, ma deve dipingere eternamente il bello, anche se un po' discosto dal vero, ossia, in lingua povera, deve rimar bugie.
Un altro, più franco, sentenzia: «Certo il vero è un grande maestro, ma spesso poco sincero». Cioè il vero spesso non è vero! Si dovrà ricorrere dunque non solo alla reverenda scopa di cui dissi più sopra, ma scientemente tradire la verità per rispetto alle innocenti orecchie degli studenti di liceo. E pazienza si portassero in giro soltanto questi strampalati canoni che tutta l'arte da Omero in qua smentisce assolutamente; la bizza fanciullesca passerebbe subito. Ma quando nella Illustrazione, proprio nella Illustrazione Italiana, sotto gli occhi del Fortis, si commettono sacrilegi come quello che vi si commise poche settimane fa, altro che bizza, c'è da sentirsi addosso le furie d'Oreste.
In quella sconcezza (non trovo vocabolo più parlamentare), in quella sconcezza di quattordici versi un signore aveva il... aveva la... insomma osava domandare scusa alle signore ed alle signorine pel povero Dante Alighieri infetto anche lui di qualche taccherella di verismo!! Ombra del padre Bettinelli D. C. D. G. riposa in pace: anche i tuoi allori sono invidiati! No, qui non hanno che fare nè la pretesa Arcadia dei giornali ebdomadari, nè la pretesa côterie de la réclame di casa Treves: ci ha che fare qualche cosa che è meglio tacere, altrimenti la bizza fanciullesca mi torna addosso: e domando se non ho ragione?
Ma torniamo alla calma.


L'amico mio Gnoli in una recensione della prima edizione di questi Polemica, inserita nel primo fascicolo di Giugno della Nuova Antologia, si maraviglia quasi che lo Stecchetti abbia scritto un sonetto dove c'entrano affetti famigliari, dimenticando che anche nei Postuma ce n'erano dei moralissimi, e gli fa press'a poco queste domande — «Se sei galantuomo, perchè ti fingi briccone scrivendo? e se scrivi versi da briccone parlando in prima persona del singolare, non ho io diritto di crederti quale ti dipingi?» — Qui, prima di tutto, c'e un errore di memoria, poichè era da ricordare come i Postuma uscirono alla luce in persona d'altri e che, soltanto dopo, l'autore, compiaciutosi della creazione della sua fantasia, si tenne il pseudonimo come un secondo nome, allo stesso modo che, fatte le debite proporzioni, Ugo Foscolo firmò molte lettere col nome dell'amico di Jacopo Ortis, Lorenzo Alderani.
Non credo poi che in quel libro ci sia nulla che una onesta persona possa desiderare di non aver fatto e
scritto. Almeno io, all'infuori della morte del protagonista, accetto tutto sulle mie spalle senza arrossirne punto, e non credo che ci sia così frigido critico a questo mondo il quale ne' suoi anni verdi non abbia condotton nei cabinets particuliers del suburbio qualche dozzina di Emme o di Caroline. Anzi credo che si dovrebbe arrossire di non averlo fatto, e Catone, che non fu di manica larga, non biasimò il giovane che usciva di dove sapete, come farebbe certo qualche Catoncino schifiltosino che m'intendo io. Ma c'è poi altresì uno di quei pregiudizi critici che gli scrittori, anche coscienziosi come il Gnoli, accettano troppo spesso belli e fatti per pigrizia di pensiero e per incosciente conseguenza di teoriche già accettate. È moda, e dirò col Gnoli, è teorica adesso il giudicare le opere d'arte come se fossero tante autobiografie. Il Byron fu già accusato di conoscere per prova le delittuose sensazioni di Lara e del Corsaro, benchè gridasse pure: judge me by my acts. Per questo pregiudizio il Satyricon sarebbe l'autobiografia di Petronio Arbitro, il Metamorphoseos liber quella di Apuleio, il Werther quella del Goethe, e così si dica per tutti quelli che scrissero in prima persona. È proprio il caso delle donnicciuole di Verona che credettero Dante tornato davvero dall'inferno perchè scrisse in prima persona ed ebbe il viso fuligginoso. Non vi pare che si abusi di queste deduzioni per la fregola di ricostruire un uomo intero dall'opera sua, come il Cuvier si vantava, conosciuto un solo ossicino, di ricostruire un intero megaterio scomparso? Non vi pare che queste teoriche confinino con quella del Desbarolles che dalla calligrafia di una persona pretende di indovinarne il carattere morale? Gli Inglesi si sono pentiti da un pezzo di quel Shakespeare ipotetico che s'erano immaginati, gabellando per sentimenti del poeta molti squarci messi in bocca ad un eroe qualunque: ma noi intanto facciamo peggio, considerando come storia della vita vera di Dante le allucinazioni mistiche della Vita nuova.
