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ALDO PALAZZESCHI



POESIE VARIE








Gocciole

...dopo tanto buio
e spaventoso rumore
dopo uno scroscio
violento e salutare
coi profumi della Terra
è tornata la luce
e nella purezza dell' aria
rifulge vivissirno il sole.
Un arco di gernrne
getto dell'orizzonte
la Terra al cielo congiunge.
Dal ramo ancor bagnato
scendono
una dopo altra tante gocciole
ed ognuna
scendendo rapida
si gonfia di luce e di colore.
Pervenuta al limitare
in ebbrezza e vertigine
tutti i colori risplende
e cade
Con egual ritmo e gioia uguale
dietro di lei l'altra la segue
e cade
rapidarnente.







Essere o non essere

Oggi pensavo a te
noiosissimo Amleto
che combinasti tante fesserie


dopo aver perduto il bandolo
del vivere concreto
in questo mondo
dove ci dibattiamo:
inutilmente
qualche volta con gioia
e non di rado con malinconia
per sapere che siamo
e vivere che sia.
Oggi è giornata bella
per me
tutto color di rosa
intorno:
il trionfo dell'allegria.
Quando mi sento
lieto e soddisfatto
ti rispondo:
« sono »
senz'altro.

(Da Cuor mio, Milano, 1968)

  
Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:nfiorillo@email.it ==
Aldo Palazzeschi

fra tradizione e innovazione
_________




ORE SOLE

Dal tetto cadon giù
un dopo l'altra
l'ore,
le lascia giù cadere
l'orologio a martello!
in colpi secchi
uguali
tutte sul mio cervello.
E ognuno di quei colpi
m'è come una puntura,
come se mi strappassero un capello.
Ore sole  come solo pane
per oggi e per dimane
e per tutti i giorni di tutte le settimane.
Mattutine, vespertine,
popolate da campane
vicine e lontane.
Ore del sole
che non ridete a chi v'aspetta sole.
Ore grigie, ore nere,
silenzio delle campane
vicine e lontane.
Vien da qui presso
spampanato il coro
dell'antico convento delle Nazarene,
sfogano in coro le loro pene
a tutte le ore
(e lo spampana il vento)
anche per esse l'ore son sole.
« Al cielo, al cielo l'ore son sole...
la gloria o Signor!»
Ore della notte, ore del sole,
eguali tutte
che non ridete a chi v'aspetta sole,
Ore sole come solo pane
per oggi e per dimane
e per tutti i giorni di tutte le settimane.









Sole

Vorrei girar la Spagna
sotto un ombrello rosso.

vorrei girar l'Italia
sotto un ombrello verde.


Con una barchettina,
sotto un ombrello azzurro,
vorrei passare il mare;
giungere al Partenone
sotto un ombrello rosa
cadente di viole.

.



Mar grigio

lo guardo estasiato  tal mare:
immobile mare uguale.
Non onda,
non soffio che l'acqua ne increspi,

non aura vi spira.
Di sopra lo copre un ciel grigio
bassissimo, intenso, perenne.
lo guardo estasiato tal mare.
Non nave, non vela, non ala,
soltanto egli sembra
un'immensa lamiera d'argento brunastro.
Su desso
velato si mostra ogni astro.
Il sole si mette una benda di luttoll,
la luna un vel grigio,
le innumeri  stelle lo guardano
tenendo un pochino socchiuso
il lor occhio vivace.
lo guardo estasiato tal mare.
Ma quale fu l'acqua ad empirlo?
Dai monti ruinò?
Sgorgò dalla terra?
Dal cielo vi cadde?
O cadde piuttosto dagli occhi del mondo?
Mar grigio,
siccome  una lastra d'argento brunastro,
immobile e solo,
uguale,
ti guardo estasiato.
Ma c'è questo mare? Ma c'è?
Sicuro che c'è!
lo solo lo vedo,
io solo mi posso indugiare a guardarlo,
tessuta ho la vela io stesso:
la prima a solcarlo







Il castello dei fantocci

Vi sono alla proda del tetto
quattordici teste di marmo
corrose e annerite dal tempo,
La gente le chiama « i fantocci ».
Il grande castello è senza finestre.
La piccola porta di legno, corrosa dal tarlo ,
è scossa dal vento e sembra cascare,
La gente passando si volge e procede
a dinanzi al castello ch'è senza finestre.
Si sa di broccati, di seggiole d'oro,
di mobili grandi cosparsi di gemme ,
di cofani zeppi di perle e rubini: un tesoro;
si dice: « dal tetto si vede il bel mondo »
La gente passando si volge e procede
dinanzi al castello ch'è senza finestre.
La piccola porta di legno, corrosa dal tarlo,
è scossa dal vento e sembra cascare.
La gente passando si volge e procede
dinanzi al castello ch'è senza finestre.
Si sa di broccati, di seggiole d'oro,
di mobili grandi cosparsi di gemme,
di cofani zeppi di perle e rubini: un tesoro;
si dice: « dal tetto si vede il bel mondo ! ».
E solo « i fantocci» lo stanno a guardare












Lo scrittore

Scrivere scrivere scrivere...
Perché scrive lo scrittore?
C'è modo di saperlo?
Si sa?
Per seguire una carriera come un'altra
o per l'amore di qualche cosa?
Chi lo sa.
cultura e società
Amore della parola
per vederla risplendere
sempre più bella, lucida, maliosa ,
né mai si stanca di lucidarla.
Per questa cosa sola
senza neppure un'ombra
della vanità?
Scrive con la speranza
di trovare una mano sconosciuta
da poter stringere nell'oscurità.






