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LUDOVICO ARIOSTO


IL NEGROMANTE
Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:nfiorillo@email.it ==
I L NEGROMANTE
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da Wikipedia
LUDOVICO ARIOSTO  - IL NEGROMANTE

FINE

Il Negromante è una commedia di Ludovico Ariosto scritta nel 1509 in prima stesura abbozzata, poi terminata nel 1520 per spedirne il testo a Papa Leone X ed ulteriormente riscritta nel 1528. Il primo allestimento è avvenuto a Ferrara tra il 1528 ed il 1529, mentre la pubblicazione avvenne nel 1535. L'azione della commedia è ambientata a Cremona.
Narra le vicende di un mago, un impostore ovviamente. L'unico scopo è di prendere in giro i costumi popolari e le tradizioni legate ai tarocchi.
Il Negromante, la terza commedia di Ariosto, fu compiuta nel gennaio del 1520 e narra degli espedienti impiegati da un giovane per penetrare nella casa dell'amata. Ma al centro della trama è un praticone di arti magiche che si prende gioco della credulità del prossimo. Nel disegnare il personaggio Ariosto ricorre a fonti moderne come ad esempio: - il Ruffo della commedia del Cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, la Calandria; - Callimaco, il finto medico della Mandragola di Niccolò Machiavelli. Il Negromante viene messo in scena soltanto nel 1528.

TRAMA

Presso Cremona Cintioo è stato costretto dal patrigno a sposarsi con la ricca Emilia, figlia di un suo amico, affinché la famiglia potesse risollevarsi economicamente grazie alla grande dote. Tuttavia Cintio si era già sposato segretamente con la povera Livinia, non per altri interessi che per amore, ed ora si ritrova in un gran bel guaio. Per cercare di sfuggire dalla situazione, Cintioo per qualche mese si finge impotente e nega qualsiasi soddisfazione alla sua ricca sposa che se ne lamenta col padre Abondio. Così il genitore convoca in casa un famoso "negromante" (un fattucchiero da due soldi) per risolvere la situazione. Altra stangata per il povero Cintio il quale questa volta per cacciarsi dai guai corrompe il mago affinché dichiari ai genitori e ad Emilia l'impotenza inguaribile del coniuge, vittima di un oscuro sortilegio, a meno che egli non si separi per sempre dalla ricca sposa. Così avviene e il negromante, ottenuta ora grande fama, riceve molti clienti compreso il fidanzato cornificato di Emilia. Tuttavia le cose iniziano a complicarsi quando due servi di Cintio, assolutamente cattivi e meschini, scoprono l'inganno e la situazione sembra precipitare quando Massimo, patrigno di Cintio, scopre di essere il vero padre di Livinia, concepita da un incontro extraconiugale, e così permette le nozze tra lei e Cintio; mentre il negromante e il servitore Nibbio, uno dei due che aveva smascherato l'imbroglio del padrone e di Cintio, se la danno a gambe per non essere linciati.

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LE SATIRE

Introduzione

Ludovico Ariosto compone le Satire a partire dal 1517, anno in cui abbandona il servizio presso il cardinale Ippolito d’Este, e prosegue fino al 1525. Si tratta di sette componimenti in terzine che nascono come una riflessione sull’esperienza personale del poeta. Le Satire partono, quindi, da un dato autobiografico per poi allargarsi ad una riflessione socio-culturale e politica sulla realtà delle corti del Cinquecento, intrecciando osservazioni psicologiche, considerazioni morali e appunti di riflessione che corrono paralleli al lavoro di revisione e di riscrittura dell’Orlando furioso. Ogni satira è indirizzata ad amici e parenti, assumendo quindi una struttura e una funzione quasi epistolare.

Modelli e stile

Diversi sono i modelli letterari di questa raccolta, ma colui che ha il ruolo principale è sicuramente l’autore latino Orazio (65-27 a.C.), con le Epistole e le Satire. Orazio, noto soprattutto per le Odi, viene recuperato da Ariosto come modello esemplare di medietas e di ironia, ovvero di capacità di affrontare le vicende umane secondo una prospettiva bilanciata tra distacco divertito e reazione ai toni troppo accesi o quelli eccessivamente seri e drammatici. Il modello classico si adatta pure bene alla finzione epistolare, per cui ogni satira, come una sorta di lettera privata ad un amico o a un confidente, è indirizzata ad un particolare destinatario, cui il poeta svela - non senza ironia - la propria visione del mondo. L’altro modello di riferimento, dal punto di vista metrico, è Dante e la sua Commedia; la terzina assicura lo sviluppo narrativo e quasi “colloquiale” dell’epistola, e si adatta assai bene allo stile medio del genere.

Lo stile di Ariosto è medio e molto controllato, non scadendo mai nella polemica, ma mantenendo sempre un tono pacato e leggero, attraverso l’ironia e una notevole vivacità stilistica. Nonostante questo dominio nello stile, emergono tra le righe le dure critiche del poeta alla società e all’ambiente della corte; nella Satira I, in cui Ariosto spiega il suo abbandono del cardinale Ippolito d'Este, per esempio, il poeta esprime le sue considerazioni sul servizio prestato presso l’ecclesiastico, rappresentandolo come un uomo duro, volubile, avaro e insensibile all’arte poetica, che lo ha trattato come un cameriere, sfruttandolo per i compiti più mediocri ed umilianti.

Il livello stilistico trova un suo parallelo strutturale e contenutistico: ogni satira ariostesca parte da un evento autobiografico (spesso semplice e modesto) per poi allargare la riflessione alla morale, ai vizi umani, alla realtà contemporanea, nell’elogio costante di una vita serena ed appartata. Le Satire appaiono allora come un’opera innovativa nel panorama letterario italiano del Cinquecento. Innanzitutto per aver ripreso lo stile di Orazio, le cui Satire non godettero di grande fortuna nel secolo precedente. In secondo luogo per la struttura epistolare e l’utilizzo del dato autobiografico per esprimere considerazioni generali sulla società.

Satira I (1517): Indirizzata ad Alessandro Ariosto, suo fratello e alll’amico Ludovico da Bagno, anch’essi al servizio di Ippolito d’Este. Il poeta spiega, tra il serio e il faceto, i motivi per cui, nonostante le difficoltà economiche, ha rifiutato il trasferimento in Ungheria al seguito del cardinale. Oltre alle scelte personali, spicca soprattutto l’ideale di libertà dell’umanista e dell’uomo rinascimentale, che, alle ambizioni professionali e ai tranelli della vita cortigiana, antepone la ricerca della serenità e la cura della passione letteraria.

Satira II (1517):
Rivolgendosi al fratello Galasso, il poeta chiede un modesto alloggio nella città di Roma, dove dovrà recarsi per degli impegni connessi al suo ruolo di ecclesiastico. La contingenza serve per contrapporre la frenesia della vita di città alla pace del locus amoenus di campagna, lontano da falsità ed ipocrisie delle corti dei potenti.

Satira III (1518):
il cugino Annibale è il destinatario di una riflessione dell’autore che, partendo dal passaggio alla corte di Alfonso d’Este, sviluppa il tema della libertà e l’amore per la vita domestica. Il ragionamento è esemplificato con due apologhi: prima, un pastore, in un periodo di siccità, fa dissetare la famiglia e gli animali secondo la loro utilità al sostentamento di tutti. Una gazza, simbolo del poeta di corte, rimane per ultima, in quanto la poesia non è ritenuta attività fondamentale a corte. Nel secondo, dei valligani vogliono toccare la luna che splende sopra la loro valle, e si dedicano così ad un’inutile scalata. Attraverso questa storiella, Ariosto denuncia ancora la superficialità e la sciocchezza delle ambizioni umane.

Satira IV (1523):
Scrivendo al cugino Sigismondo, Ariosto racconta la sua esperienza in Garfagnana, che si presenta difficile sia per la natura ostile del luogo sia per il fenomeno del brigantaggio.

Satira V (1519-1523):
Rivolta al cugino Annibale (destinatario anche della terza satira), questa satira tratta del tema del matrimonio, cui il parente si sta appunto accingendo. Il tono è prevalentemente scherzoso.

Satira VI (1524-1525):
destinatario dell’epistola è Pietro Bembo, cui il poeta si rivolge in cerca di un maestro di lingua greca per suo figlio Virginio. Il tono però è ironico ed autoironico, in quanto il poeta torna agli anni della giovinezza, e alla scelta di interrompere gli studi per trasformarsi da “poeta” a “cavallaro”.

Satira VII (1524):
il destinatario dell’ultima satira è Bonaventura Pistofilo (1470-1543), segretario del duca Alfonso. Ariosto rifiuta cortesemente la proposta di diventare ambasciatore per papa Clemente VII, riconfermando il suo ideale di vita sereno e lontano dalle inquietudini e dai problemi della vita politica e di corte.

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LE ALTRE OPERE

La produzione lirica [1502-1532]
Le poesie in latino
Sono componimenti per lo più epigrammatici di argomento vario, in particolare autobiografico e amoroso. Hanno valore documentario più che artistico, come testimonianza degli studi, dei gusti e dell’apprendistato poetico dell’autore.

Le poesie in volgare

Sono versi d’occasione dedicati per lo più all’amore per Alessandra Benucci e, in rari casi, a tematiche politiche o celebrative, e si segnalano per una dipendenza non esclusiva dal modello petrarchesco, integrato con la lezione dei classici. Ariosto non riunì mai questi materiali poetici in un canzoniere, selezionando e ordinando le liriche secondo un disegno tematico. L’autore pensò di stampare alcuni componimenti, ma il progetto non fu mai portato a termine.

La produzione teatrale [1493-1529]

Ariosto esordì come autore di teatro nel 1493 con la perduta Tragedia di Tisbe. Successivamente mise in scena per la corte volgarizzamenti di commedie di Plauto e Terenzio; fu anche attore, scenografo e regista. Per il carnevale del 1508 fece rappresentare una commedia originale, La cassaria, e l’anno seguente I suppositi, ambientati a Ferrara. Seguirono, tra il 1520 e il 1532, Il negromante, I studenti (incompiuta) e La Lena, composte in endecasillabi sdruccioli, e la riscrittura in versi delle commedie precedenti. L’autore rinuncia alle celebrazioni encomiastiche per mettere in scena un mondo subalterno di servi, prostitute e furfanti. L’ultima commedia, in particolare, offre un impietoso ritratto della società ferrarese del tempo, tesa al profitto e affetta da diffidenza ed egoismo. Con queste opere Ariosto dettò il canone della drammaturgia rinascimentale: struttura regolare del testo suddiviso in cinque atti, apparato scenografico spettacolare e sfarzoso, caratterizzato dal concorso di tutte le arti (letteratura, pittura, scultura, musica, danza), contaminazione e rielaborazione di testi della tradizione classica.

L’epistolario
[1498-1532]

Di Ariosto ci rimangono 214 lettere di carattere professionale e dettate per lo più da urgenze pratiche. Si tratta di preziosi documenti biografici, da cui emerge non tanto il letterato, quanto piuttosto il funzionario di corte.

L’Orlando furioso [1507-1533]

La genesi

L’inizio della scrittura del Furioso risale al 1502, al 1505 il disegno generale dell’opera e al 1507 la prima notizia sicura relativa alla sua avanzata composizione. In quei medesimi anni molti altri autori si stavano cimentando con la prosecuzione dell’Orlando innamorato di Boiardo, rimasto incompiuto per la morte dell’autore e pubblicato postumo in edizione definitiva nel 1495.
L’opera, pubblicata infine in quaranta canti nel 1516 e dedicata al cardinale Ippolito, ebbe un immediato e vasto successo. Negli anni successivi Ariosto ebbe diversi contatti con Pietro Bembo e iniziò a riflettere sul problema della lingua. La seconda edizione del 1521 fu il frutto di una revisione sostanzialmente stilistica, finalizzata a eliminare i tratti più scopertamente dialettali e “padani” per accogliere un modello linguistico “italiano” di matrice toscaneggiante. La terza edizione del 1532, in quarantasei canti, evidenzia una dilatazione della materia narrativa, una revisione storica e ideologica (in relazione alla mutata situazione contemporanea) e un’ulteriore revisione stilistica per adeguare la lingua del poema al canone petrarchesco, secondo il modello proposto da Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525). La morte di Ariosto nel 1533 vanificò il progetto di una quarta edizione e lasciò come opera a sé stante i Cinque canti, lungo episodio connesso con la materia narrativa del Furioso ma da esso autonomo e distinto, anche per il tono cupo e amaro.

L’argomento

I personaggi e le vicende sono attinti dall’Orlando innamorato di Boiardo. Al motivo amoroso si intreccia quello guerresco, l’autore contamina così tradizione carolingia e tradizione arturiana. Innamorato di Angelica, il paladino Orlando ha abbandonato la guerra; respinto e tradito, finisce per impazzire. Parallelamente viene sviluppata la storia d’amore tra Ruggiero e Bradamante, all’origine della famiglia degli Este. Al blocco narrativo principale si intrecciano altre vicende ispirate a fonti diverse: romanzi francesi, cantari, tradizione novellistica, autori classici. Questo eterogeneo repertorio viene organizzato in un’opera organica e coerente, in cui l’invenzione è sempre attentamente sorvegliata.

La trama

Angelica fugge da Parigi inseguita dai suoi spasimanti (cristiani e saraceni); dopo diverse avventure è catturata dai pirati che la offrono in pasto a un’orca marina. Nel frattempo la guerriera cristiana Bradamante, con l’aiuto della maga Melissa, ha sottratto l’amato Ruggiero, cavaliere saraceno, agli incanti del mago Atlante, che lo fa però rapire dall’ippogrifo; trasportato sull’isola della maga Alcina, è sedotto dai suoi sortilegi, e solo un nuovo intervento di Melissa gli permette di fuggire. In groppa al cavallo alato Ruggiero giunge appena in tempo per salvare Angelica. Successivamente Ruggiero, Bradamante e Orlando, che a sua volta ha dimenticato la guerra e i suoi doveri verso il re per cercare Angelica, vengono fatti prigionieri da Atlante in una dimora incantata [canti I-XIII]. Agramante guida l’esercito saraceno all’assalto di Parigi, approfittando dell’assenza dei paladini di Carlo Magno. Angelica, giunta sul campo di battaglia, salva la vita al giovane guerriero saraceno Medoro e se ne innamora; dopo averlo sposato nella casa di un pastore, intraprende con lui il viaggio di ritorno verso la sua terra, il Catai. Quando Orlando viene a saperlo, impazzisce dal dolore. Nel frattempo la gelosia inquina la storia d’amore fra Ruggiero e Bradamante, che sospetta un tradimento con la bella guerriera Marfisa; dopo avere affrontato e vinto molteplici duelli, Bradamante scopre però che Marfisa è in realtà la sorella di Ruggiero [canti XIV-XXX]. Astolfo in groppa all’ippogrifo sale sulla Luna guidato da san Giovanni Evangelista; qui finisce infatti tutto ciò che si perde sulla Terra, e in particolare il senno di Orlando. Rinsavito, il paladino attacca il regno di Agramante costringendolo ad abbandonare l’assedio di Parigi. L’esito della guerra è affidato a un duello fra tre campioni saraceni e tre campioni cristiani: la vittoria va a questi ultimi, ma la gioia è funestata dalla morte di Brandimarte, amico fraterno di Orlando. Nel frattempo Ruggiero si è convertito al cristianesimo e ha conquistato il regno di Bulgaria; può così sposare Bradamante: dalla loro unione avrà origine la casata degli Este. Anche in questo caso però la festa è funestata dal sopraggiungere del guerriero saraceno Rodomonte, che sfida Ruggiero a duello e viene ucciso. Con la sua morte si conlcude il poema [canti XXXI-XLVI].