Questo sbaglio mi pare che derivi da una interpretazione troppo assoluta dell'oraziano:
…... Si vis me flere dolendum est
Primum ipsi tibi; tunc tua me infortunia laedent.
Non si bada che qui si dice soltanto quello che tutti gli autori comici sanno bene, cioè che per trascinare il pubblico agli applausi bisogna sentire la parte, non già averla fatta per davvero nella vita. Oh, allora lo Schiller che razza di birbone sarebbe stato, egli che ha pur sentito e scolpito il Franz Moor ne' Die Rauber? E la signora Virginia Marini quando recita con tanta verità la Messalina del Cossa, per chi la prendete dunque con questa teoria? Ma date voi alla parola verità lo stesso significato nell'arte che le dà il computista ne' suoi libri? Allora siete più veristi di noi; allora sì che c'è da gridare: arte mia, buona notte! Non diciamo che si debba scrivere soltanto quello che s'è visto, ma che si deve scrivere soltanto come se si fosse visto.
Alle altre obiezioni del Gnoli ho già risposto più in su in questa predica e confesso d'aver risposto molto prima che egli scrivesse la sua recensione. Le obiezioni infatti, come le risposte, sono press'a poco quelle stesse che sul cadere della Restaurazione francese scambiavano tra di loro i classici ed i romantici. Il postulato dell'arte educativa, dal quale scendono tutti i corollari critici dei conservatori nell'arte, è troppo controverso per essere accettato così ad occhi chiusi, e per me, l'ho già detto, non credo tutt'al più che ad una influenza riflessa dell'arte sulla società, molto causale e molto tenue. Ho già quasi detto, che se è vero che la Marsigliese fece vincere molte battaglie, fu però la rivoluzione che fece la Marsigliese. Se non mi ammettete come causa gli entusiasmi francesi del 1792, non potrete mai, mai e poi mai, aver l'effetto di quel magico inno, nato dall'entusiasmo e non da altro, poichè l'autore, raffreddato l'ambiente, non arrivò più a tale altezza lirica, per quanto ci si provasse. E scelgo appunto il massimo esempio dell'arte educativa, perchè, quanto al resto, nessuno mi leva di capo che i giuochi si sarebbero fatti in Olimpia anche senza Pindaro, e il quarantotto sarebbe stato quello che è stato, anche senza il canto Fratelli d'Italia. L'effetto educativo di Omero, di Sofocle e di Virgilio, mi pare molto problematico,a meno che non si ficchi tra gli effetti educativi anche la stabilità che gli autori illustri danno alla grammatica di una lingua, nel qual caso il Boccaccio e il Rabelais sarebbero molto più educativi del Segneri e del Bossuet.
Nego dunque assolutamente e recisamente questa affermazione del Gnoli — «La nostra letteratura e specialmente la nostra poesia hanno un gran merito e impareggiabile, quello di aver preparato e condotto la libertà e l'unità della patria» — Nego, nego, nego.