Ara Mara Amara

In fondo alla china,
fra gli alti cipressi,
è un piccolo prato.
Si stanno in quell'ombra
tre vecchie
giocando coi dadi.
Non alzan la testa un istante,
non cambian di posto un sol giorno.
Sull'erba in ginocchio
si stanno in quell'ombra giocando.


A palazzo Oro Ror

   Nel cuor della notte, ogni notte,
la veglia incomincia a palazzo Oro Ror.
In riva allo stagno s'innalza il palazzo,
soltanto lo stagno lo guarda perenne e lo specchia.

Già lenta l'orchestra incomincia la danza,
la notte è profonda.

Comincian le dame che giungon da lungi,
discendon silenti dai cocchi dorati.
Dei ricchi broccati ricopron le dame,
ricopron le vesti cosparse di gemme i ricchi broccati.

Finestra non s'apre a palazzo Oro Ror,
ma solo la porta, la sera, pel passo alle dame.
In fila infinita si seguono i cocchi dorati,
discendon le dame silenti ravvolte nei ricchi broccati.
Lo stagno ne specchia l'entrata,
e l'oro dei cocchi risplende nell'acqua estasiata.

L'orchestra soltanto si sente.
Si perde il vaghissimo suono
confuso fra muover di serici manti.
La veglia ora è piena.
Di fuori più nulla.
Silenzio.

Un cocchio lucente ancora lontano risplende,
s'appressa più ratto del vento
e rapida scende la dama tardante.
Se n'ode soltanto il leggero frusciare del serico manto.

Il cocchio ora lento nell'ombra si perde.

[Lanterna, in Palazzeschi 2002, 39]








Lo sconosciuto

L'hai veduto passare stasera?
L'ho visto.
Lo vedesti ieri sera?
Lo vidi, lo vedo ogni sera.
Ti guarda?
Non guarda da lato,
soltanto egli guarda laggiù
laggiù dove il cielo incomincia
e finisce la terra laggiu
nella riga di luce
che lascia il tramonto.
E dopo il tramonto egli passa.
Solo?
Solo.
Vestito?
Di nero, è sempre vestito di nero.
Ma dove si sosta?
A quale capanna?
A quale palazzo?











Compleanno

Quant'anni hai?
domando a Dado
nel giorno del suo compleanno:
Tre
risponde Dado
assaltandomi con un grido.
Ma vedo che trattiene una domanda
dopo avermi guardato,
una domanda
che stava per sfuggirgli dal labbro,
e abbassando la testa
mortificato
congiunge le manine nel grembo
compostamente
il bambino beneducato.
Dado perchè?
T'avrei risposto  "ottanta"
come tu m'hai detto tre.







Cobò

    Chicchicchirichi!... Chicchicchirichi!...
    "Ecco il dì".
    Cantano i galli di Cobò.
    Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore
    fra poche ore.
    Povero Cobò! Povero Cobò!
    Ciangottano i pappagalli.
    Addio Cobò! Addio Cobò!
    E le galline:
    cocococococococodè:
    "oggi è per te"
    cocococococococodè:
    "Cobò tocca a te".
    Le tortore piene di malinconia
    si sono radunate in un cantuccio:
    glu... glu... glu...
    "non ti vedremo più".
    I cani si aggirano mesti
    con la coda ciondoloni, mugolando:
    bau... bau... baubaubò:
    "addio papà Cobò".
    E i gatti miagolando:
    gnai... gnai... gnai... fufù
    "Mai... mai... mai più".
    E le cornacchie:
    gre gre gre gre
    "anche a te, anche a te".
    Fissando il capezzale
    la civetta
    veglia e aspetta.

la passeggiata

- Andiamo?
- Andiamo pure.

All'arte del ricamo,
fabbrica passamanerie,
ordinazioni, forniture.
Sorelle Purtarè.
Alla città di Parigi.
Modes, nouveauté.
Benedetto Paradiso
successore di Michele Salvato,
gabinetto fondato nell'anno 1843.
avviso importante alle signore !
La beltà del viso,
seno d'avorio,
pelle di velluto.
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole.
tumulto a sinistra, tumulto a destra.
Il gran Sultano di Turchia ti aspetta.
La pasticca di Re Sole.
Si getta dalla finestra per amore.
Insuperabile sapone alla violetta.
Orologeria di precisione.
93
Lotteria del milione.
Antica trattoria "La pace",
con giardino,
fiaschetteria,
mescita di vino.
Loffredo e Rondinella
primaria casa di stoffe,
panni, lane e flanella.
Oggetti d'arte,
quadri, antichità,
26
26 A.
Corso Napoleone Bonaparte.
Cartoleria del progresso.
Si cercano abili lavoranti sarte.

==>SEGUE

Anemia !
Fallimento!
Grande liquidazione!
Ribassi del 90 %
Libero ingresso.
Hotel Risorgimento
e d'Ungheria.
Lastrucci e Garfagnoni,
impianti moderni di riscaldamento:
caloriferi, termosifoni.
Via Fratelli Bandiera
già via del Crocefisso.
Saldo
fine stagione,
prezzo fisso.
Occasione, occasione!
Diodato Postiglione
scatole per tutti gli usi di cartone.
Inaudita crudeltà!
Cioccolato Talmone.
Il più ricercato biscotto.
Duretto e Tenerini
via della Carità.
2. 17. 40. 25. 88.
Cinematografo Splendor,
il ventre di Berlino,
viaggio nel Giappone,
l?onomastico di Stefanino.
Attrazione ! Attrazione!
Cerotto Manganello,
infallibile contro i reumatismi,
l'ultima scoperta della scienza !
L'Addolorata al Fiumicello,
associazione di beneficenza.
Luigi Cacace
deposito di lampadine.
Legna, carbone, brace,
segatura,
grandi e piccole fascine,
fascinotte,
forme, pine.
Professor Nicola Frescura:
state all'erta giovinotti !

