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Giovanni Meli - ODI
Prima parte





























































GIOVANNI MELI
Commento di
Francesco Coppola
(Ricercatore I.R.R.E. Sicilia)



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Facendo un salto di alcuni secoli vorrei soffermare la mia attenzione su Giovanni Meli, uno dei poeti più interessanti della nostra tradizione letteraria, l’opera che ci ha lasciato dimostra la sua vastissima cultura; egli è conosciuto soprattutto per “La Buccolica” e le “Favuli Morali”, ma è autore anche di “Odi” oltre che di vari altri componimenti, e proprio in questa raccolta, forse poco organica e senza un filo conduttore, si trovano alcuni gioielli che è il caso di analizzare.
Vorrei partire da “Lu labbru”, un componimento di estrema eleganza formale che si trova spesso citato come uno degli esempi più significativi della musa meliana. Qui non potrei proprio parlare di simbolismo floreale, qui il fiore è utilizzato in senso proprio, non è metafora di altro. Ma leggiamo qualche verso: Dimmi, dimmi, apuzza nica,/ Unni vai cussì matinu?/ Nun cc’è cima chi arrussica/ Di lu munti a nui vicinu:/ Trema ancora, ancora luci/ La ruggiada ‘ntra li prati:/ Duna accura nun ti arruci/ L’ali d’oru dilicati!/ Li sciuriddi durmigghiusi, ‘Ntra li virdi soi bottuni, Stannu ancora stritti e chiusi/ Cu li testi appinnuluni./... (Odi, 6). Nel prosieguo dell’ode il poeta dà indicazioni all’ape su dove posarsi per trovare il miele più dolce, naturalmente sulle labbra della sua amata Nicia. Ma per quel che ci interessa, vorrei far notare l’estrema delicatezza di questi fiorellini addormentati, coi boccioli serrati, con le loro corolle ancora chiuse e la testa reclinata; sembra quasi si stia parlando di bambini che dormono. Questi versi rappresentano forse il culmine della poesia meliana!
Il componimento e altri due che ora affronterò fanno parte di una più ampia corona poetica che ha come oggetto la donna amata dal Meli, i componimenti esaltano le varie parti fisiche della donna o alcuni suoi aspetti, focalizzando un particolare, per es. “La Vuci”, “L’Alitu”, “Lu Neu”, il poeta usa una tecnica molto simile a quella della macrofotografia: un particolare ingrandito fa perdere la percezione del tutto e rende l’oggetto focalizzato come un piccolo mondo a sé. Questa poesia del particolare opera una sorta di trasfigurazione che toglie all’oggetto quasi la sua consistenza reale.
“Lu Pettu” è un'altra prova degna d’interesse, composta nel 1777, fu ispirata da donna Mela Cutelli (cui è dedicata anche “L’occhi”). Il titolo forse non è molto indicativo, dal momento che nel componimento si parla piuttosto del velo che impedirebbe al poeta di vedere le delizie della sua donna, il petto per l’appunto. I modelli cui s’ispira il Meli sono molteplici, fra tutti cito il Marino e il Fontanella: “Qual bianca nube l’odorosa tela”. Ma non sarebbe difficile citare altri poeti che hanno cantato il motivo del velo, si pensi al Gessner, che ha un’immagine che sembra aver suggestionato il Nostro: “Al giovin seno il vel stringea, che ardito/ scoprir tentava il lascivetto Zefiro”, ma potrei ancora ricordare il Pucci e il Sannazzaro quando nell’Arcadia descrive il seno di Amaranta.
In quest’ode il Poeta descrive un giardino che appare come un piccolo mondo primigenio, un giardino edenico in cui Amore raccoglie rose ed altri fiori per farne due mazzetti, vi spruzza poi fiocchi di neve per ravvivare la composizione e il bouquet è pronto per essere donato, qui Amore, che è l’innamorato, si identifica col Poeta il quale con altra variazione celebra le qualità della sua donna. Vi sono tutti i motivi di un canto erotico: il dio, i fiori, il candore della neve e infine il paradiso. Questo però avviene soltanto nella prima strofe del componimento, nel prosieguo il godimento contemplativo è limitato dal velo della pudicizia. Amore non trova il suo completo appagamento e il poeta chiama in aiuto Zefiro, che spazzi via questo velo, il canto termina lasciando intendere la difficoltà della cosa.
L’ultimo componimento di questa serie è “Lu Non-So-Chi”, nell’odicina, pubblicata nel 1814, è svolto il tema dell'indefinibile fascino per il quale la donna del cuore è sempre più bella di tutte le altre. Il motivo del non-so-che, quale espressione usata per indicare l’indefinito e l’ineffabile, è frequente nell’ambito della poesia arcadica, si ricordi ad es. Il Bugiardo del Goldoni, il ritornello della serenata di Florindo nella I scena. Il componimento ha una sua notorietà: in un saggio, intitolato Per l’arte (Catania 1885) il Capuana dice “ddu certu non so chi dell’Abate Meli”. Questo componimento a mio avviso appare un po’ diverso dai precedenti perché, sia pur nella sua leggerezza, sia pur all’interno di un genere laudativo, si caratterizza per un maggiore realismo. Qui la figura della donna mi pare un po’ meno idealizzata, a partire da quel “Bedda bedda-nun cci sì”; il poeta è comunque tenero con la sua donna perché la chiama “vijuledda”, un fiore, direi quasi, più familiare senza essere di tono minore, un fiore non impegnativo ma bello perché prodotto di natura, certamente non caricato di altri significati, un fiore non aristocratico insomma, ma popolare senza essere volgare.
Passiamo ora ad un componimento in cui il fiore è veramente utilizzato in senso simbolico, l’ode si intitola “Lu gesuminu”, in essa viene svolto il tema della caducità della bellezza congiunto con quello dell'incostanza del cuore femminile. La celebrazione del gelsomino è motivo frequente nella lirica amorosa del Sei e Settecento, si pensi al sonetto anonimo “Gelsomino in bocca di bella donna” o ad una cantata del Rolli “Son gelsomino, son piccolo fiore”. Ma qui, come altrove, l’Autore ha la capacità di rinfrescare lo spunto ben noto e tradizionale con la novità della invenzione. Il Poeta si rivolge direttamente al fiore chiedendogli perché si mostri a lui in maniera sostenuta: tu m’ammaschi; è già la prima prefigurazione di un rapporto uomo-donna, l’uomo infatti continua dicendo Stari in menzu di sti raschi, (fiordilatte) / nun lu negu, ch’è un gran chi. La terza strofe (vv. 9-12) è un invito alla moderazione, alla modestia. La quarta strofe (vv. 13-16) riprende il classico motivo dell'incostanza
femminile e quello della fugacità della bellezza, rappresentato per analogia con la brevità della bellezza dei fiori; ed è un luogo comune nella tradizione letteraria, si veda per es. il Gessner “Debil narciso, ahi come tristamente/ chini il languido capo a me daccanto./ In tua freschezza ancor l’alba ti vide;/ or sei svenuto...”. Quindi viene additato, come monito un garofano che il giorno prima era stato considerato una divinità, mentre ora si trova in bassa fortuna e non tocca più “cantusciu” cioè veste femminile lunga, elegante e verosimilmente pregiata, e pertanto si lamenta. La chiusa dell’ode (vv. 29-32) è di carattere moraleggiante: è una cuccagna laddove regna l’incostanza perché la fortuna con la sua mutevolezza può toccare chiunque. Il finale risente un po’ delle “Favuli morali” che abbiamo detto il capolavoro del Meli.
Ciò che mi pare strano nell’ode, e per questo, interessante notare, il fatto che il gelsomino venga visto come simbolo d’orgoglio, mentre la sua leggerezza, forse fragilità, lo destinerebbero quasi ad altri usi, - ma poco importa -, per il Meli il gelsomino è simbolo di altezzosità.
Col carme successivo, “L’aruta”, rimaniamo sempre nell’ambito della poesia moraleggiante, quest’ode è un po’ il contraltare della precedente, la ruta infatti è un’erba perenne, tipica dei luoghi aridi, dall’apparenza modesta, quindi molto diversa dal gelsomino, simbolo della lussuria. L’ode prende spunto da una malattia di Nicia, la donna del Poeta, che ammalatasi, è stata salvata dalla ruta, da qui quasi una maledizione agli altri fiori, rose, gigli e gelsomini, e l’esaltazione della ruta. Leggendo il componimento rileviamo che l’immagine ai vv. 3-4: nudda Ninfa chiù vi tegna/ ntra lu so pittuzzu finu l’abbiamo in qualche modo già vista nell’ode “Lu pettu”: Ntra ssu pittuzzu amabili, ortu di rosi e ciuri,/ dui mazzuneddi Amuri/ cu li soi manu fa.”
Gli ultimi versi (21 e segg.) hanno carattere più moraleggiante, tutta la strofe è un rimprovero ai fiori per la loro altezzosità, per l’orgoglio che mostrano; in questo rimprovero “fiori, in mezzo a questo mare di guai voi ve ne state freddi e oziosi” forse c’è un’eco di un famoso verso catulliano: “Piangete Veneri e Amori, è morto il passero, gioia della mia ragazza”. C’è, sia in Catullo che in Meli, il chiamare a raccolta un mondo per un canto di dolore ma anche d’amore; però i fiori del Meli sembrano più insensibili delle creature di Catullo. Il carme finisce con la lode della ruta, simbolo di modestia, virtuosa e dimessa, che vive semplice e beata e s’appaga di se stessa. Potrebbe essere un ammonimento valido per chiunque.