Prova, amico mio, a pensare la letteratura di cui parli, portata indietro, per esempio, mezzo secolo nella storia. Che
effetti avrebbe potuto ottenere ed a che libertà avrebbe potuto condurre nell'ambiente in cui si trovava? Non solo, ma come avrebbe potuto esistere fuori dell'ambiente proprio? O meglio ancora, è possibile concepire l'anacronismo di uno spostamento simile? Dunque non fu la letteratura che preparò e condusse l'Italia allo stato presente, ma furono le aspirazioni italiane che prepararono e crearono la letteratura patriottica della quale tu parli. Letteratura poi, che, salvo le opere di pochi sommi, non fu certo quella del secol d'oro come arte, e che se ottenne qualcuno degli effetti riflessi di cui parlavo, non li ottenne per la sua perfezione intrinseca, ma per l'entusiasmo che trovò bello e preparato negli ascoltatori. Ed oggi la rettorica del quarantotto ci fa sorridere, appunto perchè quell'entusiasmo giovanile non c'è più, e non c'è arte al mondo, che lo possa resuscitare colla sua sola forza, per quanto grande la si voglia credere. L'arte non ha mai modificato le aspirazioni di un popolo o di una società, ma è sempre accaduto il contrario. L'arte non ha mai condotto a nulla, tutt'al più ha condotto qualche artista all'ospedale. Ma vedete. L'arte di Giovenale fu ben terribile, e pure non guarì nessuno. L'arte de' padri della chiesa fu ben misera, e pure il cristianesimo cangiò faccia al mondo. Ecco dunque che non è l'arte quella che corregge, che educa, che rinnova. Ma tutto questo non è che inutile ripetizione e ne domando scusa. L'ho già detto che l'arte non fa le rivoluzioni, ma le subisce e le segue. Dico adesso, che è poi inutile volerci costringere ad essere educativi per progetto. Non solo l'arte non fermerà nessun cassiere che scappi colla cassa, e non dissuaderà alcun baggeo dal comprare cartelle del prestito Bevilacqua, ma, se ci si prova, si farà fischiare dal colto pubblico e dall'inclita guarnigione. Non ci sono le favole del Pignotti e quell'aureo libro che è il Codice penale per tenere i cittadini sulla via diritta? Lasciateci dunque in pace, e poichè ho ricordato Orazio ed una citazione latina fa un bell'effetto, specialmente ai novecento novantanove critici che non la capiscono.
…... Sit jus liceatque perire poetis,
Invitum qui servat, idem facit occidenti.
Un signore di vista corta dice che soltanto «lavoriamo e studiamo a far l'amore», e ci rimprovera di scordare i contadini e gli operai e insomma le questioni più gravi del nostro tempo. Pover uomo! non stuzzichi i cani che dormono, e dorma lui, sognando a suo comodo che i nostri cuori non siano capaci che di spasimare per donnine ignude. E preghi il suo Dio di non destarsi quando finite queste inutili scaramuccie verranno le battaglie vere, quando questa società ipocrita, frolla e senza cuore che noi tiriamo alla berlina nei nostri poveri canti, si troverà in faccia alla rivoluzione della giustizia. Allora egli potrebbe accorgersi che non abbiamo lavorato solo a far l'amore e che colle nostre picciolette mani abbiamo cavato anche noi una pietra delle sue fortezze. Allora egli sentirebbe quelle bocche stesse che oggi narrano freddamente le vigliaccherie e le turpitudini di un mondo in decadenza, cantare ben altri canti, levare ben altri peana! È curioso! Critici che vogliono una tesi anche in una farsa, che meritano l'Epitaffio di Atta Troll,
... Tendezbär, sittlich
Religiös: als Gatte brünstig;
Durch Verführtseyn von dem Zeitgeist:
Waldursprünglich Sanskülotte,
non s'accorgono poi di quello che sta sotto a questa scuola verista, non vedono dove si va e dove vogliamo andare, non sentono che siamo serbati a vedere trionfi ben diversi da quelli della chiesa e della scuola del Manzoni! Non capiscono a qual rinnovamento sociale tendano concordi le scuole positive nelle scienze e nell'arte, e sognano ancora la risurrezione del cattolicismo e della metafisica! Ciechi! Volete dunque che ve li cantiamo in faccia gl'inni nichilisti? Volete dunque voi, che discutete sentimentalmente il divorzio, la cooperazione, il diritto di sciopero, volete dunque che vi cantiamo in tanti endecasillabi dove noi corriamo sapendolo, e dove, inconsci, correte anche voi? Cari miei, non vi sembrerebbe di avere abbastanza voce in corpo per invocare l'ausilio del Procuratore del Re e della Benemerita Arma come fanno gli amici giureconsulti genovesi. Uno de' miei canti è già stato in Corte di Assise per questo, o brava gente, cui è facile gridare che lavoriamo solo a far l'amore! Ma non c'importa di esser martiri a così buon mercato. Vogliamo fare qualche cosa di meglio. Siamo giovani abbastanza per rivederci di qui a parecchi anni. Allora ci saprete dire se sotto al verismo c'era soltanto l'oscenità, o se non c'era qualche cosa di più grave. Allora ripeterete, se vi sentirete abbastanza lena addosso, sacro a tutti è il lavoro; ma badate che bisognerà lavorare sul serio.