Il punto di vista del narratore

Leggendo la vita e la realtà attraverso il filtro dell’ironia, Ariosto intende smascherare le false certezze e denunciare gli inganni e le ipocrisie dell’umanità. Mantenendo un atteggiamento distaccato e dissacrante nei confronti dei propri personaggi, il poeta mette a nudo i limiti e le contraddizioni del pensare e dell’agire umano. In particolare negli esordi dei vari canti, Ariosto si riserva uno spazio per esplicite e personali riflessioni e giudizi in campo morale, storico e antropologico. Così pure la voce dell’autore interviene sovente nel corso della narrazione con osservazioni e commenti che ricollegano la materia romanzesca alla realtà contemporanea, sollecitando la riflessione del lettore.

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PERSONE

MARGHERITA.
AURELIA. BALIA.
MADRE DI EMILIA.
FANTESCA.

VECCHI.

LIPPO.
CAMBIO.
MASSIMO.
ABONDIO.
FISICO NEGROMANTE.

GIOVANI.

CYNTHIO.
CAMILLO
THEMOLO

SERVI.

NEBBIO
FACCHINO.


Diceva haver havuta dal medesimo
Autor, da chi Ferrara hebbe i Soppositi.
Ma se non vi parra d'udire il proprio
E consueto idioma del suo popolo,
Havete da pensar; ch'alcun vocabolo
Passando udi a Bologna, doue è 'l studio:
Il qual gli piacque; e lo tenne a memoria.
A Firenze, e a Siena poi diede opera,
E per tutta Thoscana a l'elegantia
Quanto piu puote, ma in si breve termine
Tanto appresso non ha; che la pronontia
Lombarda possa totalmente ascondere.
Hor; se la sua Comedia con silentio
Udirete; vi spera dar materia,
Quanta vi desse Ferrara, da ridere.







DEL NEGROMANTE
DI M. LODOVICO ARIOSTO

ATTO PRIMO.

Scena Prima.

MARGHERITA, AURELIA, BALIA.

Io non ho mai da quel di, ch'andò Emilia
A marito ch'un Mese homai debbe essere
Potuto hauere; se non hoggi commodo
Pur di venir a visitarla: E pensomi,
Che doler se ne dè; che pe sua gratia
Non haveva vicina, che piu tenera-
Mente amasse di me: Ma la sua a Balia
Vien fuor di casa ; Dove si va Aurelia.
AUR. In nessun luogo. Io venia; che pareami
D'hauer sentito un di questi, che vendono
L'herbe. E tu dove Margherita. MAR. Vengomi
A star un pezzo con la nostra Emilia.
AUR. Deh; se tu l'ami, non le dar molestia
Hora, che riserata ne la camera
E con la Madre tutta malenconica.
MAR. Che l'è accaduto. AUR. Quel, c'havea la misera
D'aspettar meno, che nasca una fistola
A chi mai fece questo sponsalitio.
MAR. Ogn'uno si lodava da principio
Per un partito de i miglior, che fossino
In questa terra. AUR. Dar non la poteano,
Margarita mia peggio. MAR. È pur bel giovane.
AUR. Altro ci vuole. MAR. Intendo ch'è richissimo.
AUR. Ci vuole anch'altro. MAR. Deve esser spiacevole:
Ma non stia in punta, e giostri di superbia
Con esso lui. MAR. Deh, non temer, giostrino:
Che la lancia è spuntata e molto debole.
MAR. Dunque non le fa il debito egli. AUR. Il debito?
MAR. Che non puo. AUR. La infelice è così vergine,
Com'era innanti a questo sponsalitio.
MAR. Gran disgratia per Dio. AUR. Si ben disgratia
De le maggior, ch'incontrar possi a femina.

==>SEGUE

MAR. Lasci andar: ne pero si dia molestia:
Potra ben. AUR. Quando potrà ben: se in quindici
E venti e trenta di non può. MAR. Ritrovansi
E sono alcuni, che son stati deboli
Glianni, e poi son tornati si, che possono.
MAR. Glianni Domine aspettar deve a pascersi
Dunque ella a bocca aperta fin, che caschino
Le biade: meglio era seder in otio
In casa di suo padre: che venirsene
A marito, se non devea haver utile.
Mangiar, bere, e dormir, e vestire, e cose simili
Ben a casa sua havea. MAR. Qualche rea femina,
Con laqual havea prima avuto pratica,
L'averà cosi concio per invidia:
Ma pur sonno à tai cose dei remedij.
MAR. Provati se ne sonno, e se ne provano
Tutta via: e tutti vani ne riescono.
Un che ci vien (che lo chiamano il Fisico)
N'ha promesso di far cose mirabili:
Ma non se n'havuto ancho se non favole.
A tal: che peggio che malia mi dubito,
E che li manchi: ben puommi tu intendere.
MAR. Ben fora meglio: che data l'avessino
A Camillo: che tante volte chiedere
La fece lor. E perche gli negorono:
Perche Cynthio è più ricco. AUR. Differentia
Di robba è poca tra lor: anzi il fecero;
Perché infin da i prim'anni fra i duoi soceri
Fu sempre una strettissima amicitia.
Ben se ne son pentiti; e se potessino
Le cose, che sono ite, adietro volgersi;
A far di novo la seconda meglio,
Che la prima fiata si farebbono.
MAR. Poi che ti par, non le daro molestia.
A'Dio. AUR. Va a la buon'hora. Poi Domenica
Torna, che la vedrai con suo piu commodo.

SCENA. II

Lippo, Cambio. vecchi.

Questa è la prima strada: che volgendosi
A man sinistra, passato San Stefano,
Si trova: questa la casa debbe essere
Di Massimo; vicino a la qual abita
Costui, ch'io cerco. E se ben io considero;

==>SEGUE


O in quella habita, o in questa. Dar notitia
Me ne potrà forse colui: ma veggolo:
Veggol per Dio: gliè quel, ch'io cerco, proprio
E d'esso. CAM. Non è questo Lippo. LIP. Cambio.
CAM. Quando a Cremona. LIP. O caro Cambio, veggoti
Volentiere. CAM. Il credo: & io te simile-
Mente. Che buone facende ti menano:
Mi manda Coppo nostro per exigere
Alcuni suoi danari, che gli debbono
Gli heredi di Nengoccio da la Semola
CAM. Quando giugnesti. LIP. Giunsi hieri su'l vespero.
CAM. Or che si fa a Firenze. LIP. Si fa il solito
Odo, che ti sei fatto in corpo e in anima
Cremonese: ne più curi la patria;
Et hai qui preso moglie bella e giovane.
CAM. Mai si. Che te par? e' di quattordeci
Anni era, quando io la tolsi? e' non passano
Anchora dua, ch'io l'ho. LIP. Tu ben debbi essere
Oltra i sessanta. CAM. Non vi credo giugnere.
LIP. So ben che giunto sei al mio segno, e passime.
Sia con Dio. Indarno la cosa si biasima;
Che non si puo far che non sia: pur. CAM. Seguita.
Che pur? che voi tu dir? hor ti par c'habbia
Mal fatto; havendo in questa bisognevole
Età di riposar, dunque trovatomi
Una possessione fertilissima.
LIP. Hai cosi dote. CAM. La dote è ben piccola:
Ma l'entrata si grande, e a me si utile;
Che me ne son vissuto fin qui, e vivomi
Commodamente. LIP. Non t'intendo. CAM. L'essere
Lei gentil, gratiata e bella giovane
Mi da d'ogni stagion si buonarendita.
LIP. Ah Cambio, ma l'honor? Là non son simili
Cose a vergogna, CAM. Qui quanti ne creditù,
Che siano in questa terra; che piu tengono
Per uso altrui le mogli, ch'e pel proprio;
E di qui vanno ben vestiti, e pensomi
Come affanni, e desagio alcun non sentono:
Hor questa si puo ben chiamar Republica.
LIP. Cambio: per quel: che da fanciullo tenero
T'ho conosciuto, fin che de la patria
Ti partesti, ho di te sempre contrario
A questa opinione havuto il credere.
Mai non harei creduto, che bastevole

==>SEGUE


Fosse stata la contagion dei pessimi
Costumi qui di si presto corromperti.
Ma ben son di parere; che per ridere,
E non per dir da senno mi ti simuli
Da quel, che solevi esser, diversissimo.
CAM. Lippo mio per adietro mai nasconderti
Non volli, ne potrei cosa, ch'in animo
Havessi: & hora la benivolentia
Mia essendo verso te quella medesima
Che soleva; non voglio c'havuto habbia
Tanta forza di dui anni l'absentia;
Ch'in Cremona minor sia la fiducia

==>SEGUE




Mia in te, ch'in Firenze. LIP. Ten' ringratio
Di cotesto buon'animo: e certissimo
Renderti puoi che da me n'habbi il cambio:
E qual si voglia cosa, che deponere
Nel mio secreto ti paia; deponlaci
Sicuramente, che depositario
Ti faro in ogni luogo fidelissimo.
CAM. Hor ascoltami. LIP. Di. CAM. Gliè vero c'habita
Qui mezo in questa casetta una giovane;
Che gli vicini essermi moglie credono;
E non è: ma ben è moglie d'un nobile
Giovane Cremonese. Hora; perch'ellino
Habbino questa opinion: per ordine
Ti diro. LIP. Di. CAM. Tu cognoscesti Fatio
Di mia sorella marito. LIP. Conobbillo;
Quand'habitava a Firenze: e solevamo
Esser compagni, e una cosa medesima
CAM. Quando partì da Firenze; debbe esserti
A mente. LIP. Si: non credo, ch'anchor passino
Cinque anni. CAM. Ben ne son nove. LIP. Puo essere
O Dio con quanta fretta gli anni volano.
CAM. Qui venendo egli e la moglie ci trassero
Una bella bambina; che si havevano
Tolta per figlia. LIP. E vederla ricordomi;
E che lor fusse, ho sempre mai credutomi.
CAM. Non era: ma figliuola d'una femina
Ch'era venuta là fin di Calavria:
Venne, ch'a ricontarlo è lunga historia.
LIP, Sia col buon anno. CAM. Ma continuandoti
Il proposito mio; qui venne Fatio:
Donde con quel, che da Firenze haveasi
Portato: e col star tutta via su'l traffico:
Che tu sai ben, ch'era huom di grande industria.
LIP. Non ne conobbi un'altro si sollecito
Al guadagno. CAM. Acquistossi questa povera
Casetta, e appresso qualche altro peculio.
LIP. Credolo: E forse se piu masseritia
Di robba, che di vita. CAM. Senza dubbio.
Hor odi. LIP. Di. CAM. Ne la casa qui prossima
Un costumato e nobil giovane habita,
Nomato Cynthio; il qual da questo Massimo
E stato tolto per figliuol, con animo
(Perche non ha alcun'altro) di lasciarlosi
Herede. Hor verso lui ha questa giovane
Quella summission, quella osservantia,

==>SEGUE


   

Sol per torla per moglie: e che chiamatoci
Di mia sorella; che di ben di Fatio,
(De quali ella e Lavinia heredi restano)
Volea insieme con essa à me far utile.
Io terrei il nome del marito, e Cynthio
Del resto occultamente goderiasi;
Occultamente fin, che'l vecchio Massimo
Desse lor luogo, Cosi per venirsene
A le prese; in secreto sposo Cynthio
Lavinia; & in secreto accompagnoronsi:
Et io de i sposi feci gli atti in publico.
LIP. E se necessitade era di fingere
Che fusse tua muglier; non potea il giovane
Senza cotesto di nascosto haverlasi.
CAM. Non; perche ingravidandosi (ch'in termine
Di pochi di le avenne) mal nascondere
L'haria potuto: & io non potea essere
Senza suo e de la madre biasmo, e infamia.
LIP. Mi taccio. CAM. Ben sucessa era la pratica.
LIP. Cotesto era mi spiace. Ci debbe essere
Qualche cosa accaduta dispiacevole.
CAM. Tu ti apponesti. LIP. Che si è questo giovane
Finalmente mutato di proposito?
CAM. Cotesto no. Lavinia ama egli al solito.
LIP. Che ci è adunque: CAM. Diroloti. Non passano
Tre mesi, che nulla sapendo Massimo
Di questa tramma, e certi amici pratiche
Fenno; ch'Abondio, cittadin richissimo
Di questa terra, gli promise, e dieronsi
La fede, ch'una sua figliuola; ch'unica
Si truova haver, saria moglie di Cynthio:
E condussero i vecchi il sponsalitio
Prima che noi n'havessimo notitia;
Et a la improveduta si lui colsero;
Che prometter sposar, e il di medesimo
Menar a case gli ne fer: ne il msero
Una parola dir seppe in contrario.
LIP. Cosi Lavinia era lasciata, e vedova
Sara vivendo il marito. CAM. Non, odime:
Preso habbiam una via; che se contraria
Non c'è in tutto Fortuna; in securissimo
Porto traremo un di questo navigio.
LIP. Dio il voglia. E come. CAMB. Non ha fin qui Cynthio
Assaggiato di che la sposa sappia:
Et è gia presso un mese, che continua

==>SEGUE

Di giacer seco: & impotente ha fintosi
E cosi tutta via sara per fingere.
LIP. Cotesto non cred'io, che glie impossibile
Ma che vi dia la ciancia vo ben credere.
CAM. Non mi da ciancia, no: siene certissimo:
Ne ti sarebbe a crederlo difficile:
Se tu n'avessi cognoscenza e pratica.
Ti diro piu; che la sposa a la baila
L'ha detto. Indi la balia refferitolo
A la madre; indi la madre ad Abondio;
Et Abondio se n'è dipoi con Massimo
Duluto molto: & egli; che dissolvere
Non vorria il parentado; ne che Cynthio
Si buona hereditade havesse a perdere;
E andato a ritrovar non so che Astrologo,
O Negromante: o debb'io dirti un pratico
Circa a tal cose molto: & ha promessoli
Donar venti fiorini; se lo libera.
Hor vedi se ne so io, o no. LIP Che speri tu
Che questa fittion'habbi à concedere?
CAM. Che? poi che tre, sei mesi, nove, o dodici
Cynthio sia stato in questa continentia
Stimand'Abondio al fine, che perpetua
L'infirmita esser debbia & incurabile;
Si tolga a casa la figliuola, & diala
Ad altri, & se possiam' quinci dissolversi
Non habbiamo di poi, di ch'haver dubbio
Ben saria pazzo, e ben harrebbe in odio
La cosa sua, chi piu di darla à Cynthio;
Parlasse; che piu d'impotente & debole
Ha nome. LIP. E' bel disegno e puo succedere:
Pur che Cynthio stia saldo in un proposito.
CAM. Non temo che si muti. LIP. S'egli seguita;
Per piu fedel lo lodo e da ben giovane
Di chi sentissi mai parlare. Hor piacemi
D'haverti visto. Dio sia favorevole
A tutti vostri desiderij; possoti
Far cosa, che ti piaccia. CAM. Che domestica-
Mente alloggi qui meco. LIP. Io te ringratio:
Son con questi alloggiato da la Semola;
Et ho da far con essi, che spacciarmene
Posso male: & a pena ho havuto spatio
Di venir a vederti; & hor mi aspettano.
CAM. Fin là vo venir teco. LIP. Non essendoti

==>SEGUE
    

Disconcio, vien. CAM. Veggo; che là v'è Massimo:
Et seco ha il Negromante: che vuol Cynthio
Ogni modo guarrir. LIP. Succeda l'opera;
Secondo che l'infermo ha desiderio.
Ma andiamo: ch'io non ho tempo da perdere.