Tratto da: www.lires.altervista.org

Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:dlfmessina@dlf.it == Associazione DLF - Messina
I.
LU VIAGGIU RETROGRADU,
       L'innatu Geniu,
Chi mi strascina,
Dissi acchiappannumi :
Orsù, camina.
       Ed ingulfannusi
'Ntra li sfunnati
Abbissi, e vortici
Di età passati,
       In parti rampica,
In parti affunna
'Ntra 'na voraggini
Di obbliu profunna.
       Dda spissu incontrasi
(Oh incontri grati!)
Cu li gran Genii
Di chiddi etati,
       Chi quasi ciacculi
Brillanti e chiari,
Vennu ddi tenebri
A rischiarari.
       In aria Pindaru
Vidi e stupisci,
Cerca ragghiuncirlu,
Ma cci spirisci.
       Scopri la tenera
Saffu, chi spira
Ciammi, ch'infocanu
Anchi la lira :
       Scontra 'ntra un sequitu
Di grazj pronti

Lu lepidissimu
Anacreonti:
       Di allegri giuvini,
Di Ninfi allatu
'Ntricciannu brinnisi
Menzu 'ngriciatu:
       Nostra delizia
(Miu Geniu dici)
Salvi, e in ogni epoca
Regna felici;
       No, nun t'invidia
Trastulli e danzi;
Ma lu to seculu,
Li circustanzi;
       Dici e poi seguita
Lu so viaggiu
Duvi risplenniri
Vidi un gran raggiu.
       Eccu Teocritu,
Chi di Geruni
A la grand'epoca
'Ntriccia curuni.
       Oh Cignu amabili,
Pri cui fastusa
Scurri la sicula
Fonti Aretusa!
       Li trummi cedanu.
Cui d'idd'incugna
A lu gran meritu
Di tua sampugna?
       Chiddi decantanu
Straggi e bravura,
Chista la simplici

Bella natura.
       Oh pazzi! E cridinu
Li menti umani
Felicitarìsi
D'idda luntani!
       Dici, e incaminasi
Pri oscuri vii
Di Dafni all'epoca
Cara a li Dii.
       Lu trova in placida
Silva tranquilla,
Unn'acqua un vausu
Limpida stilla;
       Cei penni tacita
Sampugn'allatu;
Un cani all'alitu
Ci sta curcatu;
       Di attornu pascinu
Vacchi infiniti,
L'echi ribumbanu
Di li muggiti;
       Li prati ridinu!
Sutta li curi,
E lu bon ordini
Di li pasturi;
       E intantu sedinu
Dda spinsirati
Paci e Giustizia
Stritti abbrazzati.
       Cca juntu fermasi
Miu Geniu, e dici :
O grata imagini
Di età felici!

       S'in mia t'insinui
Cu tali ciarmi
Com'è possibili
Da tia staccarmi.

II.
LA NASCITA DI AMURI.
       Da la vaga Citeria,
Non 'ntra stentu e 'ntra duluri,
Ma 'ntra risu ed alligria,
A lu munnu nacqui Amuri.
       Quantu nicu, tantu beddu,
E si ben proporzionatu,
Chi paria cameu di aneddu
Di un valuri smisuratu.
       Li Dei tutti a stu purtentu
Inarcavanu li gigghia,
Cuntimplannu ad occhiu attentu
Sta stupenna maravigghia.
       Lu stupuri nun li lassa,
Anzi cchiù si avanza e crisci,
Pirchì cchiù chi tempu passa
Lu bambinu sminuisci.
       Era inutili lu tantu
Latti ad iddu; di lu velu
Scurria fora tuttu quantu,
E lassau 'na striscia in celu.
       La Dia mesta e scunsulata
Chi lu figghiu ia mancannu,
A lu fatu s'è indrizzata,
Sta prighera presentannu.
       A chi darmi un beddu figghiu
Si mi manca natu appena?

Suggeriscimi un cunsigghiu
Pri nutrirlu e darci lena?
       Rispus'iddu : Si a la luci
Nautru partu purtirai,
Quannu chistu darà vuci
L'autru crisciri vidrai.
       Sta ricetta, mi crid'iu,
Nun fu pr'idda amara tantu...
Basta, l'ordini eseguiu,
E l'affari 'iu d'incantu.
       Eccu in fini fu avvirata
Di lu fatu la sintenza,
Di una figghia s'è sgravata,
Chi chiamau : Corrispondenza.
       A lu nasciri di chista
Pigghiau ciatu lu puttinu,
E quant'idda forz'acquista,
L'autru crisci, e fa caminu.
       Già cci spuntanu l'aluzzi,
Chi s'impinnanu a momenti,
Poi niscennu li manuzzi
Vola in aria, e fa purtenti.

III.
LI CAPIDDI.
       Chi tirribiliu!
Chi serra-serra!
Deh curri, o Veneri,
Sparti sta guerra.
       Quindici milia
Cechi amurini,
Tutti si 'ngrignanu,
Fannu ruini.

       Cui punci e muzzica;
Cu' abbrucia ed ardi;
Cui tira ciacculi;
Cu' abbija dardi.
       'Ntra lu spartirisi
Li cori prisi,
Vinniru a nasciri
Sti gran cuntisi.
       A sta notizia
La Dia di Gnidu
Curri, precipita,
Ittannu un gridu.
       Ed è possibili,
Chi 'un cc'è momentu
Di stari 'nzemmula
Tanticchia abbentu!
       Giacchi nun giuvanu
Menzi e riguardi,
Vi farrò a vidiri,
Muli bastardi...
       Dissi: e 'un truvannucci
Megghiu riparu,
L'afferra, e carcera
Tutti di paru;
       Poi cu finissimi
Fila indorati
L'ali chi sbattinu,
Teni 'nchiaccati...
       Deh! ferma, o Veneri,
Vidi ca sbagghi,
Pirchì voi crisciri
Li mei travagghi?
       Lu miu martiriu

Ti paria pocu,
Vulisti agghiunciri
Ligna a lu focu?
       Chisti chi liganu
L'aluzzi ad iddi,
Di Nici amabili
Sù li Capiddi.
       Dintra li bucculi
(Oimè,chi arduri!)
Comu svulazzanu
Li nichi Amuri !
       Parti s'aggiranu,
Privi di paci,
Di la sua scufia
'Ntra lu 'ntilàci,
       Cui di li Zefiri
Cerca ristoru,
Sauta, e fa smoviri
Li fila d'oru.
       Parti si curcanu
Supra lu coddu,
Ch'è un finu avoliu
Pulitu e moddu.
       E di dda mannanu
Saitti e lampi;
Ahi! cui pò reggiri
'Ntra tanti vampi!
       Ah! vinni achioviri
In mia sta guerra!
Stu tirribiliu!
Stu serra serra!

IV.
LU GIGGHIU.
       La benna lacera,
Spinnatu tuttu,
Chiancia Cupidini
A chiantu ruttu:
       Rucculiavasi
Fallidu, e zarcu :
Me matri Veneri
Mi rumpiu l'arcu.
       O! beni stijati
(Cci dissi allura) :
Tu si diavulu,
Non criatura;
       'Ncrepati, ruditi;
Si: c'aju gustu,
Almenu termina,
Speddi stu sustu.
       A st'improperii
S'ingatta e taci;
Ma d'intra è torbidu,
Nun trova paci.
       Posa lu guvitu
Supra di un ciuri,
Finci di dormiri,
Ma 'un dormi Amuri.
       Poi tuttu 'nzemmula,
Pigghiannu ciatu.
Grida ; Vittoria,
L'arcu è truvatu;
       L'arcu infallibili,
Chi va pri milli,

È l'adorabili
Gigghiu di Filli.
       Dissi : e di un subitu
Scuccannu un dardu;
Si 'ntisi un murmuru :
Ahi! ahi! com'ardu!