E dopo tutte queste chiacchiere abbiate pazienza se mi resta ancora qualche cosa da dire. Ruppi la lancia pei veristi, feci un bel castelletto di carte dove fortificai gli argomenti della scuola nuova. Ma la lancia fu di legno dolce ed il castello con un soffio rovinerà. Infatti, tutte queste distinzioni di veristi, realisti, idealisti, scuola nuova, scuola del Manzoni, e simili sonanti parole, non sono che vane apparenze, flatus vocis, imaginati e fatti apposta per leticarci sopra e sfogare il vapore battagliero che, dal Caro in qua, fuma su dai fegati letterati in Italia.
Chiacchiere. Altro è l'intento d'un libro, altro è l'arte con cui fu scritto.
Mi pare che se facciamo una critica di intenzione siamo fuori del campo letterario. Mi pare che sia lecito il dire che le commedie del Sardou sono perniciose alla frigidità delle ragazze, ma mi pare anche che questa non sia critica d'arte. Invece le logomachie fra i veristi e gli idealisti pretendono proprio di esser critiche d'arte, mentre sono, se pur lo sono, dispute di sole tendenze. Ma che cosa c'entra la moralità, nell'arte di un libro? Ma io nego l'arte morale, educativa,
pudica, perchè la moralità, l'educazione, il pudore non sono niente affatto tropi, ritmi, ornamenti, rettorica; sono ben altro! Non confondiamo l'arte di uno scrittore co' suoi concetti. Quando leggete i Dialoghi de' massimi sistemi, è il sistema copernicano che vi piace, o lo stile del Galilei?
Se vogliamo fare una critica d'arte diremo quindi che l'arte dell'Aretino è più grande di quella del Vico. Se facciamo una critica etica diremo invece che il Vico è un grande filosofo e l'Aretino un gran porco. Non confondiamo dunque la forma colla sostanza. Dico bene? Invece quegli uomini buoni che partono armati in guerra come il Marlbourough della canzonetta (mironton, mirontaine), trovano comodo rimescolare ogni cosa e nei loro consigli di guerra giudicare le tendenze invocando il nome dell'arte. La confusione è utile ma non è giusta, e il cornuto dilemma della forma e della sostanza sarà sempre là pronto a rovesciare i loro scanni curuli e i nostri castelletti di carte. Ci sono degli autori che hanno delle cattive intenzioni? Sta bene. Ma non ne fate una scuola letteraria per carità! Non li battezzate veristi, realisti, anticristi, perchè qui l'arte non c'entra. Dite che Caio segue il Darwin, che Tizio studia lo Spinoza, che Sempronio ricorda Epicuro, ma non conduceteli al giudizio dei letterati, mentre dovreste condurli a quel dei filosofi. Dite che l'etica di molti è sbagliata, ma non dite che la poetica è spregevole solo perchè l'etica di molti non è la vostra. Cercate ne' libri del Mamiani, nel Codice, nel Galateo, nella Dottrina cristiana gli argomenti da opporre ai loro argomenti. Cercate nell'ingegno e nella fantasia dei vostri catecumeni gli ornamenti e le vesti pei vostri filosofemi, e le poesie verginali ed i romanzi ortodossi da contrapporre agli altri. Fate commedie, racconti, giornali a tesi, ma non confondete la tesi coll'arte. Le tesi delle commedie di Paolo Ferrari sono molto più morali di quelle di A. Dumas figlio. Ma le