SCENA III.

Fisico negromante. Massimo vecchio.
Nebbio famiglio.

Prima che facciamo altro: voglio Massimo
Far una cosa, che poch'altri medici
Vorrebbon fare; o volendo, sapprebbono.
MAS. Che voi far. FI. Vo veder prima, che crescere
Piu cominci la spesa; se sanabile
E questo male, o no; che conoscendolo
Senza rimedio; (il che gia presupponere
Non voglio) à me piu honor, à te piu utile
Saria; se chiaro te'l facessi intendere.
MAS. Non dubitar di non sanarlo. Mettite
Pur a la cura sua con sicuro animo.
Quest'è alcuna malia; che ò huomo, ò femina
Gl'ha fatto per invidia; che dissolvere
Facil ti sia. FI. Cosi spero c'habbi a essere:
Ma potria anchora quest'essere stat'opera
Di persona ne' incanti cosi praticha;
Che la cura saria lunga, o impossibile,
MAS. Non vo creder; che sia di questa pessima
Sorte. FI. E se fusse. MAS. Se fusse; patientia.
FI. Se fusse; non saria meglio conoscerlo
Prima, che piu le spese augumentassero.
MAS. Sì. FI. Per questo vo porre in un cadavere
Vn spirito; che con voce intelligibile
Mi dica la cagion de l'impotentia
Di Cynthio tuo. Saprò di poi prometterli:
O di sanarlo, ò di speranza torcene.
MAS. Fa pur come ti par. FI. S'io havessi in ordine
Vn vitel' nero, ma di latte, e morbido;
Che bisognaria a far' un sacrificio;
Questa notte medesima io faria l'opera.
NEB. Vole à certi suoi giovani discepoli
Far pasto il mio padron. MAS. Dammi piu termine.
Pur ch'egli sia un poco nero, & bastami.
NEB. Di questo il muso anch'io m'aspetto d'ungere.
MAS, Io mandero a l'armento; & faró scegliere

==>SEGUE


    


Il meglio, che mi sia. FI. Nel capo, ò in gli humeri;
O in altra parte, che sia oscuro & ottimo.
NEB. Se fusse piu che neve tutto candido;
Gli piacera; sia pur di latte e tenero.
MAS. L'haverai questa sera. FI. E sacrificio
Ne faro questa notte. NEB. A san Godentio.
FI. Hor dove potrem'noi trovare un camicie
Nuouo, chè mai piu sie stato in opera:
MAS. Non so. FI Con venti braccia lo faressimo
Di tela; ma sottile, e candidissima.
NEB. Di camiscie ha bisogno? FI. Per manipoli
E per la stola, & per ornar' il camicie,
E l'amitto; una canna è necessaria
Di drappo nero. NEB. Il tuo farsetto è loghero:
Bsogna un nuovo. FI. Ah: quasi che'l pentaculo
M'era scordato. MAS. Io ho in casa de le pentole
Assai. FI. Pentol' non dico; ma pentaculo.
NEB. Per far nascer le calze il terren' semina.
MAS. Vedro trovarne da chi n'habbia, in prestito.
FI. Difficilmente tai cose s'imprestano.
MAS. Come n'haremo un dunque: FI. Ah, fantastico
Come faremo: ah, mi torna a memoria.
Non credo anchor, che dieci giorni sieno;
Che venne un Prete a trovarmi, che vendere
Me ne volle uno à convenevol' precio.
Ne fu gia comperato da principio
Manco di sei fiorini: ma per quindici
Libre Imperiali haria lasciatolo.
NEB. Di qui farà non sol le calze nascere;
Ma la berretta, infino a le pantofole.
MAS. Tanto cotesti pennacchi si vendono?
NEB. Io non dico pennacchi, ma pentacoli.
MAS. C'ho a far del nome? Io miro a quel che costano.
NEB. S'io posso far che ve lo dia per dodici
Libre e mezza; chiudi pur gli occhi e compralo:
Che sempre poi te ne faro haver undici:
Et de la tela: di quest'altre favole
Ne trarrai sempre i tuoi danar' con perdita
Di poco. MAS. Bisogna altro. FI. Non vo chiedere
Piu per hora. E ver; ch'ancho mi bisognano
Due fiaschi grandi d'argento finissimo:
Ma questi si potran ben torre in prestito.
NEB. Altro che calze, & farsetto à riescere.
MAS. Di questi ho in casa senza altronde richiedere.
Ho io a proveder d'altro. FI. Ci bisognano

==>SEGUE



E doppieri, e candele, & herbe varie,
E varij gummi per li suffumigij:
Che tutto costara quindici; o sedici
Carlini. o tu provedi che si comprino:
O vero a me da i danari e il carico.
NEB. La mignatta è alla pelle; ne levarsene
Vorra, fin che vi sia sangue da suggere.
MAS. Andiarno un poco in casa. Mi delibero;
Che, ne per diligentia, ne per spendere
Manchi da me, ch'io possa hoggi risolvermi
Se diè costui sanarle. FI. Hor tu va: & ordina
Quel; che t'ho detto, e qui ritorna subito.
MAS. Va dentro, che venir qui veggo Cynthio;
A cui parlar vo senza testimonij.

SCENA IV.

Massimo vecchio, Cynthio giovane.

CYN. Messere. MAS. Odimmi un poco, voglioti
Pur dir quel; che piu volte ho havuto in animo,
Et ho fin qui taciuto; non fidandomi
Del mio parer. Hor quando altri concorrere
Ci veggo, anchora te'l vo dir; la pratica,
Laqual tu hai col vicin nostro Cambio;
Non mi par molto buona, ne lodevole.
Mal convengono insieme vecchi e giovani.
CYN. Messer' cotesto parlar' è contrario
A quel che dir mi suoli; che li giovani
Praticando coi vecchi sempre imparano.
MAS. Mal imparar si puo, dove 'l discepolo
E piu dotto, ch'el mastro. CYN. Fa ch'io sappia
Quel; che vuoi dir. MAS. Se non intendi; a lettere
Di spetiali t'el diro. Mal' convenevole
Mi par, ch'un vecchio teco habbi s'intrinseco
Domestichezza; il qual'ha moglie giovane
E bella, se comporta; che le bisighi
Per casa essendov'egli, & non essendovi.
Sai, che per il passato, che del vinculo
De la moglie eri sciolto; sempre vivere
T'ho lasciato a tuo modo; ne molestia
Mi dava, che 'l vicin havesse infamia
Per te; che del suo honor poco curandosi
Egli, molto men io debbio curarmene.
Ma hor c'hai moglie al lato; e ch'i tuoi soceri

==>SEGUE


Si son doluti meco di tal pratica.
CYN. Non è per mal'effetto; s'io vi pratico
In casa: e non è fra me, e questa giovane
Alcun'peccato: cosi testimonio
Me ne sia Iddio. Ma chi puo le malediche
Lingue frenar, che a lor modo non parlino?
MAS. Pur ciancie. Che vi fai tu? Che comertio
Hai tu con lor? CYN. Non altro, che amicitia
Honesta, e buona. E in qual casa veditù
Donne, ch'abbin bellezza, ò qualche gratia;
Che sempre non vi vadin' gentil'huomini,
Essendovi i mariti, ò non essendovi
A corteggiar? MAS. Ne l'usanza è lodevole;
Cotesto gia a di miei non era solito.
CYN. Doveano al vostro tempo havere i giovani
Più, che non hanno à questa età, malitia.
MAS. Non gia; ma ben i vecchi piu accorti erano.
Mi maraviglio; ch'al presente gl'huomini
Non sieno affatto grassi, come Tortore.
CYN. Perche? MAS. Perc'hanno tutti si buon stomaco.

ATTO SECONDO.

SCENA. Prima.

Cynthio giovane. Themolo famiglio.

CYN. Themolo; che ti par di questo Fisico;
O Negromante, ò che si sia. TH. Lo giudico
Una Volpe padron piena d'astutia.
CYN. Volpe no: si ben cauto. TH. Che scientia
Sa egli piu? CYN. Ti so dir: ch'è dottissimo
In tutto, a fatto: pur de l'arte Magica
Sa cio, che puo sapersi: e voglio credere
Che tutt'il mondo altro suo par non habbia.
TH. Che ne sai tu. CYN. Cose strane e mirabili
Me n'ha detto il famiglio suo. TH. Deh Cynthio
Fanne a me anchor, se Dio t'aiuti, gratia.
CYN. Mi dice; ch'a sua posta fa risplendere
La notte, e 'l di oscurarsi. TH. Anch'io so simile
Cotesta fare. CYN. Come? TH. Se accendere
La notte andro un lume, e il giorno a chiudere
Le finestre. CYN. Deh pecorone: dicoti,
Che estingue il sol per tutt'il mondo; e splendida
Fa la notte per tutto. TH. Dar salario
Que, c'hanno ulive, & apigli dovrebbono.
CYN. Perche. TH. Perche calare il prezzo crescere;
Quando gli piace, può alla cera e a l'olio.
Hor sa far altro. CYN. Fa la terra muovere;
Sempre che 'l vuol. TH. Anch'io tal volta muovila;
S'io metto al fuoco, o ne levo la pentola.
CYN. Te ne fai beffe? e ti par d'udir favole,
Hor che dirai di questo; che invisibile
Va quando vuol? TH. L'hai tu veduto. CYN. Bestia,
Come si può veder; se va invisibile?
TH. Che altro sa far. CYN. De le donne e de li uomini,
Quando gli par, sa trasformare in varij
Animali e volatili, e quadrupedi.
TH. Si vede far tutto dì, ne miracolo
E cotesto. CYN. ù si vede far? TH. Nel populo
Nostro. Si fa in ogni Città d'Italia.
CYN. E come? TH. Non hai tu veduto subito;
Ch'un posto che sia sopra la vittoria,
O sia essattor delle gabelle, o Iudice,
O notaio, o che paghi gli stipendij;
Lasciar' humana forma tutta, e prendela
O di Lupo, o di Volpe, o di alcun Nibbio?

==>SEGUE
   

CYN. Cotesto è vero. TH. Quando uno d'ignobile
Grado vien consigliero o secretario,
O che di commandar a glialtri ha officio,
Non è ver anche, che diventa un Asino.
CYN. Verissimo. TH. Di molti, che diventano
Bechi vuo tacer. CYN. Cotesta è Themolo
Vna cattiva lingua. TH. Lingua pessima
E cotesta; che sogni, e fole recita
Per cose vere. CYN. Dunque non voi credere;
Che costui faccia tali esperientie?
TH. Anzi, che di maggior ne faccia credere
Ti voglio; quando con parole semplici,
Senza un'effetto dimostrarne minimo,
Puo tuor di mano al tuo vecchio avarissimo;
Quando danari, quando robba, Hor, ch'essere
Puo di quest'altra cosa piu mirabile.
CYN. Cianci pur' ne rispondi à proposito.
TH. Parlami cose vere; che si possino
Credere almeno; e come e convenevole,
Risponderotti. CYN. Dimmi questo: creditù;
Che costui gran maestro sia di Magica.
TH. Ch'egli sia Mago, & eccellente possoti
Credere; ma che farse li miracoli
Possa, che tu mi di per arte Magica?
Non credero. CYN. La poca esperientia;
C'hai del mondo, n'è causa. Dimmi: creditù
Che possa un mago far cosa mirabili?
TH. Si: ma non gia; che l'huom facci invisibile,
O che lo facci trasformare in bestia,
O tai cose, ch'appena crederebbono
Li fanciulli. CYN. Ostinato in l'ignorantia
Tua sei. Confessarammi almen ch'i spiriti
Si possin scongiurarsi, che rispondino
Le cose, che da lor cerchi d'intendere.
TH. Di questi spirti, à dirti il ver, pochissimo
Per me mi crederei: ma gli grandi huomini,
E Principi, e Prelati; che vi credono,
Fan che vi credo anch'io. CYN. Hor Concedemi
Questo; mi poi similmente concedere,
Ch'io sono il più infelice & il più misero
Ch'oggi si trovi al mondo. TH. Come? Seguita.
CYN. Se costui vien' a scongiurar li spiriti;
Non sapra che ne infermo son, ne debole
Com'io m'infingo; e la cagion del fingere
Non sapra egli anchor; che cosi studio

==>SEGUE

   
Particolare di un affresco
del Ghirlandaio





PROLOGO.