V.
L'OCCHI.
       Ucchiuzzi niuri,
Si taliati,
Faciti cadiri
Casi e citati;
       Jeu muru debuli
Di petri e taju,
Cunsidiratilu,
Si allura caju!
       Sia arti magica,
Sia naturali,
In vui risplendinu
Bifidizzi tali,
       Chi tutti 'nzemmula
Cumponnu un ciarmu,
Capaci a smoviri
Lu stissu marmu.
       'A tanta grazia
Ssa vavaredda
Quannu si situa
Menza a vanedda,
       Chi, veru martiri
Di lu disiu,
Cadi in deliquiu

Lu cori miu.
       Si siti languidi
Ucchiuzzi cari,
Cui cci pò reggiri?
Cui cci pò stari?
       Mi veni un piulu,
Chi m'assutterra,
L'alma si spiccica,
Lu senziu sferra.
       Poi cui pò esprimiri
Lu vostru risu,
Ucchiuzzi amabili,
S'è un paradisu?
       Lu pettu s'agita,
Lu sangu vugghi,
Sù tuttu spinguli,
Sù tuttu agugghi.
       Ma quantu lagrimi,.
Ucchiuzzi amati,
Ma quanta spasimi
Chi mi custati!
       Ajàti làstima
Di lu miu statu;
Vaja riditimi,
Ca sù sanatu.

VI.
LU LABBRU.
       Dimmi dimmi, apuzza nica,
Unni vai cussi matinu?
Nun cc'è cima chi arrussica
Di lu munti a.nui vicinu;
       Trema ancora, ancora luci

La ruggiada 'ntra li prati,
Duna accura nun ti arruci
L'ali d'oru dilicati !
       Li ciuriddi durmigghiusi
'Ntra li virdi soi buttuni
Stannu ancora stritti e chiusi
Cu li testi a pinnuluni.
       Ma l'aluzza s'affatica!
Ma tu voli e fai caminu!
Dimmi dimmi, apuzza nica,
Unni vai cussi matinu?
       Cerchi meli? E s'iddu è chissu,
Chiudi l'ali, e 'un ti straccari;
Ti lu 'nzignu un locu fissu,
Unni ài sempri chi sucari;
       Lu conusci lu miu amuri,
Nici mia di l'occhi beddi?
'Ntra ddi labbra cc'è un sapuri
'Na ducizza chi mai speddi,
       'Ntra lu labbru culuritu
Di lu caru amatu beni,
Cc'è lu meli cchiù squisitu,
Suca sucalu ca veni.
       Dda cci misi lu piaciri
Lu so nidu 'ncilippatu
Pri adiscari pri rapiri
Ogni cori dilicatu.
       A lu munnu 'un si pò dari
Una sorti cchiù felici,
Chi vasari, chi sucari
Li labbruzza a la mia Nici.

VII.
LA VUCCA.
1
       Ssi capiddi e biunni trizzi
Sù jardini di biddizzi,
Cussi vaghi, cussi rari,
Chi li pari nun cci sù.
       Ma la vucca cu li fini
Soi dintuzzi alabastrini,
Trizzi d'oru, chi abbagliati,
Perdonati, è bedda cchiù.
2
       Nun lu negu amati gigghia,
Siti beddi a maravigghia;
Siti beddi a signu tali,
Chi l'uguali nun cci sù.
       Ma la vucca 'nzuccarata
Quannu parra, quannu ciata,
Gigghia beddi, gigghia amati,
Perdonati, è bedda cchiù.
3
       Occhi in vui fa pompa Amuri
Di l'immensu so valuri,
Vostri moti, vostri sguardi
Ciammi e dardi d'iddu sù.
       Ma la vucca quannu duci
S'apri e modula la vuci,
Occhi...Ah vui mi taliati!...
Pirdunati, 'un parru cchiù.

VIII.
LA VUCI.

1
       Vola in aria 'na Vucidda,
Cussi grata, cussi linna,
Chi lu cori già nni spinna;
Duci-duci si nni và.
       L'Amurini sutta l'ali
L'equilibranu suspisa;
Ora cala ed ora jisa,
Ora immobili si stà.

2
       D'ogni pettu e d'ogni cori
Com'avissi già la chiavi,
Duci, tenera, e suavi,
L'apri e chiudi a gustu sò.
       Trasi dintra sinu all'alma,
La sulleva, l'accarizza,
Cu 'na grazia, 'na ducizza,
Chi spiegari nun si pò.

3
       Quannu flebili e dulenti
Duna corpu a li duluri,
L'arpa stissa di l'Amuri
Nun è tenera accussì.
       Quannu poi scappannu vola;
Quamm poi si ferma e trilla,
Pari a nui, chi l'aria brilla,
Tuttu è allegru, tuttu è insì.

4
       S'idda rumpi qualchi nota,
Da li Grazii persuasa,
Già lu stomacu nni scasa,
Nun si cinta affattu cchiù :
       Quannu sempri sminuennu,.
Quasi manca, quasi mori,
Si fà stragi di li cori,
Dillu, Amuri, dillu tu?

IX.
L'ALITU.
       Profumeddu gratu e finu,
Di cui l'aria s'impanna,
D'unni veni? Cui ti manna?
Quantu va ca l'indovinu?
       Qualchi spratticu dirria ;
Ca sì figghiu di li ciuri;
E li spiriti cchiù puri
Tutti sunnu uniti in tia;
       Di li ciuri è veru nn'ài
La fraganza la cchiù pura;
Ma però si senti allura,
Ca li superi d'assai.
       Dima uautru : Un Zefirettu
Di l'arabici cuntrati,
Tanti eflluvii prelibati
Cosi, e vinni cca direttu;
       Si li voscura Sabbei
Si d'Arabia li virduri,
Avirrianu tali oduri,
Cci starrevanu li Dei.

       Profumeddu, chi nni dici?
Ridi a tanti dicirii !
Però a mia nun mi trizzìi,
Tu si l'Alitu di Nici.

X.
LU PETTU

1
       "Ntra ssu Pittuzzu amabili,
Ortu di rosi e ciuri,
Dui mazzuneddi Àmuri
Cu li soi manu fà.
       Cci spruzza poi cu l'ali
Li fiocchi di la nivi;
'Ntriccia li vini e scrivi :
Lu paradisu è ccà.

2
       Ma un'importuna nuvula
M'ottenebra lu celu;
Appena 'ntra lu velu
'Na spiragghiedda cc'è.
       Armata d'una spingula,
Chi pari 'na laparda,
Modestia si lu guarda,
Ch'è rigurusa, oimè!

3
       Un Amurinu affabili
L'ammutta a jiri a mia;
Ma l'autru, oh tirannia!
Turnari poi lu fà;

       Pietusu a li mei lagrimi,
Chiddu lu spinci arreri;
Ma torna poi 'nnarreri,
E sempri veni e và.

4
       Li sguardi si sammuzzanu
'Ntra dda spiragghia nica;
Ed idda li nutrica,
Li pasci quantu pò :
       Idda la menti guida
A li biddizzi arcani;
Nni teni vivi, e sani
Lu sulu ajutu sò.

5
       Si mai sintisti affettu,
O Zefiru amurusu,
Lu velu suspittusu
Allarga un pocu cchiù;
       E si lu to nun basta
Alitu dilicatu,
Pigghiati lu me ciatu,
E servitinni tù.

XI.
LU NEU.
       Tu felici, tu beatu.
'Nzoccu si, Purrettu, o Neu!
'Ntra ssu pettu dilicatu,
Oh! putissi staricc'eu !
       'Ntra ssi nivi ancora intatti
Comu sedi! comu spicchi!

Ah ! lu cori già mi sbatti;
Fa la gula 'nnicchi-nnicchi.
       Di lu coddu a li confmi
Sì 'na guardia vigilanti,
Pri li vaghi dui furtini
Di la piazza cchiù impurtanti,
       Ah! si mai pigghiannu a scanciu,
O pri audacia singulari,
Qualchi manu fa lu granciu,
Facci tu terra trimari;
       Ma quann'eu poi m'ammaraggiu;
E l'arbitriu mi manca;
Fammi qualchi bon passaggiu;
Cu l'amici vaja franca.