==>SEGUE
Camicie su misura.
Fratelli Buffi,
lubrificanti per macchine e stantuffi.
Il mondo in miniatura.
Lavanderia,
Fumista,
Tipografia,
Parrucchiere,
Fioraio,
Libreria,
Modista.
Elettricità e cancelleria.
L'amor patrio
antico caffè.
Affittasi quartiere,
rivolgersi al portiere
dalle 2 alle 3.
Adamo Sensi
studio d'avvocato,
dottoressa in medicina
primo piano,
Antico forno,
Rosticcere e friggitore.
Utensili per cucina,
Ferrarecce.
Mesticatore.
Teatro Comunale
Manon di Massenet,
gran serata in onore
di Michelina Proches.
Politeama Manzoni,
il teatro dei cani,
ultima matinée.
Si fanno riparazioni in caloches.
Cordonnier.
Deposito di legnami.
Teatro Goldoni
i figli di nessuno,
serata popolare.
Tutti dai fratelli Bocconi !
Non ve la lasciate scappare !
29
31

==>SEGUE

vedrai,
    che uccidi
    me pure.
    Clof, clop, cloch,
    cloffete,
    cloppete,
    clocchete,
    chchch...




Nebbia

Dal grigio della nebbia fitta fitta
traspaiono cipressi
ombre nere
spugne di nebbia.
E di lontano dondolando lento
ne vien un suono di campana quasi spento.
Più lontano lontano lontano
passa un treno mugghiando.


Pizzicheria

"Ettogrammo, chilo, mezzochilo.
cacio, burro, prosciutto, salame,
acciughe, salacche, baccalà... "
Sono voci del gergo
di questo untuoso reame.
"Mi serve o non mi serve?
Ho tanta fretta! "
" Aspetti... "
" Mi dia retta. .
Venga qua ".
S'infuria una servetta,
una s'acqueta.
" Il solito formaggio
ma con poca corteccia".
E una sicura mano
apre una breccia nel parmigiano.
Molla e tira, tira e molla,
poca corteccia e di molta midolla.
Aver fretta ed aspettare,
pesare, tagliare, affettare,
entrare, andar via,
sono le note costanti
della quotidiana sinfonia
in una antica pizzicheria



Pastello del tedio

Dal grigio della nebbia fitta fitta
traspaiono cipressi
ombre nere
spugne di nebbia.
E di lontano dondolando lento
ne viene un suono di campana quasi spento.
Più lontano lontano
passa un treno mugghiando.





Una casina di cristallo

Una casina di cristallo
lo sogno una casina di cristallo
proprio nel mezzo della città,
nel folto dell'abitato.
Una casina semplice, modesta,
piccolina, piccolina,
tre stanzette e la cucina.
Una casina
come un qualunque mortale
può possedere,
che di straordinario non abbia niente,
ma che sia tutta trasparente:
di cristallo.
Si veda bene dai quattro lati la via
e di sopra bene il cielo
e che sia tutta mia.







E lasciatemi divertire

Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.

Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche,
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la... spazzatura
delle altre poesie,

Bubububu,
fufufufu,
Friù!
Friù!

==>SEGUE

Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

Bilobilobiobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù,
U.

Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
liii!
Qoooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
diteci un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con cosi poco
tenere alimentato
un sì gran foco?

Huisc… Huiusc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Sciu
ko
ku.

Come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate
in giapponese,

==>SEGUE






La casa di Mara

La casa di Mara è una piccola stanza di legno,
a lato un cipresso l'adombra nel giorno.
Davanti vi corrono i treni.
Seduta nell'ombra dell'alto cipresso sta Mara filando.
La vecchia ha cent'anni.
E vive filando in quell'ombra.
I treni le corron veloci davanti
portando la gente lontano.
Ell'alza la testa un istante
e presto il lavoro riprende.
I treni  mugghiando
s'incrocian dinanzi alla casa di Mara volando.
Ell'alza la testa un istante
e presto il lavoro riprende.













il segno

Laddove le vie fan crocicchio
poggiata a un cipresso è la croce.
Sul nero del legno risplendono
i numeri bianchi.
La gente passando si ferma un istante,
e sol con due dita toccando leggero quel legno
fa il segno di croce.


Clof, clop, cloch,
    cloffete,
    cloppete,
    chchch...
    La tisi
    l'uccide.
    Dio santo,
    quel suo
    eterno
    tossire
    mi fa
    morire,
    un poco
    va bene,
    ma tanto...
    Che lagno!
    Ma Habel!
    Vittoria!
    Andate,
    correte,
    chiudete
    la fonte,
    mi uccide
    quel suo
    eterno tossire!
    Andate,
    mettete
    qualcosa
    per farla
    finire,
    magari...
    magari
    morire.
    Madonna!
    Gesù!
    Non più!
    Non più.
    Mia povera
    fontana,
    col male
    che hai,
    finisci
   
==>SEGUE




Comare Coletta

    « Saltella e balletta
    comare Coletta !
    Saltella e balletta ! »

Smagrita, ricurva, la piccola vecchia
girando le strade saltella e balletta.
Si ferma la gente a guardarla,
di rado taluno le getta denaro;
saltella più lesta la vecchia al tintinno,
ringrazia provandosi ancora
di reggere alla piroetta.
Talvolta ella cade fra il lazzo e le risa:
nessuno le porge la mano.