PIU non vi paia udir cose impossibili;
Se detto vi sara, che i sassi e gli alberi
Di contrada in contrada Orpheo seguivane:
Ne vi paia gran fatto; s'ancho Apolline,
Et Amphion montar le pietre fecero
Adosso l'una a l'altra: e se ne cinsero
Thebe di Mura, e la Città di Priamo;
Poi, che vedeste nel tempo preterito,
Che Ferrara con le sue case, e regij
Tetti, e lochi privati, e sacri publici
Se n'era sin qui in Roma venuta integra;
E questo di Cremona vedete essera
Venuta a mezzo il verno, per difficile
Strada, piena de fanghi e di monti asperi.
Ne vi crediate gia, che la necessiti
A venir: che si voglia d'homicidij,
Di voti, o di tai cose far assolvere:
Perche non ha bisogno: E quando havutolo
Avesse, haria sperato; che 'l Pontefice
Liberal le haverebbe l'indulgentia
Fatto mandar fin à casa, plenaria
Ma vien sol per conoscer, in presentia,
Veder, e contemplar con gli occhi proprij
Quel, che portato le ha la fama celebre
De la bontade, del candor, de l'animo,
De la religion, de la prudentia,
De l'alta cortesia, del splendor inclito,
De la virtute di LEONE Decimo.
E, perch'ella non v'habbia meno ad essere
[pag. 4] Grata, che fussa Ferrara, e piacevole;
Non è venuta senza una Comedia
Tutta nuova: la qual vuol, che si nomini
IL NEGROMANTE; e c'hoggi a voi si reciti.
Hor non ui parra piu tanto mirabile
Che Cremona sia qui; e gia giuditio
Fate, che'l Negrómante de la fabula
L'habbia fatta portar per l'aria a i Diauoli.
Ma, quando bene anchor fosse miracolo;
Saria però. Questa nuova Comedia

==>SEGUE




Ch'imaginar ti dei: che cunvenevole
Sia a persona, ch'aspetti d'haver simile
Hereditate, quando ne per vinculo
Di sangue è indotto a fargli, ne per obligo,
Ne per rispetto alcun: ma sol per libera
Volonta propria si gran beneficio.
Vedendo egli Lavinia (che Lavinia
Si chiama la fanciulla): e pur parlandone
Talhor, com'a vicina: accade, accesesi
Oltra modo di lei. LIP. Fatta debbe essere
Bella; per quanto di lei far giuditio
Si potea da piccina. CAM. Ha assai buon'aria.
Odi pur Cynthio cominciò da principio
Con prieghi, e con proferte di pecunia
Tentarla, che di se gli fesse copia.
Gli rispose sempre ella con prudentia,
Che sua altrimente non era per essere,
Che leggitima moglie; e con licentia
Di Nanna mia sorella: che non nomina
Se non per madre. E questo havrebbe il giovane
Fatto: ma 'l raffrenò la riverentia
E piu il timor, il qual havea di Massimo:
Che stato non saria per comportarglielo.
E fino alhora, Se Nanna accordatasi
Fusse con lui; sarebbe il matrimonio
Seguito; ma vide ella che poco utile
Era darli Lavinia succendendone
Di Massimo l'offesa e la disgratia.
Producea in lungo la cosa; ch'al giovane
Non volea dar repulsa: ne rimoverlo
In tutto di speranza. In tanto havendomi
Nanna avvisata esser mancamento Fatio,
(Che fu tutto in un tempo) e ricercatomi
Che per star seco, consigliarla, e reggere
Venissi in questa terra; & io volendone
Sodisfare, com'e il dovere; essendoci
Venuto; a pieno mia sorella intendere
Mi fece questa tramma; & io parlandone
Piu fiate con Cynthio e cognoscendoio;
Ch'amava, quanto si puo amor; trascorrere
L'occasion non lascio: e per rimedio
Piglio, che sposi in secreto Lavinia
Presenti dui fideli testimonii;
E tutto a un tempo ch'io dimostri in publico
Esser qui da Firenze trasferitomi

==>SEGUE

Levar da me la figliuola d'Abondio;
Et che mia moglie è Lavinia? e sapendolo,
Et al mio vecchio insieme referendolo;
A che termini son' io? TH. Certo; ch'a pessimo.
Vuo, ch'io te dica una cosa; che surgere
Mi sento in capo, che ti sia forse utile?
CYN. Di pur. TH. Mi par che costui sia molt'avido
Di guadagnar assai. CYN. Son del medesimo
Parer anch'io. Che piú? TH. Dunque cert'essere
Dei; che più volentier si vorrà apprendere
A quaranta, ch'a venti. CYN. L'ho certissimo.
TH Il vecchio gli ha promesso; se te libera;
Di donar venti scudi; forse trattone
Le spese. CYN. Segui pur. TH. Va tu, e ritrovalo;
E falli tutto il tuo pensier intendere:
E falli insieme un'offerta magnanima
Di quaranta fiorini, e che facci opera,
Che si disciolga questo sponsalitio.
CYN. Ma da chi trouare quaranta lire;
Non che fiorini à questo tempo? TH. Parlane
Con Nanna tua, e con Cambio; che le trovino.
CYN. Il medesimo modo havranno anch'eglino.
TH. Accio che questo effetto che piu d'utile
Sarrebbe a lei, ch'a te, segua; certissìmo
Mi rendo, che poran suibit'in vendita
Et con le letta, e con le masseritie,
E con cio c'hanno in casa dove, c'habitano.
CYN. Il tuo ricordo non mi spiace: Hor vedi se
Cambio c'è; ch'io vo seco consigliarmene;
Ne prima ch'io m'intenda del suo inditio;
Col Negromante, ne con altri movere
Ne vo parola. E in casa? TH. Non c'è: dicono,
Ch'è andato in piazza. CYN. Andato in piazza? Andiamone
Noi anchora a trovarlo. TH. È questo il giovane;
Quello, che t'ha racconto li miracoli
Del Negromant? CYN. E d'esso. TH. O dio; com'essere
Deve buggiardo. CYN. Buggiardo io nol giudico;
Ma te ben ho stimato, e stimo incredulo.
TH. Hor andiam' pur. Cotesto non è articolo.
Che non credendo, io sia stimato heretico.



SCENA II.

Nebbio famiglio.

Per certo questa è pur gran confidentia;
Che mastro Lachellin ha in se medesimo;
Che leggere sapendo appena, e scrivere,
Faccia professione di Philosopho,
D'alchimista, di Medico, di Astrologo,
Di Mago, & di scongiurator' de spiriti;
E sa di queste, e de l'altre scientie
(Benche si faccia nominar il Fisico)
Che sa l'Asino, el Bue di sonar gli organi:
Ma con un viso, piu di un' marmo immobile
Ciancia, e menzogna, e non con altr'industria
Aggira, & avvilupa il capo, a gl'huomeni;
E gode, e fa goder a me; aiutandoci
La sciochezza, c'ha il mondo in abundantia;
L'altrui ricchezze. Andiamo come Cingheri
Di paese in paese, e le vestigie
Dovunque e passa, sempre di lui restano,
Come de la lumaca; o per piu simile
Comparatione del fuoco, o del fulmine
Sì, che di terra in terra per nascondersi
Si muta nome; e si fa d'altra patria
Si chiama hor Pietro, hor Giovanni, hor di Gretia
Hor d'Egitto, hor d'altro paese fingesi.
È giudeo veramente, e per origine
Di quei, che fur cacciati di Castilia.
Sarebbe lungo a contar; quanti nobili,
Quanti Plebei, quante Donne, quant' huomini
Ha giuntati, e rubbati; quante povere
Case lasciate; quante di adulterij
Contaminate; hor mostrando che gravide
Volessi far le maritate sterili;
Hor le suppositioni, hor le discordie
Spegner, che tra mariti e moglie nascono:
Hor empie questo gentil'huomo, e beccalo
Meglio, che mai sparvier facessi Passera.



SCENA III.

Fisico, Nebbio.

FI. Io provedero ben al tutto: lasciane
A me la cura pur. NEB. Si per Dio, lasciane
La cura a lui: non ti potevi abbattere
Meglio. FI. O sei qui? Ti volea appunto Nebbio.
NEB. Tu vorresti piu tosto un'altro simile
A quel, che costà la su in casa; ch'utile
Puoco haver puoi da me, FI. Vorrei de simili
Piu presto haver si, che meco fuor escono:
Ve che non t'apponesti. NEB. Come Diavolo
Hai fatto. FI. Vo per comprar il pentaculo
Doppieri; e gumi per li suffumiggij.
NEB. Vo che tu compri. FI. Andiamo a torre al fondaco
La tela e il drappo, c'ho havuta la poliza.
Fin'in casa il Vitel vo, che mi portino.
NEB. I duo fiaschi d'argento; che piu montano
Vorrei c'havessi. FI. Questa sera aspettoli.
Credo verra con scritte, e testimonij,
Si come huomo ben cauto, a consegnarmeli.
NEB. Vuoi tu far a mio senno? Come havutoli
Havrai; piglia la volta di Vinegia.
FI. Con si poco bontin' tu voi, ch'io sgomberi?
Credi tu ch'io non habbi piu d'un traffico
In questa terra piena di sucagine
Piu che Roma d'inganni, & di malizie?
Che s'io mi parto; posso dir di perdermi
Cosi cento Ducati, come a studio
Vada nel mar, dov'ha piu fondo, a spargerli.
NEB. Ch'altra buona vivanda hai senza Massimo
Da pelucarti. FI. Te'l diro. Conosci tu
Camillo poco sale; un certo giovane
Brunetto piccoletto. NEB. Pur conoscerlo
Doverei; cosi spesso teco veggolo.
FI. Camillo è cosi de la sposa di Cynthio
Innamorato, che quasi farnetica:
ben ch'il medesmo se pria che la dessero
A Cynthio; cio che far gli fu possibile
Per averla per moglie, hora notitia
di questa debiltade, & impotentia
Del sposo havendo, che cacciar il vomere
Non puo nel campo; ha di novo pres'animo,

==>SEGUE

E speranza che a se s'abbi a ricorrere.
Volendo questa possession riducere
Che si lavori; a me è venuto essendoli
Detto, che tolto havea a drizzare il manico
dell'aratro; e due scudi in mano postomi
a prima giunta: indi il suo amor narratomi,
mi supplicò piangendo; che procedere
volessi in modo alla cura di Cynthio;
che più impotente restassi, & più debole,
di quel, ch'egli è: & in guisa che conoscere
mai carnalmente non potesse Emilia.
E di donar trenta fiorin promissemi;
se 'l parentado facevo disciogliere.
NEB. L'offerta è bella, e tu vi debbi attendere:
Che tosto che tu dica al padre, e al suocero.
FI. Deh insegnami pur altro; che di mungere
Le borse: ch'egli è il mio primo essercitio.
Son' alcuni amimali; de quali utile
Altro non puoi haver, che di mangiarteli:
Come è il Porco. Altri sono, che servendoli
Ti danno ogni di frutti: e quando a l'ultimo
Non te ne ponno dar piu; te gli devori:
Come è la Vacca, come è anchor la Pecora.
Son'alcun'altri; che vivi ti rendono
Spessi guadagni, e morti nulla vagliono:
Come è il Cavallo, come è il Cane, e l'Asino.
Similmente ne gli huomini trovano
Gran differentie. Alcuni; che per transito,
O in nave, o in hostarie, tra pie ti vengono,
Che mai piu a riveder non li hai; tuo debito
E di spogliarli, e di rubbarli subito.
Son'altri come tavernieri, e artefici:
Che qualche Carlin sempre, o qualche Giulio
Hanno in borsa: ma non han mai gran copia.
Tor spesso e poco al tratto a questi; è un ottimo
Consiglio. Se voglio io lor trarro il corio.
Poco guadagno è una sol volta; e perdomi
Quel, che quasi ogni giorno potria chieggere.
Son'altri in le Cittadi; che stan' commodi
Di possession, di case, e di ben mobili;
Li qual dovemo riferir a mordere,
Non ch'a mangiar fin che ci sia da fuggere
Hor tre fiorini, hor cinque, ho dieci, hor dodici;
Ma quando vol mutar paese, in ultimo
Tosali poi fin sul viso, o lo scortica:

==>SEGUE

In questa terza schiera pongo Massimo
E Camillo, che con promesse, e favole
Meno, e menero in lungo, fin ch'il Taiero
Non si sechi di latte. Un di poi toltomi
L'agio, ch'io li ritrovi grassi, e morbidi;
Traro la pelle loro, e mangeromeli.
Hora perche Camillo m'habbi a rendere
Piu latte; pascol'herbe, e foglie tenere
Di speme; promettendoli d'accendere
Si del suo amore Emilia, che; non vogliono,
O voglin' pur li suoi parenti; subito
Che lassi Cynthio, non vorra congiungersi
Ad altro huomo, ch'ad esso: E dato intendere
Li ho, che gia in questo fatto si buon'opra,
Che del suo amore ella si strugge; e lettere
Et imbasciate ho da sua parte fintomi.
NEB. Tardato hai tanto a dirmi questa praticha?
FI. E da tua parte anchora certi piccioli
Doni arrecati gli ho, che gli ha gratissimi.
NEB. Fian questi doni all'insalate simili
Che per haver le torte i frati mandano.
FI. Puo ben creder che s'io vo un soldo a spendere;
Un ducato all'incontro penso esigere
Questa matina mi diede un bellissimno
Rubin ch'a lei donassi in contra cambio.
NEB. A lei lo darai tu. FI. Si tu consilio
Me ne dai, lo faro. NEB. Per Dio no. FI. Eccolo.
NEB. L'ho veduto. FI. Fa pur, to il guanto, e mostrati
Di non haver le campan'. NEB. Staro mutulo

SCENA IV.

Fisico, Camillo, Nebbio.