XII.
LU NON-SO-CHI.
       In riguri, Vijuledda,
Bedda bedda nun cci si;
       Ma in tia regna, in tia privali
Certu tali non-so-chi,
       Pri cui misa a beddi accantu
D'iddi oh quantu spicchi cchiù.
       Si sù chisti vaghi stiddi,
Suli in iddi splendi tù.
       È la rosa 'un arricriu
Pri lu briu, la maistà :
       Sta vaghizza l'occhi abbagghia,
La plibagghia curri ddà;
       Ma in un cori dilicatu
Lu to ciatu oh quantu pò!
       Quali ciamma, quali affettu

Svigghia in pettu un guardu tò!
       È simpaticu, è gentili,
Nè virili cori cc'è,
       Chi un si senta risbigghiari
Li cchiù cari e duci oimè.

XIII.
LA SIMPATIA.
       A la bedda Dia di Gnidu
Lu gran cintu purtentusu
Fu rubbatu da Cupidu
Diu potenti e capricciusu,
       Ed a Fillidi sua cara
Cci lu cinsi e dissi poi;
La natura ben pripara,
Eu compisciu l'opri soi:
       Grazia, spiritu, biddizza
Tinn'à datu senza cuntu,
E si vidi cu chiarizza,
Ch'era in gana 'ntra ddu puntu.
       Jeu stuputu a sta eleganza,
Pri nun darimi pri vintu
La magnetica pussanza
Ti presentu 'ntra stu cintu.
       Di cui nn'àju vistu provi
In mia matri, ed in Giununi,
Pri cui chista tirau Giovi,
Comu fussi un picuruni.
       La sua forza è singulari,
Tuttu cedi a lu so imperu,
Da putiri conquistari,
Si tu voi, lu munnu interu.

XIV.
LI GRAZJ.
       Doppu chi l'Asia,
Già quasi tutta,
Cadiu per Elena
Arsa e distrutta,
       In tonu seriu.
Li Dei pinsaru
A sti disordini
Dari riparu.
       E pirchì vittiru,
Chi la biddizza
Junt'a li Grazj
Gran focu attizza,
       Perciò decretanu:
Chi mai cchiù visti
Fussiru 'nzemmula
Chidda cu chisti.
       Dunca spartendusi
Da Citeria
Li Grazj pigghianu
Pri nautra via.
       Cci va Cupidini
Manu cu manu,
Stanti lu geniu
So juculanu.
       Trovanu in Fillidi
Grata accugghienza,
E in idda fìssanu
La permanenza.
       Intantu Veneri,
Scuntenta e mesta,

Gira sbattennusi
Sula la testa:
       Pri terra ed aria,
Cità e chianuri
Scurri spiannucci :
Chi nn'è di Amuri?
       Ma poi truvannula
Letu e cuntenti,
Dissi sgridannulu :
Ah! sconuscenti!
       Cussi dimentichi,
Barbaru, ingratu,
La matri propria,
Chi t'à addivatu?
       Matri, pirdunami,
Dissi Cupidu,
Mi parsi a vìdiri
Cca lu to nidu:
       L'anni mi scursiru
Cussi suavi,
Chi 'un potti accorgirmi,
Chi tu mancavi.

XV.
LU GESUMINU.
1
       Gesuminu, tu mi ammaschi,
E nun viju lu pirchì;
       Stari in menzu di sti raschi
Nu lu negu, ch'è un gran-chi.

2
       Ma li rosi e l'amaranti
C'àju vistu unni si tù:
       Un onuri datu a tanti,
E' finutu, 'un vali cchiù,
3
       Cu ssa boria e ssa livata,
Tu ti cridi quasi un Rè?
       Ma nun passa sta jurnata,
Ca finisci cu l'olè.
4
       Supra donni lu so fastu
Nuddu mai fundari pò;
       Forsi v'amanu, ma a tastu,
Oggi si, dumani nò.
5
       Vidi 'nterra spampinatu
Ddu galofaru ch'è ddà?
       Chistu ajeri fu aduratu
Comu nautra deità.
6
       Ora 'un tocca cchiù cantusciu,
Si cci spii, dici: oimè! , :
       Pirchì sugnu ufllittu e musciu,
Pietà pri mia 'un cci nn'è!
7
       Benchè elettu 'ntra li ciuri,
Gesuminu ora sì tù;
       Forsi avrai pri successuri
Li cchiù tinti chi cci sù.

8
       Chi unni regna l'incostanza,
È cuccagna; e sai pirchì?
       Pirchì ognunu avi spiranza,
Oggi nò, dumani si.

XVI.
L'ARUTA.
       Malannata chi vi vegna
Rosi, Gigghi e Gesuminu:
Nudda Ninfa cchiù vi tegna
'Ntra lu so pittuzzu finu;
       Nici pallida e trimanti,
Anelanti e strangusciuta,
Sarria morta 'ntra un istanti
Si nun era pri l'aruta.
       Sia decretu di l'Amuri,
Sia destinu sconuscenti,
Li cchiù beddi 'ntra cert'uri
Sù suggetti a st'accidenti:
       A lu cori si cci abbija
Una negghia, un nuvuluni,
Chi li torci, sforasija!
Comu vipari e scursuni;
       E cci movi tanta guerra,
Chi lu velu palpitanti,
Laceratu cadi a terra,
E nni tremanu l'amanti.
       Ciuri, vui superbi assai
Pri tant'abiti pompusi,
'Ntra st'Oceanu di guai
Stati friddi ed oziusi!

       A chi tanta esaggerati
La fraganza cchiù esquisita,
Si cci'accrisci, o ciuri ingrati,
Lu disordini a la vita?
       Ma l'aruta, ch'è pudica,
Benchì pocu sociali,
È la cchiù fidili amica
Di li spiriti vitali.
       Non ostenta lu so fastu
Cu li varj culuri;
E nun duna nuddu rastu
Di l'intrinsecu valuri.
       Chi virtù, benchì privata,
Benchì povera e dimissa,
Vivi simplici e biata,
E s'appaga di se stissa.

XVII.
LA COLICA.
       'Na dogghia colica
Già ni rapia
Lu megghiu mobili
Di Citeria.
       La Parca orribili,
Di dardu armata,
Dintra li visceri
S'era appustata.
       Àddiu (gridavanu
Tutti l'amanti)
Addiu, và chiuditi
Regnu galanti.
       Tutti sti lagrimi
Junceru in celu,

Ed eccu Veneri
S'arma di zelu:
       Giovi, proteggimi,
(Dissi cu impegnu)
Vacilla l'ancora
Di lu miu regnu.
       Rendi sta giuvina.
Rendila a mia;
Poi crcpi invidia,
E gilusia.
       Dissi; (oh prodigiu!)
Giovi balena;
E in terra canciasi
Tutta la scena;
       Cessa lu spasimu,
Nici è brillanti,
Rivali crepanu,
Ridinu amanti.

XVIII.
LA MUNITA FAUSA.
       E' persu è persu, o Amuri,
E' persu lu negoziu;
Nun cc'è cchiù dicituri,
Tutta la genti è in oziu;
E sai chi nn'è la causa?
Curri munita fausa.
       Li beddi duppii antichi,
Di Cori meu, eu t'amu,
Ora si tu li strichi,
Sù pannidduni e ramu,
Lu chiantu, chi cumpagnu
Fu a la cuppella, e stagnu.

       L'unzini chi currianu
Di vintidui carati,
Chi per impronta avianu
Li sguardi appassionati,
Ora si nni fai prova,
Chi sù? testi di chiova.
       Li ginuini e scuti
Di li suspiri ardenti,
Di li discursi muti,
Paroli rutti in denti..,
L'intressu, oimè! la briga
Falsificau la liga.
       Curria 'ntra li striguni
Un tempu sta munita;
La fici poi comuni
Qualchi cajorda ardita;
Ora cui junci campa,
Teni lu cugnu e stampa.
       Dimmi ora: cui è dd'armali,
Chi arrisicari vogghi
Lu propria capitali
A frunti di st' imbrogghi?
Amuri, s'è pri mia,
Poi chiudiri putia.