    « Saltella e balletta
    comare Coletta !
    Saltella e balletta ! »

– La tua parrucchina, comare Coletta,
ti perde il capecchio !
– E il bel mazzolino, comare Coletta,
di fiori assai freschi !
– Ancora non hanno lasciato cadere
il vivo scarlatto.
– Ricordan quei fiori, comare Coletta,
gli antichi splendori ?
– Danzavi nel mezzo ai ripalchi,
n’è vero, comare Coletta ?
Danzavi vestita di luci, cosparsa di gemme,
E solo coperta di sguardi malefici, vero ?
– Ricordi le luci, le gemme ?
– Le vesti smaglianti ?
– Ricordi gli sguardi ?
– Ricordi il tuo sozzo peccato ?
– Vecchiaccia d’inferno,
tu sei maledetta.

    « Saltella e balletta
    comare Coletta !
    Saltella e balletta ! »

==>SEGUE


Ricurva, sciancata,
provandosi ancora di reggere alla piroetta,
s’aggira per fame la vecchia fangosa;
trascina la logora veste pendente a brandelli,
le cade a pennecchi di capo il capecchio
fra il lazzo e le risa,
la rabbia le serra la bocca
di rughe ormai fossa bavosa.
E ancora un mazzetto
di fiori scarlatti
le ride sul petto.

    « Saltella e balletta
    comare Coletta !
    Saltella e balletta »

[Lanterna, in Palazzeschi 2002, 39]
Habel Nasshab

Habel Nasshab, sei bello tu,
con quegli enormi calzoncioni blu!

È il fido, il solo.
Il fido custode, il solo compagno;
il solo che trova dischiusa ogni porta
davanti al suo passo
qua dentro.
Mi segue e non sento il suo passo,
siccome un pensiero cammina,
un dolce pensiero che guarda
con occhio di calma e di gioia.
Io dormo, egli veglia.
Ai piedi del letto egli veglia:
di rado egli dorme, brev'ora.
Mi guarda sereno, mi segue, mi serve.
Non cenno,
non sillaba ad Habel bisogna,
non parla,
cogli occhi soltanto mi parla,
cogli occhi gli parlo.
Io prego,
io son genuflesso a piè del mio altare:
mi guarda commosso.
Talora mi volgo:
gli scopro negli occhi bagliori lucenti.
Talora grandissime lacrime
si avanzan dagli occhi di Habel,
s'ingrossan,
si fanno convesse siccome una lente,
mi fanno d'un tratto vedere
intero
l'immenso mistero d'oriente.
Oh! Gli occhi di Habel.
I palpiti verdi smaglianti dell'acque,
l'azzurro del cielo,
del mare profondo,
e l'arido biondo di sabbie
che dan lo sconforto,
che dicon di sguardi perduti
davanti al mistero d'ignoto infinito.

==>SEGUE


Ei pure talora s'indugia a pregare,
pregare il suo Dio,
(non ho anch'io il mio?)
Talora... Talora...
non so... ma la pace si parte dal cuore,
non so che mi prende,
non so che mi sento...
bruciare negli occhi imperiosi le lacrime...
un nodo alla gola mi serra...
la pena il cuore m'invade e mi preme,
smarrisco la luce che guida e che tiene...
e grida d'angoscia prorompon dal petto,
e grido, e grido:
"Vogl'ire!
Vogl'ire lontano!
La vo' far finita l'orribile vita.
Aprire la sudicia porta e fuggire.
Vogl'ire nel mondo, nel mezzo alla vita,
vogl'essere uomo,
amante vogl'esser, guerriero,
vogl'ire lontano a gioire,
vogl'ire lontano a morire".
Mi guarda, mi guarda,
s'avanzan dagli occhi del fido
le lacrime grandi,
s'ingrossan,
si fanno convesse siccome una lente,
mi fanno d'un tratto vedere
intero
l'immenso mistero d'Oriente.
"No Habel, non pianger,
ritorna la calma, sta' certo,
lo sai...
rimango rimango."
E tornan le braccia
sul corpo cadenti,
ritorna lo sguardo al suo sonno:
le lacrime vedo
negli occhi di Habel rientrare... rientrare.
"Rimango rimango, sta' certo,
lo sai..."
La pena di Habel
la pace rimena al mio spirito intera.

==>SEGUE







Il convento delle Nazarene

Nazarene settecento
Tutte chiuse  in un convento
senza luci e senza grate
per le suore rinserrate.
Ma ve le figurate
tutte quelle monache,
con quelle enormi tonache,
là dentro rinserrate?
Una gran croce sul petto,
un anello benedetto,
una cinta nera e dura
per le suore di clausura.
Facce liete, facce austere,
chete chete passeggIare,
adunate in grandi schiere,
con sommesso mormorare
di preghiere.
Non un gesto di lamento
non un guardo di sconforto,
e son nientedimeno che settecento,
rinserrate là dentro.
Se ne vede una passare
con incesso da gran signora,
esemplare,
la Superiora Generale.
Immobile su di una poltrona,
con un' aria legnificata,
una suora centenaria
stringe l'ultimo chicco della sua corona.
E in un canto del vasto cortile;
una giovane, parte un pomo a spicchi,
in terra ha posato un bacile
pieno zeppo di radicchi.