FI. Dove va quest'innamorato giovane
Sopra tutti gli amanti felicissimo?
CAM. Io vengo a riverir il potentissimo
Di tutti i Maghi, & inchinarmi all'idolo;
A chi miei voti offerte & sacrificij
Ho destinati: che tu la mia prospera
Fortuna sei salute, vita, & anima.
FI. Lascia da parte tai parole, & servite
Di me; ch'a modo tuo sempre puoi spendere.
CAM. Io ne son'certo, e te ne ho eterna gratia:
Ma dimmi come fa la mia carissima

==>SEGUE



E dolcissima mia. FI. Sta. va via: scostati
Da noi. NEB. Ben vince costui tutti gli huomini
De segretezza. O buono aviso. FI. Simili
Cose non sono mai da dir, che v'odano
Li famigli; che tutta via rapportano
Cio che sanno. CAM. Io non vi havea avertentia:
Ma che fa la mia bella, e dolce Emilia?
FI. Arde per amor tuo tanto, ch'io dubito;
Che s'io produco troppo in lungo a poterla
In braccio. CAM. O Dio. FI. Come cera distruggere
La vedero; ch'al fuoco, o al sol? S'approssimi.
CAM. Per me non la lasciar dunque distruggere;
E me morir poi per dolor. Abbrevia
Quel' c'hai da far; che dicendo tu libera-
Mente non esser possibil, che Cynthio
Mai con lei possa; mi rendo certissimo,
Che suo padre di gratia hara di darlami.
FI. Mi fa ella anchor' questi preghi medesimi:
Ma voi, che amate, e che lasciate reggervi
Dall'appetito; pur che farlo facile-
Mente potessi, perch'altra advertentia
Non havete ch'il vostro desiderio.
S'a Massimo io dicessi ch'incurabile
Fussi l'infirmitade, ne rimedio
L'havessi fatto anchor; non daria inditio
Anzi segno di fraude evidentissimo.
CAM. Io mi vo al tuo parer sempre rimettere:
FI. Almen tu di lei sei piu trattabile
CAM. Ella non fa cosi. FI. Cosi? è si in colera;
Non mi vuole ascoltar: e piange, e dicemi
Ch'io meno in lungo questa cosa a studio.
CAM. Io non diro mai piu; ch'a te possibile
Non sia ogni cosa, quando cosi accendere
Hai potuto di me costei in un subito:
De laqual gia cinque anni è; che continua-
Mente ho amata, & servita, e un segno minimo
Non potè haver giamai d'esserli in gratia.
FI. O se veder ti facessi una lettera,
Ch'ella ti scrive. CAM. Che cessi de darlami.
FI. Voi tu che te la dia hora. CAM. Te ne supplico.
FI. Di quelle mani piu che latte candide;
Piu che di neve, è uscita questa lettera.
Prima da l'Abastro, e da l' Avorio
Del petto viene, ove di suavissimi

==>SEGUE

Et odorati duo pomi giacevasi.
CAM. Dal bel seno de la mia dolce Emilia
Dunque vien questa carta felicissima.
CAM. Di quelle man, piu che di latte candide,
piu che di nieve, è uscita questa lettera?
NIB. (Uscita è pur di man rognose e sucide
del mio padron: tientela cara, e baciala.)
FI. Prima da lo alabastro, o sia ligustico
marmo, del petto viene, ove fra picciole
& odorate due pome giacevasi.
CAM. Dal bel seno de la mia dolce Emilia
dunque vien questa carta felicissima?
FI. Sua bella man quindi la trasse, e dielami.
CAM. O bene aventurosa carta: o lettera
Beata, quant'è la tua sorte prospera:
Quanto d'haver n'ha quelle carte invidia;
De le quali si fan libelli, e cedule,
In servisioni, citatorie, essamini,
Istrumenti, processi, e mill'altre opere
De rapaci notai; con che i poveri
Licenziosamente in piazza rubbano:
O fortunato lino, e piu in quest'ultimo
Honorato; che tu sei carta fragile,
Che mai non fusti tela, se ben tunica
Fussi stata di qual si voglia Principe;
Poi che degnata s'è la mia dolcissima
Padrona i suo pensier in te descrivere!
Ma che tard'io d'aprirti, & intelligere
Quanto mi rechi di gaudio, & di iubilo,
Di salute, di ben, di vita. FI. Fermati:
Voi tu far al mio senno? CAM. Che? FI. Va, leggila
A casa tua. CAM. Perché non qui? FI. Mi dubbito;
Che tante esclamationi e cerimonie
Fatt'havendo a una carta chiusa, e mutola;
Che tosto che tu l'apra, e le carattere
Vegghi impresse da quella man d'Avorio,
E le parole cosi suavissime:
Che si spiccan dal suo cuore ardentissimo,
Ch'un svenimento per dolcezza t'occupi
Tal, che ti cada in terra; o per letitia
Tu levi un grido si, ch'intorno corrino
Tutti i vicini. CAM. Non faro no; lasciami
Leggerla pur. FI. Non farai: e va pur leggila
A casa tua: e ti vo dar un consilio:

==>SEGUE

Che prima tu la legga, ad alcun marmore
Leggar ti facci da non poter scioglierti,
CAM. Temi tu, ch'io impazisca. FI. Pur che 'l gaudio
Ti levi, temo si: che passi l'aria,
E vadi in cielo: e noi t'habbiamo a perdere.
Chiudila: vedi la madre d'Emilia,
Ch'esse di là. Se tu m'ami, va a leggerla
· Altrove. CAM. Infretta a casa vo volarmene:
E quivi ognun non mi dara molestia.
FI. Noi pel drappo, e pel renzo andremo al fondaco.

SCENA V.

Madre di Emilia, Fantesca.

Confortati figliuola: che rimedio,
Fuor ch'al morire, ad ogni cosa trovano
Le savie donne. Hor sta con Dio. Ah miseria
Humana, a quanti strani, a quanti insoliti
Casi è soggetto questo nostro vivere
FAN. In fe di Dio, che tor non si dovriano
Se non a pruova li mariti. MAD. Ah bestia.
FAN. Che bestia: Io dico il vero. Tu non comperi
Cosa, che prima to non la consideri
Dentr'e di fuor' piu volte. Se in un semplice
Fascio ti metti il tuo danaio a spendere,
Diece fiate a riguardarlo e vedere
Per man' ti torni: & abbarlume glihuomini
Si torrano: che tanto ne bisognano.
MAD. Credo, che sie imbriaca. FAN. Anzi pue ebbria
Giamai non fui, e ne conobbi una savia
Gia mia vicina; che si tenne un giovane
Ogni notte nel letto, piu di tredici
mesi, e vi fece ogni pruova possibile.
& poi ch'a tal mestier lo trovò idoneo,
Per marito lo diede ad una sua filia;
ch'unica havea. MAD. Taci porca, e vergognati.
FAN. Dunque io mi debbo vergognare a dirtene
La verità? S'ancora la esperientia
Ne ha fatto tanti dì tua figlia; lascialo
Provar a me, s'io il provo far giudicio
Sapro, s'accontentar se ne hara Emilia.
MAD. O brutta dishonesta e trista femina
sera la bocca un tuo mal punto e seguimi.


ATTO TERZO.

SCENA Prima.

Cambio, Themolo.

CAM. Temo, che mal consiglio dato a Cynthio
Haremo, ch'i secreti del suo animo
Al Negromante discuopra. TH. Ah; non temere
Che tolto sotto la sua fede havendoli
Con tanti giurarnenti, mai li publichi.
CAM. Non dico perche tema che li publichi:
Ma hora conoscendo, come passano
Le cose; non s'addopri pel contrario,
E facci con qualche arte diabolica,
Che Cyntio levi da Lavinia l'animo,
E lo volga a l'amor tutto d'Emilia.
Li cinquanta fiorini; che tu gli offeri,
N'haranno in lui molto piu forza: credemi;
Ch'in gli altri egli non ha con la sua Magica.
Va pur arreca gli danari: e fagliene
Patto. CYN. I vo a Nanna, e da lei faro darmeli.
TH. Porta cinquanta fiorini. CAM. Si agevole-
Mente; perche la madre di Lavinia
Alla sua morte gli lasciò una scatola
Con cert'anelle, collanuzze, simili
Cose d'oro; che tutte insieme al pretio
Di cento scudi, o circa ponno ascendere:
E mia sorella ha sempre mai serbatola
Accio; s'avvien, che suo padre ritrovino,
Gli possin far veder con questo inditio,
Che Lavinia è sua figlia. Hora accadendomi
Questo bisogno; mutera proposito
E tanto ne fara impegnar e vendere;
Che cinquanta fiorin ne trarrà subito,
Come vien ben in taglio CAM. Hor voglio andarmene
In casa. TH. Eccoti Cynthio, e il Mastro. CAM. Lasciale
Pur senza noi; che quest'al fin concludono.
Adagio ne fara piu Cynthio intendere.

SCENA II.

Fisico, Cynthio.

FI. Cynthio renditi certo; che narratomi
Alcuna cosa non m'hai, che benissimo

==>SEGUE

Io non sapessi prima; e se i rimedij
Ben mostrava di farti, ch'esser sogliono
Salutiferi, a chi fusse al servitio
De le donne impotente; per cio a credere
Che n'hauessi bisogno non mi havevono
Tue fittioni indotto; anzi dolutomi
De li tuoi affanni, e compassion havevoti:
E ben che tu non mi pregassi; ogn'opera
Mia è però fin qui stata favorevole
Assai piu alla tua voglia, che contraria.
CYN. Maestro; se per adietro m'hai fatt'utile,
Te ne son' obligato, & in perpetuo
Esser ti voglio: e se non pregandoti,
Ne riconoscend'io la tua bon'opera
Favorevol mi sia stato, e benevolo;
Hora ch'io te ne prego, e te ne supplico
Se per cognoscer sonno il beneficio;
Tanto me' in aiutarmi, dei procedere.
FI. Lo faro molto volentieri, e credimi
Sicuro fra dui giorni d'esser libero.
CYN. Felice me se tu lo fai. FI. Certissima-
Mente farollo. CYN. Sel ti piace, narrami
Il modo. FI. Prima ch'io tel narri; voglioti
Pregar, che con alcun tu nol communichi:
E se senza saputa tua far l'opera
Potessi; io lo faria di meglior animo.
CYN. S'io t'obligo la fede di star tacito:
Temi tu ch'io cio non osservi. FI. Credoti,
C'hora habbi quedta intention: ma subito,
Che con Lavinia sia, senza avvedertene
Dirai: e tutto un di non è possibile
Che cosa occulta sia, che sappia femina:
CYN. Ne con Lavinia, ne con altri minima
Parola ne diro. Non haver dubbio.
FI. Cosi prometti. CYN. Te prometto, & obligo
La fede mia. FI. Tel diro dunque: ascoltami,
S'io dicessi a tuo padre, ch'incurabile
Fussi; il tuo male difficilmente credimi
Lo potria introdurre: si perche si credeno
Mal' volentier le cose, che dispiaciono.
Si perch'egli haria dubbio, ch'ad instantia
Io lo dicessi d'altrui, ch'o invidia
A sua comodi havessi, o desiderio
Di ritirar in sua casa quest'utile.

==>SEGUE

Ma penso far cosi: che questa prossima
Notte tu ti ritrovi nella camera,
Che verrà per giacersi con Emilia.
CYN. Come di tu. FI. Che tu vi trovi un giovane;
Che verrà per giacersi con Emilia:
Non hai tu inteso. CYN. Me forsi medesimo
Ci trovero. FI. Senza te un'altro dicoti,
Che li dara di quello in abondantia,
Che tu li nieghi. CYN. E costei dunque adultera:
FI. Cotesta non: è casta e pudicissima:
Ma sara presto giudicata adultera
Dal vecchio: e pero harai scusa giustissima
Seco, e con tutto il mondo di repudio:
E sara primo Massimo a mandarlane
A casa di suo padre. CYN. ah: ne fia scandalo,
E perpetua ignominia de la giovane.
FI. Et che noia ti da, pur che la levino
Di casa, & che tu stia con sicur animo,
Che mai piu a ritornarla a te non habbino.
CYN. Non mi piace. FI. A me pur ne lascia il carico.
CYN. Io non voglio cosi. FI. Lasciata reggere
Ne miglior, ne piu presta, ne piu facile
Via c'è di questa. CYN. In somma io non c'ho l'animo.
FI. Vienimi a trouar a casa che per ordine
Ti mostrero, che qui non v'è il pericolo,
Nel scandalo, nel biasmo, che tu imagini:
Ma per farti la cosa securissima,
Fa che mi trovi otto, e otto sedici
Et otto ventiquattro, e appresso quindici:
Quarantacinque fonno se ben numero,
Settantatre fiorini. Questi fondere
Io voglio in tua presentia: e alcun' dubio
Pero non habbi ch'io voglia involarteli.
Tre lame; nelle quali s'habbia a scrivere
Con certe oration certe carattere;
E sotto il vostro limine vo nascondere
L'una, & vo porre sotto quel d'Abondio
L'altra: e la terza de la casa, ov'habita
Lavinia. Poi bisogna far tre imagini;
Ciascuna de le quali in se vol quindici
Fiorini. Una vo a nome tuo componere:
L'altra vorro, che sia in nome d'Abondio:
L'altra del vecchio tuo. Queste tre vogliomi
Tenere in casa sette hore continue

==>SEGUE

Il giorno, e sette altre io vo continue
La notte scongiurar fin che fral termine
Di tre giorni il tuo vecchio, e cosi Abondio
Vedrai esser mutato di proposito
Si; che senza fatica, e senza altr'opera
Tua, faran che tra loro il matrimonio
Non hara luoco, Questa sera arrecami
L'oro, e piu presto anchor, che gliè possibile.
CYN. Settantre fiorini ci bisognano;
E non mancò. FI. Non mancò. CYN. Donde mettere
Hoggi insieme potro tanta pecunia?
FI. Li cinquanta fiorini, come pensitù
Pagarmi, che promessi m'hai. CYN. Vo vendere
Quanto mobile in casa si ritrovano
Questi parenti miei. FI. Questi, che deputi
A me per pagamento: saran'ottimi
Per questo effetto hor vedi anche di quindici
Altri ventitre appresso; e fatta l'opera:
Laqual il terzo di non ha da escedere;
Io ne trarro de i miei cinquanta. Pigliate
Tu il resto poi valli trova, non perdere
Tempo, che questa notte possi fondere
L'oro, e far le tre, lame, & altre imagini.
CYN. Faro per arrecarteli hoggi ogn'opera.
FI. Hor non indugiar piu: vanne, & arrecali.
CYN. Io vo; quasi hoggimai comincio a credere
Quello, che gia gran tempo crede Themolo.
Darli quaranta scudi haveuo in animo;
E n'ha fin in cinquanta fatto credere
Con sue lusinghe, e poi mi vol far giugnere
Ventitre appresso: & a principio dissemi
Non li voler, se non fornita l'opera:
E va mostrando, che vuol far imagini,
E lame d'or. Se gli vorrebbe prendere.
Ben mi stima leggieri, che si facile-
Mente, senza altri sproni, debba correre.


SCENA III.

Nebbio, Fisico, Camillo.