XIX.
LI BACCANTI.
1
       Li testi fumanu,
Già semu cotti,
Buttigghi e gotti
Vegnanu ccà.

       Vàjanu a càncaru
Sennu e giudiziu,
Oggi sia viziu
La gravità.
2
       'Ntra la mestizia
Li guai s'avanzanu,
Sulu si scanzanu
Stannu accussì.
       La ciospa 'nzemmula
Lu calasciuni,
Vini abbuluni,
E amici 'nzi.
3
       Fumu è la gloria,
L'amuri è focu,
È un scherzu, un jocu
La gioventù.
       Prima chi tremula
Vicchiaja arriva,
Si sciali e viva
A cui pò cchiù.
4
       Proi ssa ciotula,
Bedda picciotta,
Ch'iu 'ntra 'na botta
L'asciuchirò!
       Comu rivugghinu
Sti bianchi scumi
Vugghia, ed addumi
Lu cori tò.

5
       Tasta stu balsamu,
Tastalu chissu,
L'amuri stissu,
Cca dintra cc'è.
       Comu arrussicanu
Ssi mascidduzzi!
Oh li labbruzzi!
Talè talè.
6
       Scurra l'Oceanu
L'Inglisi audaci,
Ch'eu vogghiu in paci
Starimi ccà.
       Si poi lu Pelagu
Vinu farria,
Jeu scurriria
Forsi cchiù ddà.
7
       Sinu a lu Messicu
Vaja l'avaru,
Cerchi ogni scaru
Di lu Perù.
       'Ntra ciaschi e bùmmali
Sù li ricchizzi,
Li cuntintizzi
Dda dintra sù.
8
       Morti nun curasi
D'oru o di ramu;
Dunca tummamu,
Buttigghi olà.

       Spittarla serii
È cosa grevia,
Li jorna abbrevia,
Sicchi cci fà.
9
       Fora li trivuli;
Allargu vaja
Grunna e vicchiaja;
Resti l'olè.
       Gridi : trinch-vaine;
Fraula curtisa
Maetres francisa:
Alon touchè.
10
       Tavuli e brinnisi,
Amanti, amici,
Fannu felici
L'umanità!
       Viva lu viviri,
Viva lu jocu,
Viva lu focu,
Chi in pettu stà.

XX.
LU RUSIGNOLU.
       La tranquilla notti imponi
Paci e calma a tutti quanti,
Mentri tu graditu intoni,
Rusignolu, li toi canti.
       Tu cumpagnu so dilettu,
Tu delizia di sta Dia,
Tu si l'organu perfettu

Di la vera miludia.
       La suavi tenerizza.
Chi la vuci tua diffunni,
Tutti aspergi di ducizza
Celu campi vaddi ed unni.
       'Ntra ssa gorgia tua canora
Grazj e Amuri un nidu cci ànnu,
D'unni scuvanu poi fora
'Ntra li notti sbulazzannu;
       Ch'ora scurrinu affrittati,
Ora mustranu languenti:
Chi sù in lingui 'nzuccarati
Duci puru li lamenti.
       Di l'oricchi a li confini
La tua vuci no, nun mori;
Ma li Grazj, l'Amurini
La trasfundinu a lu cori.
       Dda s'insinua, dda rìsbigghia
'Ntra li puri e novi affetti
La patetica famigghia
Di l'incogniti diletti.
       La tua scena è la foresta,
E li griddi cu ottavini
Fannu armonica un'orchesta
A li noti toi divini,
       Chi da munti in vaddi e in chiani,
D'ecu ad ecu ribumbannu,
Si ripetinu luntani
L'umbri stupidi avvivannu.
       Cori fini, e non corrutti,
La natura cca v'invita,
Li delizj puri tutti
Cca cunserva di la vita.


       Quannu l'omini li spaddi
Ci vutaru a sta gran matri
Si fic'idda in munti e in vaddi
Li sublimi soi teatri.
       Si... poi dissi: ingrati figghi,
Si... goditivi di l'arti
Tanti commodi e 'mmizzigghi,
Ch'idda chiusi vi cumparti.
       Ch'eu vi lassu a li rancuri
D'inquieta ambizioni
E a li tristi dissapuri
Di buggiarda illusioni.

XXI.
LU BRIU.
       Sugnai di vidiri
'Ncostu di un fonti
Lu saggiu e lepidu
Anacreonti,
       Chi a lu so solitu
Supra un'arpetta
Ia ripassandusi
Sta canzunetta :
       Mentri mi tillica
'Mpettu lu brìu,
Cchiù min desideru,
Lu munnu è miu.
       Tant'è lu giubilu,
Chi all'alma chiovi,
Chi non invidiu
Nettari a Giovi.
       Di onuri e carichi,

D'oru a catasta
Nni fazzu un brinnisi,
Lu briu mi basta.
       In iddu l'anima
Trovu, e l'oggettu
D'ogni delizia;
Di ogni dilettu,
       Iddu è la sausa,
Chi dà sapuri
Anchi a l'inezj
Di un criaturi.
       Li Varvasapj
Cu gravità
Tutti m'intimanu
Serietà.
       Dicennu: sciddica
L'etati e scappa,
Li moddi cedinu,
La peddi arrappa.
       Sù belli chiacchiari;
Lu briu distingui
Vecchi da giuvini...
Taciti o lingui.
       Eccu viditilu;
Mentr'àju ad iddu
Tornu a rinasciri
Da picciriddu.
       Mi si rinovanu
Tutti l'umuri,
Scinni a li musculi
Novu viguri...
       Serj cu savii
Vui cunfunditi?

Sciucchizza,o invidia,
Briu mun ni aviti.
       Vecchi misantropi,
Da cui fuìu,
Forz'è nell'intimu
Diri: ch'è un Diu.
       Forz'è concediri:
Chi senza d'iddu
Lu munnu è lugubri,
La vita è un siddu,
       E chi a so arbitriu
Si manifesta
Natura all'omini
Ridenti, o mesta.
       Ricchi solliciti,
Ambiziusi,
Ah miserabili
Campati illusi!
       Posti, dominj,
Ricchizzi, onuri,
Tani di vipari
Sù 'ntra li ciuri.
       Lu briu nun calcola
Potenza ed oru,
Ma in corpi vegeti
Paci, ristoru.
       Da oggetti simplici
Da un gestu, un dittu
Stu Diu beneficu
Tira profittu...

       Ddocu nni spersimu,
Era jinnaru,
li gatti, oh l'errami!
M'arrisbigghiaru.

XXII.
D. CHISCIOTTI
       Sutta un'antica quercia,
Chi attraversu spurgia da un vausu alpestri,
Cu 'na manu a la frunti, D. Chisciotti
Mestissinu sidia: 'na rocca allatu
Di chiappari cuverta, e la pinnenti
Areddara d'attornu a la sua cima
Facianu pavigghiuni a la sua testa;
Ripusava oziusa la gran spata
Tra la purvuli e l'erva: a un virdi ramu
Stava appujata l'asta di la guerra,
Sutta un vrazzu lu scutu, e l'elmu a terra.
       Comu nuvuli densi di molesti
Minutissimi insetti a scheri a scheri
L'amurusi pinseri
S'affuddavanu tutti a la sua menti;
'Ntra li suspiri ardenti,
Quasi accisu Vulcanu, lu so pettu
Fumu e ciammi esalava:
E mentri intornu intornu
Li valli e li furesti
Taciti attenti e mesti
Si stannu spettaturi a la gran scena,
Cussi cantannu sfoga la sua pena.
          Munti e vausi, menu duri
       Di lu cori di dd'Ingrata
       Petri, trunchi, erbetti e ciuri,

       Chi adurnati sta vallata,
       Deh! salvatimi d'amuri,
       Chi mi à l'alma trapanata;
       O parrati vui pri mia
       A la cara Dulcinia.
          Ciumiceddu lentu lentu,.
       Chi di l'unni cristallini
       Vai spargennu lu lamentu
       A li voscura vicini,
       Di stu cori lu turmentu
       Dimmi tu si avirrà fini?
       Ah ! dumannacci pri mia
       A la cara Dulcinia.
          Zefiretti, chi lascivi
       Cu lu ciatu innamuratu
       Li mei ciammi ardenti e vivi
       Cchiù m'aviti oimè! sbampatu.
       Ah! squaghiati vui la nivi
       Di ddu cori, ch'è 'nghilatu.
       Acciò bruci, comu mia,
       La mia cara Dulcinia.
          Ocidduzzi chi cuntenti
       'Ntra li rami e tra li ciuri
       A lu Suli già nascenti
       Intricanti inni d'amuri,
       Deh! pristatimi l'accenti.
       Cussi grati e cussi puri;
       Acciò gratu, e accettu sia
       A la cara Dulcinia.
          Da sti vausi, unn'eu m'aggiru,
       Mia tirannu amatu Beni,
       L'aria stissa, ch'eu respiru,
       Missaggera a tia già veni;

       Porta acchiusi 'ntra un suspiru
       Li mei crudi acerbi peni;
       D. Chisciotti è chi l'invia
       A la cara Dulcinia.