[Lanterna, in Palazzeschi 2002, 39]






Il passo delle Nazarene

Nazarene bianche, Nazarene nere.
Del fiume a le rive
si guardan da tanto i conventi,
si guardan con occhio di vecchia amicizia
le piccole torri, una bianca e una nera,
le suore s’incontran la sera,
la sera al crepuscolo.
Due volte s’incontran, le bianche e le nere,
sul ponte, sul ponte che unisce i conventi,
gli unisce da tanto per vecchia amicizia,
le piccole torri si guardan ridenti
una bianca e una nera,
le suore s’incontran la sera,
la sera al crepuscolo.
Le piccole chiese al crepuscolo s’aprono,
ne sortono leste le suore ed infilano il ponte;
nel mezzo s’incontran,
s’inchinan le bianche e le nere,
si recan l’un l’altre a la piccola chiesa al saluto;
vi fanno una breve preghiera
e leste rinfilano il ponte.
Di nuovo nel mezzo s’incontran,
s’inchinan le file, una bianca e una nera,
le suore s’incontran la sera,
la sera al crepuscolo.

[Lanterna, in Palazzeschi 2002, 39]
ALDO PALAZZESCHI - Poesie varie









Il Pappagallo

La bestia ha le piume di tanti colori
che al sole rilucon cangiando.

Su quella finestra egli sta da cent’anni
guardando passare la gente.
Non parla e non canta.

La gente passando si ferma a guardarlo,
si ferma parlando fischiando e cantando,
ei guarda tacendo.

Lo chiama la gente,
ei guarda tacendo.















La vecchia del sonno

Centanni ha la vecchia.
Nessuno la vide aggirarsi nel giorno.
Sovente la gente la trova a dormire
vicino alle fonti:
nessuno la desta.
Al dolce romore dell'acqua
la vecchia s'addorme,
e resta dormendo nel dolce romore
dei giorni dei giorni dei giorni...
Habel Nasshab, sei bello tu,
con quegli enormi calzoncioni blu!











La vasca delle anguille

La vasca è assai grande
e l'acqua v'è fonda quattr'uomini almeno.
Si dice: "Vi sono le anguille".
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna.
"Son grosse le anguille,
più grosse di un bimbo fasciato", si dice.
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna.
"Son buone le anguille,
più buone del pane e del miele", si dice.
Sta intorno nel giorno la gente a pescare alla canna
















A palazzo Rari Or

Da vetri oscurissimi
leggera una nebbia viola traspare:
finissima luce.
E s’odon le noti morenti
dei balli più lenti.
Si vedon dai vetri
passare volanti
le tuniche bianche
di coppie danzanti.