commedie sono più belle? Se farete questa distinzione fra la critica d'arte e quella di tendenza, ecco tutte queste controversie bizantine fra scuola e scuola cadono da sè. Guardate. Se la critica si fa all'assunto di un libro e non all'arte, ci sono degli scomunicati che dovrebbero esser beati e viceversa. Ma se confondete tutto e sentenziate che gli idealisti sono gli autori morali ed i veristi gli immorali, dirò che le tragedie dell'Alfieri, piene zeppe di pugnali, di veleni e d'incesti, sono veriste in sentenza vostra, e le canzonette dell'abate commendator Scavia sono il prototipo dell'idealismo. E vi dirò che il rispetto, non idolatra ma giusto, che sentiamo pel Manzoni, può far dimenticare a noi ma non al Settembrini che i Promessi Sposi predicarono la rassegnazione all'Italia assassinata, ed i padri gesuiti, forse per questo, ne raccomandarono la lettura alle loro penitenti9. Vedete subito dove ci condurrebbero i confronti, per esempio, colle Confessioni di un ottuagenario del Nievo: vedete subito i bizantinismi che nascerebbero dal confronto nel Jacopo Ortis con le Mie Prigioni. E se pensiamo alle teorie linguistiche dello stesso Manzoni, cresce a dismisura l'imbroglio. Dice bene l'Ascoli — «Prima si aveva l'ideale della tersità classica, ora sorge l'ideale della tersità plebea». — Tutti sappiamo che questa tersità plebea, ossia la lingua fiorentina, fu l'ideale del Manzoni. I sacerdoti galli che anatemizzano le nostre pretese falloforìe, dovrebbero vedere di non leticare prima in casa e di saldare insieme il Manzoni idealista nelle tendenze col Manzoni verista nei mezzi, prima di giudicare noi poveri piccini con criteri critici che non stanno nè in cielo nè in terra. E con questi criteri dove si andrebbe? Nè dite che certi autori vollero appunto disgustare dal vizio dipingendolo orrido o schifoso, poichè questo fu appunto l'argomento col quale il vescovo Bandello volle scusare la sudiceria delle sue novelle e, ragionando così, sarebbe morale ed idealista anche lui. No, dite piuttosto che nelle questioni d'arte la moralità non c'entra affatto e che non è da confondere la critica della tesi colla critica della forma. A nessuno dei più sfegatati veristi cadde mai in mente che la parola d'ordine dell'arte nuova sia il rimar porcherie per convertire il mondo alla fede degli adamiti olandesi od alle pratiche di Aloysia Sigea Toletana. Se ce ne sono che scrivono così, non scrivono perchè il credo di una scuola artistica lo imponga, ma perchè a loro, come individui, quegli assunti etici paiono buoni da rimare. Non fate dunque i rimproveri vostri agli artisti, ma agli uomini; non ad una scuola che non c'è, ma ad una perversione di coscienza e di istinti che ci può essere, benchè io, miope, non la vegga. Non invocate l'epistola ai Pisoni, ma il titolo VII, articolo 420 e segg. del Codice Penale e la legge su la stampa; e credete che le scuole artistiche, se ci sono, badano solo all'arte e non alla tesi, poichè a quest'ultima ci badano la filosofia, la politica, l'economia ed altre amene scienze inventate per rompere le capaci tasche dei poveri contribuenti.