XXIII.
LA MORTI DI SAFFU.
       Duna un tonu pateticu la lira!
Ch'infaustu auguriu oimè!
La musa mia Polinnia suspira!
Oh celu! chi cos'è?
       Musa...ma tu nun senti, e guardi attenta
Un'eminenti rocca,
Comu cui vidi cosa, chi spaventa,
O chi l'affliggi e tocca!...
       Cala da l'occhi mei la benna: ahi vista !
La Lesbia donna è in autu !
Comu a gran passi l'eminenza acquista
Di lu fatali sautu!
       Li trizzi scioti, in aria li vrazza!
Anelanti lu pettu!
Lu palluri di morti cci sbulazza
'Ntra lu smarritu aspettu!
       Scintillanti lu sguardu e furiusu
Ora lu celu spinci,
Ora l'abbascia, e lu sprofunna jusu,
Inorridisci e 'mpinci.
       Ma nova furia eccu la scoti e smovi
Con impetu maggiuri,
Suspira, ed ogni vausu si commovi;
Stà sulu firmu amuri.

    Fermati scunsigghiata; e'un ti nni adduni
Ch'è cecu cui ti guida?
L'arbitriu to cci ài datu! Lu picciuni
Cui ad un corvu affida?
  Quant'è crudu nun sai? Chi nni accanzasti
Da supplichi divoti?
Lu cori ch'in deliquiu squagghiasti
'Ntra l'amurusi noti !
    Cu la sua lira Orfeu risi placatu
Di Plutu lu fururi;
Ma quantu di Plutuni cchiù spieiatu
Saffu tu provi Amuri!...
    Ma li paroli mei spargiu a lu ventu
Già junta è all'orlu!... Oh Diu!
L'occhiu'un resisti...Oimè! Lu bottu eu sentu
Già l'unna l'agghiuttiu!...
    L'unna chi fora gurgugghiannu manna
L'ultimu so assaccuni,
Chi mentri l'aria 'ngramagghiannu appanna,
Risona : oimè Fauni!
    Chiancinu li Nereadi tutti in luttu,
E intenti a li vinditti
Veneri l'arcu cci à ad Amuri ruttu,
Li Grazj li saitti.
    Jettanu a terra in Pindu ed arpi, e liri
Apollu e li Cameni,
E si disfannu in lagrimi e suspiri
A mari li Sireni.
    La benda torna all'occhi mei. Mia lira
Nun duna sonu chiui!
Saffu d'Amuri nun placau mai l'ira:
Chi nni spirainu nui?
    Chi ti lusinghi cu sta canzunedda

Poeta miserabili?
'Mmatula preghi e incensi la tua Bedda,
Amuri è inesorabili.

XXIV.
LA PACI.
       E la paci la mia amica,
La mia cara vicinedda,
Oh chi Diu la benedica!
Quant'è saggia, quant'è bedda!
       D'idda accantu 'un sentu guai
Campu spicciu, giru tunnu,
E cu pocu pocu assai
Nent'invidiu 'ntra stu munnu.
       Si mi manciu un tozzu duru,
Mi l'approva e dici: sedi;
E stu tozzu vi assicuru,
Mi va all'ugnu di lu pedi.
       Quannu posu testa a lettu
Dormu saziu, comu un ghiru,
Grati sonni, e di dilettu
Di la menti vannu in giru
       Ora volu, comu un cignu,
Ora sulcu undusi vii,
E durmennu disimpignu
Li capricci e li disii.
       E st'imagini sugnati
L'indumani sunnu uguali
A l'imagini ristati
Da li giubili reali.
       Si lu Sagru Munti acchianu,
A lu latu miu s'incugna,
Cu li proprj soi manu

Poi mi accorda la sampugna.
       Di dda supra, mentr'eu cantu,
Viju sutta li mei pedi
Terra, mari, e tuttu quantu
L'omu ambisci, e nun pussedi.
       E Furtuna 'ntra 'na rota,
Chi currennu a rumpi-coddu
Auta e vascia gira e sbota
Or'a siccu, ed ora a moddu.
       'Na gran turba appresso d'idda,
Chi cci grida supplicanti:
Oh Dia ferma 'na scardidda
Guard'a mia 'ntra tanti e tanti !
       Cumpiangendu sti mischini,
Jeu l'amica strinciu e abbrazzu,
Chi li lochi sularini
Fa cchiù grati d'un palazzu;
       Chi a guardari si cumpiaci
La cchiù simpiici capanna,
Lu gran fastu cci dispiaci,
E si vota di dda banna.
       Non perciò la societati
La disgusta: ama l'amici,
E sù pr'idda li citati
Ricchi, floridi e felici,
       Ama l'arti ad una ad una,
Lu commerciu, li scienzi,
Odia sulu di fortuna
Li capricci e prepotenzi.
       Ma poi trema, e impallidisci
Cu 'na sincopi murtali
Quann'alcunu proferisci:
Guerra, liti, o tribunali.

       Pirchi accordasi in compensu
Da lu celu a un cori drittu,
Acciò l'oru, nè l'incenzu
Non invidj a lu delittu.
       Ma vidennula negletta,
Cu maneri assai modesti,
I,'omu in idda nun suspetta
'Na progenj celesti.
       Deh tu fa Bontati Eterna
Di stu beni impareggiabili
Chi l'Europa nni discerna
Lu gran prezzu inestimabili.

XXV.
LA FORTUNA.
       Ah ca passa! allerta, allerta!
La fortuna veni a tia!
Vacc'incontru pri la via,
Facci asciari porta aperta...
       A sti vuci affacciu, e viju
Donn'altera, e risplendenti!
Prevenutu da li genti
Jeu la porta sbarrachiu.
       Allittata da st'omaggiu
S'avvicina, e dici: oh bravu!
Jeu t'accettu pri miu schiavu,
Trasirai 'ntra l'equipaggiu.
       Veni appressu, e a li toi passi
Vidrai nasciri a l'istanti
Li rubini e li diomanti,
E tutt'autru chi bramassi.
       Si voi posti e dignitati
Basta sulu chi lu dici...


Ma dipoi sarò felici?
Spiega, di' la veritati?
       Si, rispusi, ti lu juru
Pri sta rota chi susteni
Tutti quanti li mei beni.
Ed unn'eu mi appoggiu puru.
       Basta, basta ben capisciu,
Cci diss'iu, stu juramentu,
Lu to granni appidamentu
Già lu viju, e nni stupisciu.
       Ma m'è licitu purtari
La mia paci, sta vicina,
Chi la sira e la matina
Cu mia sempri soli stari?
       No, rispusi, avverti a tia,
Pri decretu di lu fatu
Sta marmotta, chi t'è allatu,
Nun pò vèniri cu mia.
       Dunca va, diss'iu, m'addugnu,
Chi s'instabili e fallaci,
Purchì resti in mia la paci,
Staju bonu ccà unni sugnu.
       Ristau fridda, comu nivi,
Poi pretisi fari scasciu;
M'eu mi misi tantu vasciu,
Ca di l'occhi cci spirivi.

XXVI.
LU GENIU DI ANACREONTI.
       Struggennu l'Attica
Discordia e Marti,
Raminghi scursiru
Musi, e bell'arti.
       Sbraccaru seculi
Timidi, ansanti,
A la barbarj
Fuennu avanti.
       Doppu tri milia
Vicenni e cchiui
Già quasi scheretri,
Vinniru a nui.
       Però lu Geniu
Di Anacreonti
Tutt'ora bazzica
Sull'orizzonti;
       Chi nun truvannusi
Ben dignu alloggia
Va trastullandusi
Da poggiu in poggiu,
       Belì'a vidirisi!
Pari a la cera
Lu risu amabili
Di primavera!
       Li rai cchiù vividi
Di lu matinu
Tutti accarizzanu
St'estru divinu!
       Li Grazj liberi
Di ogni ligami

L'allapitianu
A sciami a sciami:
       Scherzi, ed imagini
Fini, ed ameni
Brillanu, abbagghianu
Comu baleni.
       L'Amuri spreminu
In iddu immersi
Meli ed ambrosia
Da li soi versi.
       Sua, benchì simplici,
Grata armunia
Scaccia li trivuli
L'almi arricria.
       Cca e dda sbulazzanu
Cu gratu intricciu
Li jochi a geniu
Di lu capricciu.
       Lu briu chi domina
Sta schera eletta,
Tillica e stuzzica,
Rallegra, alletta...
       Mentr'eu cu palpiti
Di godimenti
Sintia rapirimi
Da sti portenti,
       Lu Geniu guardami
Gratu e curtisi
Attu a slanciarisi
Ad ali tisi.
       Poi tuttu 'nzemmula
Si adumbra, e fui;
Ahi pisi e cancari
'Culpati vui!