Dai Cavalli bianchi a Poemi:
le opere giovanili

Dopo aver concluso controvoglia il ciclo di studi alla Reale Scuola Superiore di Commercio di Ca’ Foscari e aver ottenuto il diploma, il diciottenne Aldo Giurlani – allontanandosi dal parere dei genitori, i quali vorrebbero che egli approfondisse le discipline economiche e commerciali – decide di assecondare la propria vocazione artistica iscrivendosi alla Reale Scuola di Recitazione Tommaso Salvini, diretta da Luigi Rasi (tra i suoi compagni di corso vi sono, tra gli altri, Gabriellino D’Annunzio e Marino Moretti, che diventerà suo grande amico). Dopo aver recitato nella rappresentazione del Ventaglio di Carlo Goldoni – dove interpreta il barone del Cedro nel saggio di fine anno della scuola – e in quella del dramma di Ferdinando Martini Il peggio passo è quello dell’uscio, nell’aprile 1906 abbandona definitivamente il teatro per dedicarsi a tempo pieno alla poesia. Nel frattempo il giovane si abbona alla biblioteca del Gabinetto G.P. Vieusseux e affronta da autodidatta le sue «prime vere letture» che, pur sostenute senza un ordine logico/cronologico, gli consentono di venire a contatto con i filosofi che hanno dominato il pensiero della seconda metà dell’Ottocento, con le immense strutture architettoniche dei romanzi di quel secolo e con quelle meno solide – concentrate sulla dimensione psicologica dei personaggi piuttosto che sulla loro funzione narrativa all’interno della storia – dei primi anni del Novecento, e infine con i grandi poeti italiani ed europei, dai quali assimila «quella musica (in particolare Pascoli) che è riconoscibile come costante “rumore di fondo” all’interno delle sue raccolte giovanili». La rinuncia al palcoscenico non ha una spiegazione razionale.
Il debutto letterario risale al dicembre 1905, quando lo scrittore pubblica a proprie spese – presso lo stampatore fiorentino G. Spinelli & C. – la raccolta di poesie I cavalli bianchi. In copertina compare per la prima volta il nome Aldo Palazzeschi, pseudonimo che accompagnerà il poeta durante l’intero arco della sua carriera artistica e che verrà adottato in tutti i lavori successivi. L’opera presenta venticinque componimenti – tutti scritti in versi liberi – imperniati su una spiccata eufonia e su un lirismo cadenzato che con la sua periodicità ripropone nelle diverse poesie medesimi stilemi e modelli ritmico-musicali: questo effetto formale – che in qualche modo richiama alla memoria i refrain dei grandi poemi epici, dall’omerico «Troia dalle belle mura» all’«aoi» ripetuto al termine di ogni lassa nella Chanson de Roland – parte dal mito per arrivare alla fiaba. Dimensione fiabesca che viene peraltro confermata dal contenuto dei testi.
Interessante notare come il componimento Ara, Mara, Amara introduca nella poetica palazzeschiana l’immagine dalla forte connotazione icastico-simbolica delle tre vecchie – immagine che ricorrerà più volte nelle opere seriori e che assumerà una precisa dimensione narrativa nei romanzi Il Codice di Perelà e Sorelle Materassi, in cui troviamo rispettivamente la triade senescente Pena-Rete-Lama e Teresa Materassi-Carolina Materassi-
Niobe: «In fondo a la china / fra gli alti cipressi / v’è un piccolo prato. / Si stanno in quell’ombra / tre vecchie giocando coi dadi. / Non alzan la testa un istante, / non cambian di posto un sol giorno. / Su l’erba in ginocchio / si stanno in quell’ombra giocando».
Con il suo esordio poetico il ventenne Aldo non solo riesce a «svuotare di senso i versi della tradizione dannunziana e carducciana, ridotta ad assurda onomatopea», ma dà vita a un’opera in grado di emanciparsi dai modelli crepuscolari che caratterizzeranno gli autori della sua generazione («il registro simbolico di I cavalli bianchi, Lanterna, Poemi, presenta una ossatura di figure, oggetti e simboli per nulla rinvianti ad alcun discorso fondato sul segno “impressionista” della memoria o sul disagio esistenziale, tipico della comunicazione crepuscolare» ). Anche la scelta del verso libero appare ai lettori contemporanei «così totale da restare un caso quasi unico in quegli anni». Fin dalla sua prima pubblicazione, dunque, Palazzeschi è innovatore sia nei confronti della tradizione sia nei confronti del nuovo, andando così ad arricchire ulteriormente con i suoi contributi il già ricco panorama letterario italiano d’inizio secolo, i cui protagonisti nell’arco di un quindicennio – indicativamente dal 1905 al 1920 – costringono la “passatista” letteratura nazionale non solo a farsi finalmente contemporanea alle letterature degli altri paesi occidentali, ma addirittura avanguardista rispetto a loro, tanto da comunicare un senso di confusione e di smarrimento a molti lettori della Penisola, i quali educati a modelli letterari e culturali fortemente vincolanti non riescono a comprendere questo salto improvviso di due generazioni (forse di più) e lo interpretano in chiave negativa: «Non si può apprezzare ciò che non si capisce: l’incomprensibilità provoca frustrazione, quindi induce un moto di deprezzamento. Quando il testo frappone una resistenza eccessiva all’intelligenza del lettore, la percezione estetica non viene attivata».
Salto in avanti che tuttavia viene recepito, apprezzato e messo a frutto oltre i confini del Belpaese: in Svizzera dal movimento Dada, la cui irriverente risata atta a sbeffeggiare le istituzioni è anche un’eco degli scritti palazzeschiani che si prendono gioco dei troppi “professori” pieni di cultura ma chiusi mentalmente nell’accettare la novità; in Francia dal Surrealismo fondato da André Breton, il quale dichiarerà più volte che i padri della rivoluzione artistica, metafisica e non, del Novecento sono stati i fratelli De Chirico, Giorgio e Andrea (quest’ultimo noto con il nome d’arte Alberto Savinio); in Germania dall’Espressionismo, le cui descrizioni adottano le tecniche – che verranno definite appunto “espressioniste”: zumate, “fermo immagine” e isolamento dal contesto di un particolare raccapricciante del volto o del corpo, distorsione del punto di vista, esasperazione della banalità quotidiana fino al raggiungimento del grottesco, «violenta intrusione della prospettiva soggettiva in quella oggettiva della narrazione» – già sperimentate da Marinetti e, in maniera più radicale, da Alberto Savinio e Federigo Tozzi; in Gran Bretagna dal Modernismo.
Dunque le più importanti avanguardie artistico-letterarie europee incominciano a prendere coscienza e a dettare le nuove norme in fatto di poetica solamente una decina d’anni dopo la pubblicazione del manifesto marinettiano che annuncia al mondo la nascita del Futurismo, avanguardia tutta italiana anelante la distruzione più che la costruzione, per lo meno nel primo periodo della sua attività. E non è un caso forse che Dadaismo Surrealismo Espressionismo e Modernismo incomincino a svilupparsi verso la fine del cosiddetto “periodo eroico” del Futurismo (1909-1918), nascendo in qualche modo sulle ceneri di un movimento talmente radicale da aver bruciato tutto e tutti – compreso se stesso – nello spazio di un decennio. Da qui in poi l’Italia, il paese dal quale è partita l’onda del cambiamento, rimane ai margini delle correnti avanguardiste europee, raggiungendo i risultati più apprezzabili con autori che operano al di fuori dei movimenti. Le cause di tale ritorno all’ordine e alla rassicurante tradizione sono di carattere storico più che artistico-letterario: con l’ascesa al potere di Benito Mussolini prende piede quello che Spinazzola ha definito
il «conformismo regressivo imposto dal regime fascista». Importante a proposito leggere quanto lo stesso Spinazzola ci dice di Milano, città simbolo del Futurismo e a lungo sede degli innovativi fermenti culturali italiani.