Vogliamo invece fare una critica d'arte? Non parliamo allora di moralità, di tendenze, di tesi, che non furono mai cose d'arte; ma diciamo, questo verso è zoppo, questo aspro, questa immagine falsa, questa linea sbagliata, questo colore convenzionale, questa sinfonia piena di riminiscenze, e così via. Ma non dite, come fate purtroppo, questa poesia è brutta perchè c'entra una donnaccia; poichè questa non è critica d'arte. La statua di Frine potrà essere stata immorale, ma fu bella; e le madonne del Margaritone potranno essere state moralissime, ma furor brutte. E poi si vede da lontano, che stando nel campo dell'arte e analizzando bene queste scissioni causistiche di scuole, ci sarebbero degli idealisti più veristi di Courbet. A che cosa si riduce dunque tutto il fracasso che si fa ora nella turbolenta repubblica delle lettere? Al titolo di una commedia di Shakspeare: Much ado about nothing. È verissimo che ci sono alcuni, specialmente giovani, che hanno tolto per impresa i bei versi del Carducci:
Odio l'usata poesia. Concede
comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
palpiti sotto i consueti amplessi

stendesi e dorme;
e per togliersi dalle rime consuetudinarie hanno stimato, come Quintiliano, che tutte le parole sian dette bene al loro luogo ed hanno cercato appunto quei luoghi dove i conservatori non osavano mettere le parole ed i sentimenti veri giusto per far vedere più chiaramente la loro intenzione. Furono chiamati veristi solo per questo, che usavano la parola propria dove gli altri usavano la metafora, ed accennavano al sentimento vero dove gli altri velavano il proprio. Ma può essere una scuola questa? Se c'è chi ha cantato un'osteria colle parole necessarie a dipingerla, chiamando litro e non nappo il recipiente che si usa più spesso, direte che si è messo in una scuola piuttosto che in un'altra? Potete nell'abito dell'arte trovare che il quadro è mal dipinto: potete nel calcolo delle intenzioni deplorare che si frequentino e si cantino le osterie dove il vino è buono, ma non potete dire che quell'opera sia brutta perchè c'entra una osteria. Allora dove mi ficcate i pittori fiamminghi? E dove mi ficcate la traduzione della Pucelle d'Orléans fatta dal Monti e venuta in luce da pochi mesi? Bel caso fu questo! Il Monti, assunto già sugli altari dell'ideale, sta per esserne precipitato, ed i filistei si alzano già in punta di piedi per gridargli raca. Bel caso! E pure quella traduzione è fatta per bene, tanto come quella delle Satire di Persio, filistei pudicissimi. Scandalizzatevi pure, pusilli, che noi non ci metteremo al collo la pietra molare poichè, se voi svolgete quelle pagine per trovarci gli amori dell'asino con Giovanna, noi non cerchiamo sì fatte cose. Cerchiamo là quel sale attico che Aristofane versò a piene mani nelle sue libere commedie e che gli ateniesi gustarono plaudendo, essi che di quel sale attico probabilmente se ne intendevano. Quel sale attico che conservava le opere d'arte vive e fresche, mentre i dolciumi vostri passano così presto allo stantìo. Ben venga magari anche la traduzione della Guerre des Dieux di quel Parny che il Rapisardi conosce molto. Se fosse ben fatta diremmo bene; diremmo male se fosse mal fatta. Voi inorridireste in tutti i modi leggendola avidamente cogli occhi fosforescenti. Ecco intanto secondo i vostri bei canoni critici il Monti diventato verista perchè tradusse un poema allegro, non è vero? Vorreste forse negarlo? Ma se lo negate, allora, che cosa vuol dire verista? Che copia il vero forse? No, perchè nessuno dei più scamiciati ribelli vuole abbassare l'arte all'ufficio della fotografia. Che cosa vuol dire idealista? Che cerca al di là del vero qualche cosa di impalpabile, di spirituale, come salsa per il vero stesso? Vuol dire prendere una fornaia e modificarne il ritratto sino