XXVII.
L'INDOLI D'AMURI
       Delizii inesprimibili
Amuri avia profusu
In Tirsi e in Amarillidi,
Mentr'era in iddi chiusu.
       Ma pirchì è varia e instabili
L'induli di stu Diu,
Cci dissi un jornu: Termina
Già in vui lu regnu miu.
       St'annunziu formidabili
Fu proferitu appena,
Chi oscura nigghia e lugubri
Ingramagghiau la scena.
       Ddi scunzulati esclamanu:
Quali delittu mai
Merita stu terribili
Castigu chi nni dai?
       Sta vita è insuppurtabili,
Senza lu to cunfortu
Sgravanni un pisu inutili
Pri nui lu munnu è mortu.
       Rispusi: È liggi barbara
Ma è liggi di natura,
Ch'in terra ogni delizia
E' un lampu chi si oscura.
       Dunca eliggiti, o l'Odiu,
Lu Sdegnu, e lu Rancuri;
O simplici Amicizia
Senza trasportu e arduri.
       Chist'è tranquillu e placidu,
Menu di mia brillanti,


Ma cci supplisci un meritu,
Ch'è cchiù di mia custanti.

XXVIII.
LA CICALA.
       Cicaledda tu ti assetti
Supra un rannt la matina,
Una pampina ti metti
A la testa pri curtina,
E dda passi la jurnata
A cantari sfacinnata.
       Te felici! Oh quantu à datu
A tia prodiga Natura!
Dintr'a l'umili to statu
D'ogn'insidia si sicura,
Nè a la paci tua si opponi
Lu disiu, l'ambizioni.
       Benchì picciula si tantu,
Ti fai granni e quasi immenza
Propagannu cu lu cantu
La tua fragili esistenza,
E o si allarghi, o si rannicchi,
Ti avi ogn'unu 'ntra l'oricchi.
       A tia cedinu l'oceddi
Di l'està li forti vampi,
E li grati vinticeddi
Pri rigina di li campi
Ti salutanu giulivi,
Pirchi tu li campi avvivi.
       Quannu è Febbu a lu miriu,
Li toi noti sù a lu stancu
Passaggeri di arricriu;

Posa all'umbri lu so ciancu,
E a lu sonu di tua vuci
Si addurmisci duci duci.
       'Ntra li Musi fusti ascritta
E notizia avuta in fonti,
Induvina cui l'à ditta?
Cui? Lu stissu Anacreonti,
Chi fra tanti a tia si ammira
Pri suggettu di sua lira.
       Dissi ancora: ch'ài di argentu
L'ali, e testa di rubinu,
Ch'ài ruggiada in nutrimentu
Di gentili corpu e finu,
Senza carni e senza sangu
Di li Dei quasi a lu rangu.
       E chi spissu all'umbra grata
Di li toi vuschitti chiusi
Pri sintiri 'na cantata
Scinni Apollu cu li Musi,
E chi all'arsu mitituri
La stanchizza tu minuri.
       Si lu Geniu di stu Saggiu
Chi li grazj e lu briu
Appi in propriu ritaggiu,
Tanti preggi in tia scupriu,
Chi t'importa si ridicula
Poi ti sparra la furmicula?
       Sì, lu sacciu e mi fa bili
Lu sintiri susurrari:
Chi stu insettu pricchiu e vili.
Chi s'ammazza a cumulari,
Ti rimprovera, e ti accusa
E di sciocca, e di lagnusa.

       Cui nun sa, chi un cori avaro
Sempri è chiusu a li piaciri?
Canta, dici, ch'eu priparu
Pri lu tempu da viniri,
'Na risposta 'ntra l'internu
Ti la cantu 'ntra l'invernu.
       Quannu altura da lu celu
Cadirannu muschi vranchi,
Pri la fami e pri lu jelu
Sclamirai: moru li cianchi.
Lu miu stomacu è a lanterna...
Va, dirrò, cca 'un è taverna.
       Giacchi tu ti si spassata
'Ntra l'estati cu cantari,
Spassati ora l'invirnata
'Ntra lu friddu cu ballari,
A dijunu 'ntra sti valli
Sì cchiù leggia, e megghiu balli.
       A st'avara sconuscenti
Cci poi diri: si la vita
Si misura da li stenti
Tenitilla, e sia infmita,
Nè crid'iu si possa dari
Cui ti l'àja a invidiari.
       Si però la vita è un donu,
Chi a gudirlu datu sia,
Jeu gustannu lu so bonu
Di li musi in cumpagnia,
Ho campatu e ardisciu diri
Tutta mai purrò muriri.

XXIX.
INNU A BACCU.
       Quali, o lira, quali maì
Diu beneficu a li genti
Risunari tu farai
'Ntra li cordi toi 'ntinnenti?
       Forsi Veneri ed Amuri
Primi fonti di la vita?
M'a li miseri è favuri
Di li guai sta calamita?
       A tia Baccu allegru Diu
Spicca st'innu li soi voli ;
Da tia scinni in nui lu briu,
Tu si chiddu chi cunsoli.
       Doppu chi sbuccaru fora
Abbuluni pesti e mali
Da lu vasu di Pandora
Jennu addossu a li murtali,
       Scacciau Giovi da li celi
La pietà; ma poi si risi,
Poi la morti di Semeli,
A l'impulsi soi curtisi.
       D'idda scossu e insinuatu
Vosi a miseri viventi,
Chi un cumpensu fussi datu
Pri li tanti patimenti.
       A st'oggettu estrassi in vita
Da lu ventri fulminata
Lu bambinu, e poi lu 'nzita
'Ntra 'na coscia sua biata.
       Dda cumpiu li novi luni
Di lu patri in cumpagnia;

Natu poi vinni abbuluni
Di iddu attornu l'alligria.
       La sua facci spira grazj
È una flora di delizj,
Li Nisei Ninfi mai sazj
Sù di daricci carizj.
       Cui jucannu lu scummetti,
Nautra cantacci la ninna
Cui sunannu scattagnetti
Sauta, e abballa linna linna.
       Va Silenu e l'accarizza,
Si l'abbrazza e strinci in pettu,
E li guai di sua vicchizza
Si cci cancianu in dilettu:
       Vucazialu quannu dormi
'Ntra li gambi adaciu adaciu,
Quannu vigghia cci fa 'nnormi
Cu la varva sua d'abraciu.
       Di ciuriddi adorna, e cinci
La facciuzza sua virmigghia,
Poi 'ntra l'aria lu suspinci,
E di latu lu gattigghia.
       Lu Bambinu spiritusu
Li manicchi stenni, e 'nfila
'Ntra lu so pettu silvusu,
E acchiappannu tira e spila.
       Di l'areddara cucciuta
Poi cchiù spintu orna la testa;
La Barbi-pida-curnuta-
Capri-razza cci fa festa.
       'Ntra st'allegra cumpagnia
Crisci, avanza, spica, ingrassa;
Versu l'India poi s'invia,

E rallegra unn'è chi passa.
       Doma tuttu l'Orienti,
E cu trenu assai bizzarro
Fa di tigri ubbidienti
Strascinari lu so carru.
       Gloriusu a la turnata
Supra un scogghiu rampicanti
Di Arianna abbandunata
Muta in giubilu li chianti.
       Summu Eroi, ma non divinu
Ti mustrasti a tanti provi;
Ma lu donu di lu vinu
Ti scupriu figghiu di Giovi.
       Quannu in celu richiamari
Già to patri ti vulia
Ti dignasti a nui lassari
Sta memoria di tia.
       Sù, dicisti a la chiurmagghia
Di li Satiri bicchigni,
Cogghi cogghi, tagghia tagghia
La racina di li vigni.
       Tutti allegri a stu cumannu
Eccu curriri e sotari,
Pri ddi chiani vennu e vannu
Cu carteddi e cu panari.
       Vennu e vannu li ridiculi
Satiretti allegri e sbarj,
Comu listi di furmiculi
Di frumentu attornu all'arj.
       Cui panara chini a tappi
Port' appisi 'ntra li corna,
Cui cci appenni stocchi e rappi,
E trippannu all'autri scorna.