Nel febbraio 1907 esce la seconda raccolta poetica, Lanterna, pubblicata a Firenze presso lo Stabilimento Tipografico Aldino di Lorenzo Franceschini. Anche questo volume, come il precedente, viene stampato a spese dell’autore. Pur rimanendo nell’ambito del verso libero, i quindici componimenti sono caratterizzati da una forte prevalenza di senari – semplici e doppi – e novenari, spesso alternati tra loro. Le poesie, mediamente di lunghezza maggiore rispetto ai Cavalli bianchi, abbandonano quella che Sergio Corazzini ha chiamato «melodica cantilena che non mai degenera in tedio» e danno vita a una melodia meno circolare: manca la ripetizione eufonica che riporta la mente nel mito e viene meno anche l’atmosfera onirico-fiabesca: «Dalla rarefazione vagamente cimiteriale dei Cavalli bianchi si passa con Lanterna all’affollamento degli oggetti, al compiacimento ornamentale, che risente di un gusto liberty ormai vicino al kitsch e ancora di lontani, sfiorati, archetipi novellistici». I versi perdono parte del primo lirismo e si fanno più narrativi e teatrali. La raccolta comprende anche la prima poesia di Palazzeschi composta interamente da dialoghi: si tratta di Rosario, componimento in cui l’autore dà vita a un’ironica e surreale scenetta condita qua e là da gocce di nonsense («Non vale / per male uguale / salire con ale.»; «Chi vuole Cucù? / Cucù non c’è più! / Cucurucucù.»; «Rerè mio Rerè! / Più bello chi è? / Rerè mio Rerè!»).
In comune con I cavalli bianchi vi sono l’occultamento dell’io, che «non si colloca né dentro né fuori dei complessi luoghi di reclusione che costruisce, o meglio, è insieme dentro e fuori, si dissocia in ambigua ambiguità», e la sostanziale serietà delle poesie: «Con Lanterna siamo ancora su un versante serio e non giocoso, in linea con l’esordio». Nel 1908, di nuovo presso lo Stabilimento Tipografico Aldino, Palazzeschi pubblica la sua prima opera in prosa, :riflessi. Si tratta di un romanzo epistolare alquanto insolito: «A un primo tempo serio segue una coda comica: il contrasto tra le parti permette al nuovo gioco della parodia e della dissacrazione di investire retrospettivamente la prima parte, rovesciando la materia tragico-patetica del romanzo».
I due punti che precedono il titolo collegano il romanzo alla poesia Gioco proibito, presente in Lanterna. Il componimento in questione, infatti, riporta per ben due volte il sostantivo in fine di verso (qui con l’iniziale maiuscola) preceduto dal segno di interpunzione: «Un raggio vien fuori dal mezzo di luce giallastra: / sul raggio soltanto rimangono lievi impalpabili / impronte sfumate di luci, di nebbie: Riflessi.», vv. 7-9; «Vi passan leggere davanti / le impronte sfumate di luci, di nebbie: Riflessi.», vv. 30-31. I due punti rimandano dunque al passato: a un pensiero in nuce già espresso che ora riappare alla memoria confuso e necessita di parafrasi, a una luce la cui fonte è nascosta e non è possibile osservarla se non attraverso il suo riflesso. E da lì – dai “riflessi” – il lettore dovrà partire per incominciare un nuovo viaggio di formazione e di esplorazione interiore, un’approfondita analisi al microscopio della propria anima grazie alle potenti lenti messe a disposizione dall’autore. Al «gioco dei “riflessi” […] interno al testo, con parallelismi tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi», corrisponde un «gioco dei “riflessi” […] esterno al testo, sì da rinviare al rapporto speculare personaggio-autore». La scrittura, ancora lontana dalle sperimentazioni linguistiche e stilistiche che domineranno Il Codice di Perelà, rivela una sensibilità malinconica e disincantata che tocca le corde del cuore e fa rientrare il romanzo in quella parentesi letteraria che Massimo Bontempelli definirà «l’ultima e la più folgorante espressione del romanticismo». Sarà lo stesso Palazzeschi, mezzo secolo dopo, a presentare ai suoi lettori il libro, rivisitato dall’autore e pubblicato in una nuova edizione con il titolo Allegoria di Novembre.
La poca esperienza dello scrittore nel campo della prosa narrativa non gli impedisce di sperimentare nuovi modelli: il romanzo parte dalla «koiné della narrativa coeva […] per liberarsene. Dalle sembianze di un dannunziano eroe di provincia scivola fuori un antieroe nuovo, proiettato verso la modernità novecentesca».
Alla fine dell’aprile 1909 esce Poemi, la terza raccolta di poesie, stampata nuovamente da Lorenzo Franceschini a spese dell’autore. Apre il libro Chi sono?, poesia indipendente dal resto dell’opera, la quale per questo motivo «viene isolata come una sezione autonoma» dall’autore: questo componimento risulta essere di grande importanza «non solo perché riepiloga e fissa la poetica del giovane Aldo, ma perché per la prima volta esibisce senza restrizioni, in prima persona, l’io dell’autore».
A differenza delle prime raccolte, il volume è suddiviso in sezioni, ognuna delle quali è preceduta da un titolo e racchiude al proprio interno un gruppo di componimenti omogenei da un punto di vista tematico-stilistico. La prima delle sei sezioni viene chiamata dall’autore «Piccoli paesi e paesi in grande», titolo a chiasmo – figura retorica non adottata con frequenza da Palazzeschi – che anticipa quattro componimenti assai ritmati di descrizioni paesaggistiche: tra questi il celeberrimo Rio Bo, dove il poeta incomincia a farsi gioco dei professori e delle grammatiche («Microscopico paese, è vero, / paese da nulla, ma però, / c’è sempre di sopra una stella, / … »,42 vv. 6-8), e il geometrico I prati di Gesù, dove ricompare la figura simbolica delle tre vecchie («Nel mezzo, situate / pure in forma di triangolo, tre vecchie, / filano immobili / canapa candida.», vv. 4-7). Segue un gruppo di poesie descrittive impregnato di un forte lirismo racchiuso sotto il titolo «Marine». La terza sezione – «Ritratti» – comprende nove presentazioni di altrettanti personaggi dai tratti marcatamente favolistici: il poeta alterna in modo non regolare i nomi propri (Lord Mailor, Regina Paolina, Regina Carmela, Regina Carlotta, Corinna Spiga) alle descrizioni definite (Lo sconosciuto, La matrigna, Il principe scomparso, La principessa bianca), dando vita a una galleria di volti e di voci – più della metà delle poesie contengono dialoghi – confusi, sfumati nei contorni irreali della magia («Sul trono, di dietro alla testa le sta, / diletto compagno, il bianco paone / con l’ala spiegata, le irradia la chioma corvina, / aureola di purità, / il sole che scalda Regina Paolina» ). Dopo i «Ritratti» arrivano le «Caricature», brevi componimenti di tre versi ciascuno i quali focalizzano l’attenzione sulle particolarità di alcuni personaggi – personaggi che assumono, anche grazie all’uso frequente della rima baciata e dell’ottonario, tinte intensamente comiche, financo grottesche: «con un collo secco secco, / con un naso lungo lungo, / un cappello come un fungo.»; «con due occhini piccolini piccolini, / due minuscoli arricciati baffettini, / quando ride gli si vedon due dentini.» La penultima sezione – «Tele dispari» – indaga sul rapporto che viene a crearsi tra l’uomo e l’ambiente circostante; protagonista di questo gruppo di poesie è l’ambiente stesso, visto e presentato attraverso gli edifici che lo abitano: l’uomo risulta paradossalmente prigioniero delle proprie costruzioni, le quali scandiscono i ritmi della vita quotidiana («ciascuna campana dà un tocco. / Si chiudono insieme d’un tratto / le uguali finestre del borgo, / e restan serrate / infine al tramonto seguente.») e vincolano i movimenti, arrivando perfino a imprigionare i sentimenti e omologare gli stati d’animo («Non un gesto di lamento, / non un guardo di sconforto, / e son nientedimeno che settecento, / rinserrate là dentro.»). Chiudono il volume le poesie raccolte sotto il titolo «La casa Le cose Le anime Gli animali Il mio passatempo», tra cui spiccano La fontana malata, audace sperimentazione onomatopeica che verrà esaltata da Marinetti, e La finestra terrena, dove il poeta si guarda intorno e descrive quello che vede in una sorta di embrionale flusso di coscienza. Poemi può così essere considerata la conclusione di un percorso, di un lungo cammino incominciato quattro anni prima con I cavalli bianchi, e ci consente di valutare in maniera organica i primi lavori in versi del poeta toscano.
Nei Cavalli bianchi Palazzeschi ha cercato di rappresentare oggetti e fantasie del suo “romanzo familiare” in modo straniato, impersonale, mentre in Lanterna questa posizione è stata incrinata dai segni di un tenue coinvolgimento emotivo, in qualche caso ironico, con la “storia” dei suoi personaggi. In Poemi si compie definitivamente questo passaggio che è appena abbozzato dalla seconda raccolta. Il punto di vista dell’autore, prima esterno e separato dalla materia trattata, diventa ora interno, dando forma e vita a un autentico personaggio, il “poeta”, dotato di una propria autocoscienza, che tende a coincidere con quella dell’autore. Il componimento Chi sono? è l’autoritrattoprogramma (l’identikit) di questa nuova figura del repertorio trasformistico palazzeschiano.