NEB. De le tre starne, ch'in piè: hai che pensi tu
Mangiarti al fin. FI. Vedrommi andar beccandole
Ad una ad una: e poi attaccarmi in ultimo
A la piu grassa, e tutta manicarlami.
NEB. Ecco che vien una vivanda. Mettiti,
Quando ti par, s'hai appetito, a tabola.
FI. Chi è: Camillo. NEB. Si. FI. Presto mangiarlomi
Voglio, che l'ossa non credo ci restino.
O Camillo. CAM. O Maestro. FI. Hai tu la lettera
Veduta. CAM. Si. FI. Che te ne par. CAM. Difficile
Costei mi pare, e di molto pericolo.
Canchero, ella vorria, che questa prossima
Notte io mi conducessi in la sua camera.
FI. Quasi ch'ella domandi, che nel carcere
De Leoni affamati habbi ad inducerti.
CAM. E mi minaccia al fin, che ritrahendomi
D'andar a lei: vuol ella a me venirsene,
Et ch'io ne parli teco: che benissimo
Del tutto mi raguaglierai. FI. Che credi tù,
Ch'ella motteggi. Camillo cortissima-
Mente ti fo a saper, che la tua Emilia
E in tal voglia, che voglia: è in tal rabbia
D'esser teco, ch'infine si delibera
Questa prossima notte di fugirsene
Del letto del marito, e di venirsene
A ritrovarti in casa. CAM. Ahime: rimovila
Da tal pensier: che faria il maggior scandolo,
Ch'al mondo accader mai potessi a femina.
Pensati pur c'ho fatto oltra al possibile,
Ne ci seppi trovar altro rimedio,
Se non di darle la fe mia di poterli
Questa notte con lei: ch'io faro Cynthio
Dormire a la mia stantia sottospetie
Di farli certi bagni: li quali utili
Esser debbino a quella sua impotentia
Cosi vo, che vi vadi. CAM. Mi consigli tù
Cotesto. FIS. Tel consiglio; che disponerla
Cosi potrai, ch'aspetti anchora il termine
Di quattro giorni il piu, che con licentia
Del padre, e con satisfation, e gratia
De gli parenti, & amici legittimamente,

==>SEGUE

e con suo honor possa a te venirsene
CAM. E come: potrebbe essere, ch'andandovi
Io vi pericolassi. FIS. Non è dubbio:
Qual volta tu v'andassi non sapendolo
Io: ma con mia saputa securissimo
Andar vi puoi, come in la casa propria.
CAM. Come v'ho ad andare. FIS. Ho cento modi facili
Di mandarti sicur. Ti faro prendere
Forma s'io voglio, d'un Cane domestico,
O d'una Gatta, O che dirai vedendoti
Tramutar in un Topo, ch'è si piccolo.
Che, se in Ragno che, se in una Pulice:
Mutar ti posso insieme in quante spetie
Son di animali: e farti ancho riassumere
La propria forma, e mandarti invisibile.
Ma ascolta un poco. Trammutar volendoti
In Cane, o in Gatta: tu potresti cogliere
Qualche mazzata, e nel tempo piu commodo.
CAM. Ne Topo ancho, ne Ragno, ne Pulce essere
Voglio; che mi potrebbe troppo nuocere
Ogni piccol sinistro. FIS. Tu hai del provido.
CAM. Meglio sara, che mi mandi invisibile,
FIS. Trovar bisognarebbe una Elitropia
Et a salarla, & a metterla in ordine,
Come si debbe, havemo poco spatio.
Ben faro in guisa; che non ti vegghino
Mortal'occhi, ma vo che non ti vegghino
Gli occhi del Sol, che tutto 'l mondo veggono.
CAM. Dunque mi manderai pur invisibile.
FIS. Invisibile per certo ma dissimile-
Mente da quel, che pensi. CAM. Fammi intendere,
Il modo. FIS. In una cassa ti vo chiudere,
CAM. Chiudermi in una cassa. FIS. Di che dubiti;
Se ben ti chiudo in una cassa. Creditù,
Che quel ch'io fo, non sappia. Io daro a intendere
Che quella cassa sia piena di spiriti.
Si che non sara alcun, che d'appressarsegli
Ardisca quattro braccia, fuor ch'Emilia
E la sua Balia, che n'è consapevole.
CAM. Che poi ne seguira? FIS. Come in ca dormano
Gli altri; a te pian pian verrà la Balia?
Ti trarrà de la cassa, e a canto Emilia
Ti colchera. Tu stai si mesto, e timido;
Come se ti ponessi a gran pericolo.

==>SEGUE

CAM. Non ti par, che sia questo un gran pericolo?
FIS. Ahime dunque hai cosi poca fiducia?
Hor che mi val, ch'io t'ho fatto conoscere
Il gran ben ch'io ti voglio; e quel che possono
Li studi miei con tante esperientie.
CAM. Hor non potresti altrimenti, che inchiudermi
Entro una cassa, pormi con Emilia?
FIS. Sì potrei: ma non gia in si poco spatio.
CAM. Perche non far un' o doi giorni indugio.
FIS. Io per me d'indugiar son contentissimo
quando ti par; pur ch'indugiar Emilia
Volesse: ma non vol passare. Rendite
Certo di questa notte ritrovarlati
In casa. CAM. Prima che patirlo; vogliomi
Non solo in una cassa, ma rinchiudermi
Nel forno acceso. Hor su voglio, commettermi
A la tua fede. FI. Dimmi: la tua camera
Non riguarda a levante. CAM. Si fa. FI. E ottima
Per mio bisogno. Questa notte vogliomi,
Vegliar dentro, CAM. A che effetto. FI. Sol per leggere
Certe congiurationi potentissime
Per riparar; che non si possa accorgere
Alcun' di te: ma piacciati commettere
A li famigli tuoi, che m'obediscono;
Che tutti harro da porre in diversi opere.
CAM. Cosi faro. FI. Ma non harei da perdere
Tempo. Va trova una cassa, che commoda-
Mente capir vi possi: e in casa aspettami.
CAM. Vuoi altro. FI. Non altro voglio hora. NEB. Hor eccoti
Che levata una vivanda di tavola.
L'altra ne vien. FI. Venga pur, c'ho bon stomaco
Da manicarla. Hor pon da bere, e ascoltami.

SCENA IV.

Massimo, Fisico, Nebbio.

MAS. O maestro, a tempo ti veggio; Venivote
Appunto a ritrovar. FI. Et io te simile-
Mente volevo. MAS. Venia a farte intendere;
Che quanto a me si spetta, e tutto in ordine.
FI. Et io per sfogar teco un po di colera;
Che poco inanzi mi havea fatto in animo
Dio non mi voler piu in casa intromettere
De le tue. Poi mi è passata. MAS. Ove ingiuria

==>SEGUE

Hai da me ricevuta. FI. Per Dio Massimo
Comportar non potresti, che dicessino
Di me li tuoi di casa quel, che dicono;
Che dimandato ho il Vitel per mangiarlomi.
MAS. Chi ha cosi detto. FI. E i fiaschi per rubarteli.
MAS. Chi ha detto cotesto. FI. Ho havuto in guardia
La credenza, e il thesor del Re Catholico
Cento volte cosi, com'una; e temono,
Che dei fiaschi, che sei libbre non pesano,
Debbia far ch'io sia quel; che centomilia
Fiorini cento volte di farm'essere
Non hebbon forza mai. MAS. Dimmi di gratia
Chi ha parlato di te men c'honorevole-
Mente: ch'io mostraro. FI. Non fu mio offitio
Mai d'accusar alcuno. MAS. Che l'ingiuria
Tua piu mi spiace, che la mia medesima.
FI. Non piu lasciamo andar. Non voglio, c'habbino
Pero possanza le lingue malediche;
C'havendoti promesso, mi retraghino
Dal' attenerte. MAS. Fai maestro il debito:
De gli huomini da bene: e ten' ringratio.
Il vitel, che tu voi pel facrificio;
L'ho mandato a tor fora: e maravigliomi
Che non sia qui. Li fiaschi son' in ordine
Netti, belli, polliti. Tolli, e portali
Ove ti pare: s'altra cosa c'habbia
In casa, o che danar dar mi potessino
Voi da me per quest'opera; domandala:
E vedrai, se di te mi fido. FI. Ascoltani.
Ti vo ogni modo servir: ma servendoti:
Ben faro in guisa, ch'io non dia materia
A quelle lingue ribalde, che grachino
Ch'io ti cerco giuntare: e perche vegghino,
Ch'io non dimando il Vitel per mangiarlomi?
Voglio in casa tua far il sacrificio.
Cose vorro (Che molte ci bisognano)
Oltra queste c'ho detto: e non levandole
Di casa tua; non diran quel, che dicono.
M'incresce sol, che la cura di Cynthio
Vada piu in lungo: che, se i fiaschi fussino
Gia in casa mia: non saria oscura l'aria.
Ch'io gli harei consecrati in questa prossima
Mattina: e ti haverei mostrata l'opera.
MAS. Deh che non te li porti. Vien, e pigliali.

==>SEGUE



FIS. Anzi tu me li manda: ne il famiglio
Si parta fin che sacrati non siano.
MAS. Li mandaro. Tu poi tienli, e rimandali
Come ti par; e cosi il sacrificio
Fa in casa tua, o in la mia; ove piu acconcio
Ti vien. FIS. In casa tua farlo delibero:
Sì per quel, che t'ho detto, ch'è superfluo
A ridir piu: si anchora perche voglioti
Far con tue proprie orechie udir un spirito
Con favella chiarissima rispondermi;
Che cosa ti parrà bella, e mirabile.
MAS. Io ne havero piacer. FIS. Fra un'hora voglioti
Mandar altar; il qual farai riponere
Accanto al letto, ove li sposi dormeno,
Pero ch'egli ha virtu cosi mirabile
Stando quivi, di far ch'insieme s'amino;
Se ben fosse hor fra lor capital odio.
Verrò poi domattina, che sia il camicie
Fornito, a far in tua presentia l'opera.
MAS. A tuo piacer. FIS. Ma vo ch'abbi advertentia,
E ch'avvertischi tutti i tuoi domestici;
Che questo altar, che sia a similitudine
D'una cassa; per quanto la vita amano
Non ardiscan d'aprir, over di movere.
Un pazzo gia, che non mi volle credere;
Ardì toccar una mia cosa simile.
Dimanda a questo, che gli avvenne. MAS. Dìcalo.
NEB. Immantinente si vide tutto ardere.
FIS. Et arse in guisa, che non pur la cenere
Ne rimase. MAS. Hai ben fatto ad avvertirmene,
Chi la toccassi a caso non sapendolo.
FIS. Pur che non l'apra, il toccar non puo nocere.
MAS. Chi la volesse aprir; ben temerario
Saria. Dunque farò noto il pericolo
Alli mei tutti; accio che se ne guardino.
FIS. Io tornero a l'albergo, e mandaroloti
Per costui. Falla por con diligentia.
MAS. Io non mi partiro di casa: mandala
Pure serrarla faro nella camera
Di Cynthio: io stesso li faro la guardia.




SCENA V.

Nebbio, Fisico.

NEB. Cotesto è un gran mescuglio. Hora che pensi tù
Di far. FIS. Tosar ad una ad una, e mungere
Queste pecore, c'hanno il velo: chi aureo,
Chi d'ariento. Prima i falchi a Massimo
Torrò, e settantatre fiorini a Cynthio.
Camillo lasciero piu d'una bambola
Di specchio netto. Io mi vo in la sua camera
Serrar tosto, che fuor haro inviatolo
Chiuso in la cassa, e tutti posti in opera
Li sui famigli si, che non mi guardino
Mentre che casse, forcieri, & armarij
Andero aprendo, e rompendo e trahendone
E veste, panni fini: e cio che serbano:
Che so che vi è del ben di Dio gran copia.
E cio che vi sara di buono: voglioti
Acconciamente a uno spago attacatolo
Far giu dalla finestra in la via scendere;
E tu a l'albergo ad uno ad uno accomoda-
Mente lo porta: e su fatt'un agevole
Soma: c'havemo a far, se non andarsene,
Perche Carsagna in Levante ben carichi.
Camillo intanto nella cassa tacito
La Balia indarno aspettando, ch'a trarnelo
Venga: al partir ne dara spatio e commodo:
Né Massimo potra, ne potra Cynthio
De la nostra levata prima accorgersi;
Ch'a villa franca saremo. NEB. Che pensitù
Che sara di Camillo. FI. Io lo do al Diavolo.
Sara trovato in la cassa certissima-
Mente: e preso per ladro, o per adultero:
Che quando a trarlo anchor non vadi Cynthio,
Converrà pur che sbucchi: se morirsene
Non si vorra di fame: e quanto scandolo
Sara maggior la confusion, lo strepito,
Tanto la fuga nostra sia piu facile,
Ma andiamo a ritrovarlo, & a rinchiudere
Pur nella cassa. NEB. Va là ch'io ti seguito.



ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Cambio, Themolo.

CAM. Sta pur securo: ch'io non son per dargliene
Uno, se prima no'l veggio far opera
Degna della mercede: ma ecco Themolo.
THE. Ben ti apponesti, che fu mal consiglio,
Che demmo a Cynthio: che scoprissi al Fisico
Li suoi secreti. CAM. Non volevi credermi.
Che ci è di nuovo. THE. ch'ad altro il perfido
Non attende, ch'a farli levar l'animo
Da la nostra Lavinia: e tutto volgerlo
A questa altra. E partendosi hor da Massimo
Gli ha detto di mandar, o cassa, o armario:
Certo Altare incatato, che se ponere
Lo fara apresso, ove li sposi dormeno,
Hara forza di far, ch'insieme s'amino,
Se ben fusse tra lor capital odio.
CAM. Quando disse mandarlo. THE. Maravigliomi,
Che non sie qui. Disse mandarlo subito
Che fusse a casa. CAM. Egli v'ha senza dubbio
Ingannati. Ah rubaldo. THE. Ribaldissimo.
CAM. Ma altretanto noi sciochi; ch'aperto la
Strada gli havemo, ove ne viene a nuocere;
La qual non era per trovar, s'havessimo
Noi saputo tacer. TR. Hor non havendola
Taciuta, che faremo. CAM. Trovar Cynthio
Bisogna, & avvertirlone. Che Diavolo
So io: ma dimmi, è in casa. TH. Non. CAM. Saprestimi
Insegnar dove sia. TH. No. CAM. Pur bisognano
Trovarlo, ovunque sia; perche Lavinia
Venga a chetar, che non fa se non piangere
Si che parmi, ch'a strugger si habbi in lachrime:
Et io ne son ben stato causa havendoli
Hoggi detto, c'havea timor del Fisico;
Che non faccia con qualche sua diabolica
Opra levar da lei l'amor di Cynthio.
TH. Ah, tu faresti mal. Ritorna; e levale
Questo timor: che non c'è quel pericolo,
Che l'hai depinto. CAM. Le bisogna altr'opera
Che la mia. Fin, ch'ella non vede Cynthio,
Non è per confortarsi. TH. Dunque trovalo.

==>SEGUE



Andaro in piazza. TH. Va. Sarebbe facile,
Che tu l'havessi. Tu non odi: ascoltami.
Meglio potresti trovarlo trahendoti
Verso l'albergo, ove il Negromante habita;
Che deve esser con lui. Ma dove torni tù
Con tanta fretta. CAM. O, che la cassa arrecano;
C'hai detto, TH. Ove e. CAM. Vien ove io son e vedila
TH. Chi la porta. CAM. Un facchino. TH. Solo. CAM. Il familio
Del Fisico ha pur seco. TH. Evvi ancho il Fisico?
CAM. Non c'è. TH. Il Fisico non c'è? CAM. Non c'è dicoti
TH. Lascia far dunque a me. CAM. Che voi far? TH. Eccoli
Avvertisci a rispondermi a proposito.
CAM. Che ditu; ma con chi parlo? ove Domine
corre costui? perche da me si subito
S'è dileguato? Io credo, che farnetichi.