a farne la Madonna della Seggiola? Ma tutti gli artisti, anche il Courbet, fanno a questo modo. C'è solo differenza nel modo di far la salsa; chi la fa cattolica e chi pagana, chi dolce e chi piccante, e tira via. Ideale! Ma se questa parola significa quella cucinatura speciale del vero che fa l'artista nei suoi fornelli, tutti sono idealisti. Non lo sono più tutti quando si vuol dare una interpretazione restrittiva a questa parola e intendere per idealismo la maniera di Caio o di Tizio e per ideale la sola salsa dolce. Guardate un poco il preteso idealismo dei pittori trecentisti, quel sentimento religioso e contemplativo che si vuol vedere per forza nelle loro opere. Non è altro che ignoranza del tecnicismo dell'arte. Il signor Toschi nella Nuova Antologia riduce alle proporzioni volute questo preteso idealismo. Ci guardino i battaglieri manzoniani, che c'è da imparare molto e da correggere i molti e i vecchi pregiudizi accademici che tutti abbiamo ancora in corpo. Dunque? Dunque non vi sono nè veristi nè idealisti. Se mi dite che l'esser galantuomo, l'amare la patria, l'ammirare l'arte del Manzoni sono i caratteri indelebili degli idealisti, nessuno è più idealista di me. Se mi dite che ammirare le donne belle, bere il vino buono ed amare l'arte del Carducci sono i caratteri dei veristi, nessuno è più verista di me. Ma ognuno vede la verità coi propri occhi ed ha un ideale proprio. Per esempio, l'ideale della mia donna non è quello che il Vittorelli espose nelle sue anacreontiche; il mio ideale porta un vestito grigio che costa 4,50 al metro. Il mio ideale della patria non è l'Italia mia melodrammatica, ma un'Italia nella quale sono elettore ed ineleggibile. Il mio ideale dei bimbi non è quello che si trova nei santini di Francia col suo bravo angelo custode che li cova sotto le ali bianche, ma è invece in due bimbi che mi tirano i capelli quando li prendo in braccio. Saranno ideali meno sublimi, ma non meno nobili, non meno degni dell'arte, e nell'arte mi pare che ci si possa star bene anche senza frasi fatte, lucidi entusiasmi artificiali, e pudicizie d'uniforme. Il Napoleone tutto nudo che fu modellato dal Canova colla sua brava foglia ideale, non mi pare che debba escludere dall'arte i Napoleoncini del Meissonnier; e la Trasfigurazione, con tutti i suoi apostoli, non esclude nessuna Kermesse con tutte le sue donnaccie. Perchè vituperarci l'uno coll'altro mentre siamo in fondo d'accordo? Il Salmini finisce il suo Polycordon colla obiurgazione d'obbligo alle serve che mostrano le coscie veriste e poi è un ribelle anch'egli nella sostanza, nella forma e sino nel titolo. Dove sono dunque i limiti di queste pretese scuole? Quando lo Zanella, frugando tra le ceneri scaligeriane, acchiappa il tizzo che accese già le guerre letterarie per Cicerone e scrive una panzana a certi filologi tedeschi che fa veder proprio la inanità di queste battaglie idiote fra Varo ed Arminio ascriveremo il peccato ad una scuola? Non ci mancherebbe altro! State attenti all'aforismo che vi dico e tenetelo a mente. Non ci sono nè veristi nè idealisti. Ci sono degli autori che scrivono bene e degli altri che scrivono male; ecco tutto. Perchè dunque questi due campi senza ragione? Chi lo sa? Non lo so nemmeno io che con tutta la persuasione delle loro inanità scrivo un libro contro i pretesi idealisti come già el ingenioso hidalgo si rompeva le corna contro i mulini a vento. Non può esserci altra spiegazione che nell'istinto battagliero fatalmente necessario alle epoche di preparazione e di transizione, il quale pervade tutto, dal mestiere alla scienza, dalla politica all'arte. Respiriamo tutti l'ossigeno ad alta dose. Domani avremo le vertigini e dopo domani o saremo guariti dai mali vecchi o diverremo l'humus necessario alla vita delle generazioni avvenire.

30 settembre 1878