       Pri cchiù accrisciri la festa
Di li toi giulivi riti
Puru adorni la tua testa
Di la cchiù superba viti,
       Poi cu menti singulari
Fai 'ntra un largu e vastu tinu
La racina sdivacari
Sin'a tantu, ch'è già chinu.
       Via, dicisti, a tutti quanti
Via pistati: dalla-dalla;
E ogni Satiru a l'istanti
Sauta dintra pista e balla.
       Già lu mustu acchiana 'nzusu,
Già incumincia a riscaldari,
E lu spiritu diffusu
Fa li testi sbariari.
       Doppu chi da supra e sutta
Vidi e tocchi cu li manu,
Che pistata tutta tutta,
Nè nni resta un cocciu sanu;
       Basta cca, cumanni allura,
Basta cca, si copra e scopra',
Da se stissa la natura
Ben saprà compiri l'opra.
       Eccu in fatti già si avanza
Lu rivugghiu e sauta e fuma,
Va criscennu la fraganza,
Va assummannu già la scuma .
       Tuttu è motu ed azioni,
Quasi ogn'atomu avi vita,
Si scatina, si scumponi,
Poi di novu si marita.
       Quann'ài vistu già distrutti

Li potenzi guirriggianti
Di lu mustu, e chi ridutti
Sù in un fluidu pizzicanti,
       Gridi: orsù lesti li manu.
Chi si passi in vutti e stipi;
Ma si 'un è placatu, e sanu
Lu stuppagghiu nun s'intipi.
       Eccu già la chiurma vola
Di li Satiri e Silvani,
Or'appuzzanu bugghiola,
Ora fannu da giurani,
       Cui cu sicchiu, cui cu ciotula
Veni appuzza, vivi, e sbaria,
Si nni arrucia e si nni scotula,
Gira e sbota a gamm'all'aria.
       Autri 'mmestinu e burdianu,
Autri ammuttanu e si affuddanu,
Tutti scialanu e trippianu,
E a lu tinu poi si abbuddanu.
       Di cca e dda cu ciaschi e bummali
Sempri tessinu e sbulazzanu,
Fannu gran cazzicatummuli,
Pri lu briu già quasi impazzanu.
       Viva Bromiu, viva, intonanu
Li Baccanti, e comu animali
Vannu in giru, e allegri sonanu
Tammureddi cu cirimuli.
       E a Silenu atturniannusi
Supra un sceccu lu cunducinu,
Va li labbr'iddu liccannusi,
Chi di mustu ancora lucinu.
       La sua testa è juta in gloria,
Puru l'occhi ancora ridinu;

Già lu briu la murritoria
Da lu sceccu lu dividinu;
       Ma parannulu 'ntra l'aria,
Novamenti lu rimettinu;
Iddu ridi e in parti sbaria,
Chiddi l'asinu scummettinu.
       Di alligrizza tutti addumanu,
Spersi sù li curi serj,
Lu briu sulu regna, e sfumanu
Di la vita li miserj.
       Cui lasciannu aratru e vommara
'Ntra lu pratu in ervi e ziddari,
'Ntra l'ardiculi si agghiommara
Cu 'na Ninfa chi fa sguiddari.
       Nun curannu fanghi e zaccani
L'autri currinu e talianu
E ridennu a forti scaccani,
Poi li manu sbattulianu.
       Gran Dionisiu, a tia si divinu
Li gran giubili (altu gridanu
Li Bassaridi chi vivinu,
E chi a brindisi si sfidanu).
       Tu Lieu, tu scacci e abomini
L'aspri curi, e tu ti studj
Di abbassari insinu all'omini
Li piaciri e li tripudj:
       Dunc'apprendanu li vausi
A far'ecu a lu to encomiu,
E a ripetiri sti applausi:
Viva Baccu, viva Bromiu.

XXX.
IN LODI DI LU VINU.
       Giratu lu girabili
Lu briu d'insusu e 'gnusu,
Nun potti mai truvarisi
Nè tana, nè pirtusu.
       Dintra 'na "vigna capita
Già stancu e senza lena,
E sti paroli flebili
Pò proferiri appena :
       Pri carità salvatimi
Vui teneri magghioli,
Tuttu lu munnu è lastimi,
Nessuna cchiù mi voli.
       Li mali e guai mi oppriminu
In terra dominanti,
L'omini mi discaccianu
Da peni oppressi e chianti.
       Nuddu mi voli accogghiri:
Vui, si pietà sintiti...
Dici, e già vidi sciogghiri
Li fibbri di la viti!
       Cci offrinu tantu spaziu
Quant'iddu s'introduci
Dicennu: vi ringraziu,
E avvivau cchiù la vuci.
       Pri stu benigna ospiziu,
Viti, chi tu mi dai,
Stupennu benefiziu
Da Baccu nn'avirai.
       Virrà pri compensariti
Baccu, che patri miu

In nettari a canciariti
Stu sucu unni sugn' iu.
       Chistu sarà delizia,
Ristoru a li mortali,
Rimediu a la mestizia,
Balsamu di li mali.
       Purtirà l'equilibriu
Ad onta di lu Fatu,
'Ntra ricca genti e povera,
'Ntra un grandi ed un privatu.
       In iddu a rinovarisi
Miu regnu turnirà,
E insemi a cunsularisi
L'afflitta umanità.
       Dissi, e li leti augurj
Confìrmau Giovi. Un lampu
Di gioja e di tripudiu
Scursi di campu in campu.

XXXI.
LA ZE-SCIAVERIA
       La ze-Sciaveria
'Ntra la sua ripa
Metti a lu pubblicu
'Na nova stipa.
       'Na godibilia,
Na festa granni
'Ntima, e l'annunzia
Pri tutti banni.
       Lu scogghiu celebri
Di li murriti
Pensa d'esponiri
Cosi inauditi.

       Novi spettaculi,
Noliti novi,
Di murritoria
L'ultimi provi.
       Balli e tripudj,
Sauti a muntuni,
Favuli e brinnisi,
Soni e canzuni.
       Pri li crepusculi
Nun fari mali,
Stenni 'ntra l'aria
Tenni e tinnali.
       A li piramidi
L'estremi attacca
Pri poi furmarisi
'Na gran barracca.
       Vanchi cu trispita,
Seggi a minnitta,
Acciò nun stassiru
Tutti a l'addritta.
       Gran cornacopj,
Specchi e lumeri,
Ed autri mobili
Di cavaleri.
       Picciuli tavuli
Cu dui cannili
Pri jochi serj,
E viduvili.
       'Na bella musica,
La quali servi
A stuzzicarivi -
Musculi e nervi;
       Chi mentri arrozzula

Noti festivi
Si balla, e sauta,
Si canta, e vivi.
       Viniti a godiri,
O villiggianti,
Cu li reciprochi
Vostri galanti.
       Omini e fimmini,
Granni e picciotti,
Chi 'ntra lu viviri
Siti cchiù dotti.
       Viniti a cogghiri
Li belli frutti,
E lu gran giubilu
Chi dà la vutti.
       Cu l'occhi languidi
Menzi 'ngriciati
Irriti in gloria
Leti, e biati.
       Vegnanu a furia
Viduvi, e schetti,
Basta ch'avissiru
Li manu netti.
       Nun si rifutanu
Li maritati,
Basta chi 'un fussiru
Troppu'ngrasciati
       Comu furmiculi,
Chi vannu a listi,
Li chiurmi vegnanu
Di l'Abbatisti.
       Pri 'nsigna propria
'Ntra li capiddi

Portinu areddara,
Rosi, e murtiddi.
       Comu li lodani,
Chi vannu a sbardu,
Li genti curranu
Di San Catardu.
       Pri distinguirisi
D'ogni cumarca
Portinu crocchiuli
Cu junchi, ed arca.
       D'ervi maritimi
Porti 'na stola
Ogni individuu
Di Mustazzola.
       Rami di ceusi
In signu esponga,
Cui veni a scinniri
Da Turrilonga.

SECONDA PARTE
MONUMENTO A
GIOVANNI MELI
Medaglia di bronzo dedicata a G.Meli (Collez. F. Di Rauso - Caserta)
ODI
SECONDA PARTE