SCENA II.

Themolo, Cambio, Nebbio, Facchino,

TH. O terra scelerata. CAM. Che Diavolo
Grida costui? TH. Non ci si puo piu vivere.
Tutta è piena di traditor. CAM. Che credi tù.
E assassini. CAM. Chi t'ha offeso . TH. Eh povero
Gentil'huomo CAM. Par, che tu sia. TH. O Cambio
Gran pietà. CAM. Che pietà. O caso horribile
Non mi ho potuto ritener da piangere
Dì compassion. CAM. Di chi. TH. Ahime, d'un pover
Forestier; c'ho veduto hor hora incidere.
D'una crudel coltellata, che datagli
Da un traditor fu la testa; che in volgersi
D'un canton, l'attendea. CAM. Che hai tu a curartene.
TH. Io li havea posto amor: perche domestico
Era di ca, da bene; E cognosciutolo
L'hai tu. CAM. Che ne so io, se pria nol nomini.
TH. E quello Spagnuol dotto; che di Astrologo
Fa profession, che noi chiamamo il Fisico.
NEB. Misero me, che parli tu del Fisico?
TH. Io non t'havea anchor scorto: non eri tù
Suo servitor: il tuo padrone pessima-
Mente è stato ferito: credo morto lo
Habbia un rubaldo; il qual l'attendea al volgere
D'un canto. NEB. Ahime. TH. Drieto il capo gravissimo
E il colpo, ognun vi corre. NEB. Ah per Dio insegnami
Ove è. TH. Va drieto tu fin in Piugagnolo;
Fin al canton. Ivi a man manca volgiti.
Corri, e corri. Quando sei a San Domenico;
Volta a man destra; e fa, ch'alcun ti mostrino
La via d'andar a l'hostaria del Buffolo.
Ma che voglio insegnar? non è possibile
Errar. va drieto a gli altri. Grandi e piccoli
Vi corron tutti. NEB. O Dio. TH. Non posso credere
Che'l truovi vivo. FAC. E dove ho io da mettere
La cassa. NEB. O Mastro Lachellino misero,
Ben te lo predicevo io. CAM. Che farnetichi?
Dove in si poco tempo; che levatomi
Sei da lato hai sognato queste favole?
FAC. Vadi a sua posta. Non li voglio correre
Gia drieto: almen sapess'io dove habita
Costui. Scordato m'è, come si nomini.


==>SEGUE



THE. Ricordarotel'io, che'l so, Di Massimo
E cotesta. Ecco l'uscio. Là ti scarica.
FAC. Massimo ben mi disse vieni; e mostrami,
Dove l'ho a por. TH. Questo è di casa. Mostrali
Tu dove il padron disse nella Camera
Di sopra, acanto il letto di Lavinia.
CAM. Di Lavinia. TH. Dovresti pur intendermi.
CAM. T'ho inteso. TH. Paga poi quest'huomo & mandalo
Via: ch'io voglio provar di trovar Cynthio.


SCENA III.

Cynthio, Themolo, Cambio.

CYN. So ito a ritrovarlo: & ho riscontrolo.
Ei da me non si pensi haver un picciolo,
Fin che di questi affanni non mi ha libero:
Ma trovo finalmente; che rimedio
Altro non ci è, che far ch'Emilia adultera
Paia. TH. Ma eccol per Dio. CYN. Darmi ad intender
Pur vuol: che potra poi la cosa facile-
Mente quadrar: si che nissuna infamia
Ne verrà. Io sto confuso: ne risolvermi
So di quel, c'habbi a far. TH. Sempre a nasconderti
Vai; quando a piu bisogno te voressimo
CYN. Che bisogni son questi. TH. Se Lavinia
Non corri presto a consolar; io dubito,
Che la trovi poi morta. CYN. Ah, dimmi Themolo;
Che l'è accaduto. TH. Ha tal timor la misera;
Che questo Negromante con malefica
Arte ti faccia mutar di proposito;
Ch'ella si strugge; e un svenimento d'animo
L'è venuto. CYN. N'ho tema. TH. Sta malissimo.
CYN. Io vo a lei. TH. Va per tua fe. CAM. T'ha Cynthio
Detto costui, come Lavinia. CYN. Hor eccomi.

SCENA IV.

Cambio, Themolo, Facchino.

CAM. Non si ha potuto rimedio a un si subito
Caso trovar. TH. Paga il Facchino, e mandalo
Via: e mandalo ben lontano; e subito.
CAM. Te. Questo è un soldo. Fammi ancho servitio.
FAC. Che vuoi tu. CAM. Va a le gratie, e di al Vicario:
Ch'io te li mando a tor' quei fiaschi d'olio,
Di che hieri li parlai. FAC. Vi son doi milia.
CAM. Se ve ne fusse sei. Vuoi se non essere
Pagato. FAC. Da cui parte l'ho io a chiedere:
CAM. Chiedel da parte del fratel di Massimo.
FAC. Io vo. CAM. Va si lontan; che non mi capiti
Mai piu innanzi. Hor vedrai, che se far utile.
Questa cassa intantata. E beneficio
A donna deve; à cui letto si approssima;
Che faren farlo a la nostra Lavinia,
Non come volea il Fisico ad Emilia.
Tu parli ben: ma vuoi, ch'io ti consigli.
TH. Anco meglio. CAM. Si ben. TH. Vieni: e faciamola
In pezzi: e sott'un Cesso sotteriamola,
O bruggiamla: piu presto, che non odano
Mai piu novella; e s'avvien che ritornino
Qui col Facchino, e vogliano repeterla;
Gagliardamente tu possi rispondere,
Che 'l Facchin mente; e non sa che si dichino;
Et aprir loro gli usci, che la cerchino
Per tutto. CAM. Noi si poremo a pericolo
Di rovinar la cassa: che certissimo
Sono, che tutta sia piena di spiriti.
TH. Tu anchor dai fede a tal sciochezza, o semplice
Huom. Sopra di me sia tutto il pericolo.
Dammi una accetta, io ti faro li spiriti
Volar infime cton le schiegge in aria.
Ma ecco, che torna il famiglio del Fisico.
Me non corrà gia qui. Dalli tu Cambio
A manicar qualch'altra ciancia, e spingilo
Via. Io voglio andar di sopra: e mi delibero
Di far piu che la cassa mai non trovino.



SCENA V.

Nebbio, Cambio.

NEB. Che huomini hoggi al mondo si ritrovino;
Che si dilettan senza alcun lor utile
Di dar tutta via a questo e a quel molestia
Ma io babbion. Che mi credevo d'essere
Il Maestro di dar la baia; e trovuomi
Non esser buon discepolo (che correre
Si sconciamente m'ha fatto una bestia:
Io me n'andavo, quanto piu potevano
Andar i piedi; e con grido, e con gemito
Adimandavo quanti ne incontravano
Del luogo ove ferito, e morto il misero
Mio padrone giacessi: & ecco sentomi
Da la tua voce richiamar: e volgomi;
E lui vegg'io, cosi ben sano & integro;
Com'io havea lasciato; che m'interroga,
S'havevo fatto la cassa riponere.
Per allegrezza io non potei risponderli.
Pur finalmente in me tornato contoli
Quel, ch'un ghiotton m'havea dato ad intendere.
Egli per questo con scorno grandissimo
(Del qual era ben degno) ha ricacciatomi
A cercar della cassa; ch'in la publica
Strada ho lasciata con poca avvertentia:
Ne mi sovenne dir al Facchin, portala
In la casa di Massimo. Pur volgomi
Intorno, e non la so veder. U Diavolo
Potra egli essere andato: ma informarmene
Sapra credo costui. Ch'è di quel giovane.
Che m'ha dato la corsa. CAM. Non deve esserti
Maraviglia; perche tener è solito
In stalla Barbareschi, e fargli correre.
E veramente t'hara tolto in cambio
D'un Cavallo. NEB. In buon'hora. Haro da renderli
Forse una volta anch'io questo servitio.
Ma del Facchin; che costi lascia il carico,
Mi sai tu dir novella. CAM. Un pezzo in dubbio
Stette, ove la cassa havesse a mettere.
Poi si risolse infine andarla a mettere
In Dogana; & andovi. NEB. Ah Facchin' Asino,
Indiscreto; Poltrone. CAM. Ben potrai giungerlo,
Se corri un poco. Corri pur, che 'l palio
Ben sara tuo: ma non è quello Abondio?
Quanti ducati ha questo vecchio misero.


SCENA VI.

Abondio, Cambio, Camillo.

AB. M'incresce piu, ch'io veggo in bocca al popolo
Questa cosa; che d'alcun' altro incommodo,
Che ci possa accader: e ho da dolermene
Con Massimo, il quale è stato potissima
Cagion, che se ne fanno i cerchi in publico.
E certo il sciocho trovera herbolatichi,
E incantatori: e fa una solennissima
Pazzia, ch'appena i fanciulli farebbono.
CAMB. T'havessi pur in prigion, che sei milia.
Fiorini harei da te prima, che fussero.
Ma che rumor è questo; o Dio che strepito
Io sento. Rovinato m'hara Themolo;
Il qual la casa m'ha piena di spiriti.
Chi è questo fante, che un farsetto sgombera
Con tanta fretta: e Camillo. Che batticha
Egli qui. Dio m'aiuti. Quando Domine
Entrò qua dentro. CAMI. O caso spaventevole,
O pericolo grande, o gran pericolo
A che son stato qua su. Di chi debbomi
Fidar mai piu, se quei; che beneficio
Hanno da me ricevuto, e ricevono
Tutta via. CAMB. Che grida egli. CAMI. Mi tradiscono.
Bonta divina: che tanta ignominia,
Che tanto mal non hai lasciato incorrere.
O giustitia di Dio, che fatto intendere
Tal cosa m'hai, che non mi dè rincrescere:
Per saper ch'io sia stato a gran pericolo
Di lasciarci hoggi la vita. CAMB. M'imagino,
Ch'alcuna gran novita n'ha da opprimere,
CAMI. Ma da chi potro haver hor hora imprestito,
Da pormi almen in sul farsetto, un piccolo
Mantellino, per ire a trovar subito
Abondio. AB. Chi è quel, che là mi nomina.
CAMI. E farli intender di lui il preterito
Scorno, e de la figliuola ad ignominia
Di casa sua, AB. Dio mi aiuti. CAMI. Cercavano
Di far questi ribaldi. AB. Mi par essere
Camillo poco sale. E d'esso. CAMI. Abondio,
Non volea altro, che te. CAMB. Non puo nascere
Altro, che qualche danno & infortunio.
AB. Io ti veggio cosi in farsetto in ordine

==>SEGUE



Per giuocar forsi alla palla. Provedite
Pur d'un'altro che sia a questo essercitio
Meglior di me: ch'io non ci son molt'agile.
CAMI. Non per giuocur teco alla palla Abondio
Vengo a te, ma si ben per farti intendere,
Che sei balzato piu che palla: E giuocano
Del tuo honor a gran poste, e di tua figlia.
Sappi, ch'in quella casa il tuo buon genero
Ha un'altra moglie. Ma per Dio trahemoci
In una casa di queste piu prossime
Ch'io mi vergogno d'apparir in publico
Cosi spogliato. AB. Andiam qui in ca di Massimo.
CAMI. Piu presto in casa vo, ch'andiam di Massimo,
Che d'alcun'altro, e ch'egli m'oda. CAMB. Themolo
Themolo, hor presto va lor' drieto: e sforzati
D'udir di che Camillo si ramarica.
TH. Aspetta aspetta: che fuor esce Cynthio;

SCENA VII.

Cambio, Cynthio, Themolo.

CAMB. Cynthio che cosa è questa? come Diavolo
Era costui qua dentro. CYN. Appunto il Diavolo
Te l'ha portato: ma chi ha fatto mettere
Una cassa qua su; ch'era dat'ordine,
Che fusse messa in casa nostra. CAMB. Themolo,
Et io ce l'abbiam fatta hor hora mettere.
CYN. E tu, e Themolo hor hora rovinatomi
Hauete; e le mie spemi, e di Lavinia
Sostenute fin qui tanto difficile-
Mente, havete sospinto in precipitio.
Perche l'havete voi fatto. CAMB. Per rompere
Al Fisico il disegno; che certissimi
Siam, che col mezzo di tal cassa studia
Di tradirti. CYN. Perche almeno non dirmene
Una parola, e non lasciarmi incorrere
In tanto error? Son da voi, non dal Fisico
Tradito. In la cassa stava un giovane
Nascosto; il qual ho inteso hoggi per opera
Si come tutta egli ha detta per ordine
A Lavinia una trama, che sapendosi
Come si fa; son per Dio giunto al termine,
Che mi saria meglio esser morto. Hor ditemi

==>SEGUE



Dove è andato Camillo questo giovane;
Che de qui è uscito, accio che supplicandolo,
Donandoli, offerendoli, e facendomi
Suo schiavo eterno; lo venga ad movere
A pietà di miei casi; si che tacito
Stia di quel c'ha sentito: ma impossibile
Sara a placarlo, che d'havermi in odio
Ha caggion troppo giusta. CAMB. Sarai (renditi
Certo) tardato troppo. Perche Abondio
E nel saltar fuor di casa venutoli
Ne i piedi: il qual, come potea sommaria-
Mente (ch'appena lo lasciava esprimere
Parola adrieto la stizza e la collera)
Ha contato ogni cosa. CYN. Non è misero
Huomo al mondo, col qual non cangiassi essere.
Tosto, che 'l vecchio il sa (ch'è necessario
Che lo sappia di botto); o Dio a che termine
Mi trovo. CAMB. Fa pur conto, ch'egli il sappia:
Ch'a lui Camillo drittamente e Abondio
Son iti, e fenza dubio gia narratoli
Hanno il tutto. CYN. Son iti insieme a Massimo
In tutto io son spacciato. Io son morto. Apriti
Apriti per Dio Terra, e sepellissemi.
CAMB. Non ti disperar Cynthio: ma ricogliti
In te medesimo; e pensa, e ben considera,
S'alcuna provision, s'alcun rimedio
Si puo far qui. CYN. Ne prender, ne trovarsici
Altro rimedio so, che di fugirmene
Tanto lontano: che gia mai piu Massimo
Non mi riveggia. Aspettar la sua collera
Non voglio. a Dio. Ti raccomando Cambio
La mia Lavinia. CAMB. Ah pusillanimo
Dove vai tu? Se n'è andato. Hora Themolo
Va in casa, e diligentemente informati
Di tutto quel che accade, e riferiscimi.
TH. Cosi faro. Tu costì dentro aspettami.



ATTO QUINTO.

SCENA Prima.

Massimo, Camillo, Abondio.

MAS. S'io trovo che sia ver; ne faro (statevi
Securi) tal demostration, che accorgervi
Potrete che m'incresce, e ch'io non reputi
Meno esser fatto a me, ch'a voi l'ingiuria.
CAM. Se trovi, che non sia cosi; mi publica
Pel piu tristo, pel piu maligno, & invido
Huom, che sia al mondo. AB. Se non fusse; credimi
Piu che vero. Io cognosco costui giovane
Di sorte, che non sapria imaginarlosi,
Non che dirlo. La qual cosa delibero
Che non resti impunita: né passarlami
Vo cosi leggiermente. MAS. Aspetta Abondio.
Non voler per tua fe correre a furia
Informiamoci meglio. CAM. Onde informarcene
Meglio puo; che da me, che con le proprie
Orecchie ho udito, & ho con gli occhi proprij
Veduto, ch'in questa casa ha il tuo Cynthio
E mogliere, e figliuoli. MAS. Io vo chiarirmene
Un poco meglio. CAM. Intramo dentro. Menami
Al paragone: e se truovi, che ci habbia
Piu della verita giunto una minima
Parola; io ti consento, e do licentia
Che mi traggia la lingua, gli occhi, e l'anima.
MAS. Andiamo. AB. Andiamo. MAS. Andiam' tutti, chiarimoci
Affatto. Deh restate voi. Lasciatemi
Andarci solo; e non si facci strepito,
Ne piu di quel, che sia, la cosa publica:
Non procacciam noi stessi l'ignominia
Nostra. AB. Tu adunque va prima. Poi chiamaci
Quando ti par. MAS. Cosi faro. Aspettatemi.

SCENA II.

Nebbio, Abondio, Camillo.

NEB. Credo, che tolto per una pallotola
Da Magho questi ghiottoni hoggi m'habbino:
Che l'un con una ciancia percotendomi
Mi caccia a un colpo fin a san Domenico,
AB. Fu gran pazzia la tua lasciarti chiudere

==>SEGUE



In una cassa: e messo a gran pericolo
Ti sei per certo. NEB. Io torno: e trovo in ordine
L'altro con l'altra ciancia. CAM. Resto attonito
Di me medesimo, tutta via pensandoci.
NEB. Che sta alla posta; e mena, e fa ch'io sdruciolo
Fin in Doana. A quest'altra mi spingono
Fuor della porta. CAM. Veramente Abondio
Non voglio attribuirlo, si al mio essere
Sciocco, com'al voler di Dio; ch'accorgere
N'ha fatto per tal mezzo delle insidie
Le quali ad ambidui noi s'intendevamo.
Ecco un di quel, che m'havean fatto chiudere
Nella cassa, e tua figlia, e me tradivano.
NEB, Non so dove io mi torni: ma ecco il giovane;
Che v'era dentro serrato. Io mi dubito,
Che per Dio harem fatto qualche scandalo.
CAM. Ah giotton, barro, traditor, e perfido
E tu, e tuo padron; cosi si trattano
Quei, ch'alla fede vostra si commetteno?
NEB. Ne io, nel padron mio mai se non utile
Ti facemmo, e piacer. CAM. Piacer e utile
Grande vi saria stato, succedendovi
D'havermi fatto com'un ladro, prendere
Di notte in casa altrui. ABON. Lhonesta giovane
Non havete rossor; ne conscientia
Scelerati di far parer adultera,
E alle famiglie dar de gentilhuomini
Con vostre fraude nota & ignominia?
NEB. Parla con lui, che ti sapra rispondere.
CAM. Gli parlero chiarissimo, e ben se vera-
Mente: ma altrove e vi fara rispondere
La fune e questa, e vostre altre mal'opere.
NEB. Potete dir quel, che vi par: ma offitio
Non è gia vostro, ne di gentil'huomini
Di dir, o far a forestieri ingiuria:
E 'l mio padron ben sara buono a rendervi
Conto di se: sara buono. ABON. Deh lascialo
Senza risponderli altro. CAM. Hora col Diavolo
Va ladroncello. Va alle forche; e impicchati.
AB. Lascial'andar, e non intrar piu in collera
Homai ci dovrai dentro chiamar Massimo
E forse è questo, non è gia. Con ch'impeto
Escie costui. Par tutto pien di gaudio.

SCENA III.

Themolo, Abondio, Camillo, Massimo.

THE. O ventura mia grande, fortuna ottima;
Come tanta paura, e tanta horribile
Tempesta in si sicura, & in si placida
Quiete hai rivoltata cosi subito.
AB. Perche è costui si allegro. TH. Dove correre,
Dove volar debb'io per trovar Cynthio?
AB. Ch'esser puo questo. CAM. Io non so. TH. Ch'io gl'annuntij
Il maggior gaudio la maggior letitia;
Che possa haver. AB. Che fia. TH. La sua Lavinia
Ritrovando figliuola esser di Massimo.
CAM. Hai tu inteso. AB. Si. Come puo essere?
TH. Ma che cess'io d'andare a trovar Cynthio.
AB. Moglie non hebbe egli mai, ch'io sappia.
CAM. S'hanno de figliuoli ancho d'altre femine;
Che non son moglie: ma ecco lui, ch'ntendere
Ve fara il tutto. Ritrovato hai Massimo.
Ch'io sia buggiardo. MAS. Non per Dio. Ascoltami.
Tu caro Abondio, io ti priego, io ti supplico
Pel tuo gentil, cortese, e benign'animo,
Per la nostra antiquissima amicitia;
Che tu perdoni à Cynthio mio l'ingiuria,
Che t'ha fatto gravissima, & escusilo
L'etade, e i rei consigli delli pessimi.
AB. Ti sei chiarito insomma, che 'l tuo Cynthio
Si truova un'altra moglie. CAM. Chi ne dubita.
MAS. A la temerita non piu del giovane
Si deve attribuir; ch'all'infallibile
Divina providentia, ch'a principio
Cosi determinò, c'havesse ad essere:
Che senza questo mezzo per cognoscere
Non ero mai mia figliuola; che piccola
Di quattr'anni perduto havea; e gia dodici
Ne sono, che di lei novella intendere
Non ho potuto. Hor dove piu offendermi
Temete Cynthio, senza mia licentia
Togliendo moglie, si trova grandissimo
Piacer havermi fatto; che ne elegermi
Havrei potuto mai piu caro genero
Di lui, ne a lui potuto harei dar femina,
Che gli fusse piu grata di mia figlia.
Hor solamente il tuo interesse o Abondio
Contamina e disturba; che 'l mio gaudio

==>SEGUE



Non è compiuto: ma se senza ingiuria
Alcuna tua fusse accaduto; renditi
Certo, che mi saria quanta letitia
Esser in questo mondo sia possibile.
E s'io potro da te impetrar; che toleri
Il mio contento, e non ti vogli opponere
A quel, ch'è a Dio piaciuto che ritogliere
Ti vogli tua figliuola cosi vergine,
Com'è venuta a noi, qual ti sia facile
Rimaritar a giovane honorevole;
Quanto sia il nostro e ricco; Io me ti profero
Sempre con cio c'ho al mondo paratissimo
AB. Se fin da pueritia sempre Massimo
Io t'ho portato amor, e riverentia;
Non voglio, ch'altri mi sin tenimonij
Che tu: se io t'amo al presente el medesimo
Son verso te, ch'io soglio; Dio lo giudichi,
A cui sol non si puo nasconder l'animo:
Ma che non mi rencresca, che dissolvere
Io veggia questo matrimonio; e Emilia
Tornarmi cosi a casa, non puo essere:
Ch'anchor ch'in Cynthio e in lei non puo ignominia
Iustamente accader; pur fia materia
Data al vulgo di far d'essa una favola.
Il che a rimaritarla sia un ostacolo
Maggior che non ti par. MAS. Eccoti il genero
Apparecchiato qui; ch'è bello, e nobile
E ricco, e costumato; e da ben giovane;
Che l'ama piu, che se stesso: e desidera
D'haverla. Hor dove meglio poi tu metterla?
CAM. Cotesta bocca sia da Dio in perpetuo
Benedetta. AB. Dica egli: & io rispondere
Sapro al suo detto. CAM. Io l'haveuo di gratia.
Cosi con tutto il cor ti prego, e supplico;
Che tu me la conceda con buon animo.
AB. Et io te la prometto. CAM. Io per legittima
Moglie l'accetto. MAS. Dio conduca, e prosperi
Senza mai lite haverci; il matrimonio.
CAM. Siam d'acordo. AB. Dacordo. CAM. D'acordissimo.
AB. Hor se ti piace, fa ch'io intenda Massimo,
Che figlia è questa tua; dove ella e dodici
Anni è stata nascosta; e con che inditio
Venuto hoggi ne sei cosi a notitia.
MAS. Tel diro; se m'ascolti. AB. A questo offitio
Anchor l'orecchie volentier t'accomodo.

==>SEGUE



MAS. Quando i Venitiani prima tolsero
Cremona al Moro; e a me per bando publico,
Credendo che tenuto havessi pratica
Di dar la rocca a li Tedeschi: posero
Taglia sù la persona di tre milia
Fiorini. Sai ch'io fuggì; e fin che suddita
Fu lor la terra; non si pote intendere,
Che di me fusse. In quel tempo in Calavria
M'ero ridotto in una terra publica:
Dove per piu mia segurtade, in humile
Habito, e solo nominar facendomi
Anastagio; e di patria anchor fingendomi
Alessandrino mi nascosi. Hor standomi,
Domestichezza presi d'una vedova
Di quella terra, a tal; che parte amandola,
Parte, perche star solo è rincrescevole:
Parte, per haver case e masseritie,
Tolsi per moglie, ingravidalla: e nacquemi
Questa fanciulla. Quivi stetti tacito
Fin che da molte parti nove vennero
Delli Francesi; che si apparechiavano
Pronti, e con la Chiesa, e con l'Imperio
Di torre a Venitiani il suo Dominio.
Io per trovarmi a racquistar la patria
Ne volendo per cio (quando venisseno
Le cose avverse) havermi chiuso l'andito
Di tornar a nascondermi; a Ginevera
Che Ginevra, mia moglie nominavassi
Dissi, che ritornavo in Alessandria
Per certe hereditati mie ripetere?
Ch'alcuni mei parenti mi occupavano:
E che quando i disegni miei sortissero
L'effetto, ch'io speravo; havevo in animo
Che piu mia stanza non fussi in Calavria:
O che lei verrei a torre, o fidatissime
Persone mandarei; che la menassero:
Ma quando havesse con altro a venirsene
Che me; in contrasegno un anel divido
In doi parte, & a lei la metà lascione,
La metà meco là porto; e commettole:
Che non venendo il contrasegno; a muovere
Non s'habbia. Io venni in qua; ma piu allungandosi
Ch'io non pensai le cose; piu di quindici
Mesi passaro prima, che prendessero
Forma i miei fatti. Poi, ch'al fin la presero;

==>SEGUE



Mandar non volsi alcun'altro; ma io proprio
Per menarla in qua meco andai in Calavria:
Et ritrovai; c'havendo ella oltra il termine
Aspettato sei mesi, ne vedendomi,
Ne di me havendo nuova; come femina
Che piu che ragion, segue un desiderio;
S'era posta a seguirmi, fatto vendere
Prima la casa; e quel, che mal agevol-
Mente potea condurre, e l'altro mobile
Su tre Somieri, o quattro havendo carico,
Udendo questo; in fretta, & a grandissime
Giornate mi condussi in Alessandria:
E quivi ritrovai, che con la piccola
Figlia era stata; e che d'un Anastagio
Havea molto cercato; ne notitia
Alcuna, ne alcun'orme havendo havutone,
Ne cognoscendovi persona; postasi
Era in fretta a tornar verso Calavria.
Io ritornai di nuovo: e messi, e lettere
Mandai, e rimandai fenza alcun numero
Credo per tutta Italia: ne mai in dodici
Anni ho potuto haverne alcun vestigio.
Hor essendo qua dentro per intendere
Questa pratica andato con gran collera
Et mal viso, e parole minaccievole,
La vecchia a i pie gittomisi. Habbi Massimo
(Disse) di lei pietà; che non d'ignobile
Gente, come ti dai forsi ad intendere;
Ma di madre, e di padre gentil'huomini
E nata. Io ricordando la sua origine
Intendo, che 'l suo padre fu Anastagio
Nomato; il qual venuto d'Alessandria
Havea habitato alcun tempo in Calavria;
Et quivi tolto moglie. AB. Tu sei Massimo
Prudente. Pur ti vo ricordar; ch'essere
Qui potria inganno: che costei da Cynthio
Havendo intesa questa historia, fingere
Si volesse tua figlia. MAS. E come Cynthio
Il puo saper: che piu mai una minima
Parola, se non hor, lasciato ho uscirmene
Di bocca. Non fu mai con piu silentio
Altra cosa celata; che gran carico
Riputace haver moglie, e non intendere
Ove ella fusse. Altri parecchi inditij
V'ho senza questi, Una corona di Hebbano

==>SEGUE



Ricognosciuta le ho al collo: e mostratomi
Ella poi, collanuzze, anella e simili
Cose, che for di sua madre, & donatole
Io le haveva. Ma che voi meglio; ecco datomi
Ha il contrasegno. Questo mi è bastevole,
Quando non ci fusse altro. Ma l'effigie,
C'ha dalla madre, ancho me ne certifica,
AB. Ch'è della madre. Te ne fa ella rendere
Conto. MAS. Si ben. Ma piu quell'altri dicono,
Che tornando la madre di Calavria,
S'era infermata a Firenze, ove Fatio
(Il qual marito fu di questa vedova)
L'havea albergata, e v'era giunta al termine
Delli suoi affanni: e lasciò lor la piccola
Fanciulla: e cosi poi se l'allevarono,
Come lor figlia: ch'altra non havevano.
E le leuorno il nome, ch'era Candida:
Et la chiamaron Lavinia, a memoria
D'una lor (credo m'habiano detto) Avola.
AB. D'ogni contento tuo son contentissimo.
CAM. Et io similmente. MAS. Io ve ringratio.
CAM. Noi che faremo. AB. A tuo piacer Emilia
Potrai sposar. CAM. E perche non concludere
Presto quel, che s'ha a far. MAS. Ben dice, sposila
Hora. AB. Sposila, andiamo. CAM. Andiam di gratia.
MAS. Non apettate ò la: che torni Cynthio,
Che per l'uscio di drieto è intrato tacito
In casa. E chi del Negromante intender
Vuole; gli corra drieto: ma spediscasi:
Che va, che par, che se lo porti il Diavolo.
A Dio benigni guardatori. Fatene
Con alcun segno d'allegrezza intendere,
Che piaciuta vi sia la nostra fabula.






In Vinegia per Nicola d' Aristotile detto Zoppino.
M. D. XXXV.