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La mia stella tramonta

Una stella m'è apparsa
di prima sera
e cosi bella

da attrarre tutto di me
ogni mio senso
ed ho seguito
senza colpo del ciglio
la Sua parabola celeste.

Come per trarre il respiro
nel faticoso cammino
sostava un istante
e dal petto in affanno
nella luce ancor rossa
dell'occaso
lasciava sgorgare
un fiotto di sangue:
sfregiata stella.

Ma a poco a poco
pur dolorosa in sembiante
s'è chiusa la ferita
che la faceva sanguinare
e nella luce divenuta blu
mostrando il suo splendore
ha seguitato a camminare.

La mia stella tramonta.
La seguo ancora
Ial limitar del cielo
mi abbaglia il suo fulgore
e nella purezza dell'argento
distinguo ancora bene
il segno dello sfregio.





L'Estate

Com'è bello camminare lentamente
sulle rive
laddove l'azzurro del cielo
con l'azzurro del mare si confonde
e mentre l'acqua nell'ondata morente
con frusciare di seta
giunge a lambirti il piede
ti accarezza sulla guancia
e ti fruga nei capelli
l'aria celeste...






Chi Sono?

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
« follìa ».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
« malinconìa ».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
« nostalgìa ».
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Bar la stella polare.
Assunta Chiodaroli
levatrice,
Parisina Sudori
rammendatrice.
L'arte di non far figlioli.
Gabriele Pagnotta
strumenti musicali.
Narciso Gonfalone
tessuti di seta e di cotone.
Ulderigo Bizzarro
fabbricante di confetti per nozze.
Giacinto Pupi,
tinozze e semicupi.
Pasquale Bottega fu Pietro,
calzature...

- Torniamo indietro?
- Torniamo pure.
La fontana malata

    Clof, clop, cloch,
    cloffete,
    cloppete,
    clocchette,
    chchch...
    È giù,
    nel cortile,
    la povera
    fontana
    malata;
    che spasimo!
    Sentirla
    tossire.
    Tossisce,
    tossisce,
    un poco
    si tace...
    di nuovo.
    Tossisce.
    Mia povera
    fontana,
    il male
    che hai
    il cuore
    mi preme.
    Si tace,
    non getta
    più nulla.
    Si tace,
    non s'ode
    rumore
    di sorta
    che forse...
    che forse
    sia morta?
    Orrore
    Ah! No.
    Rieccola,
    ancora
    tossisce,
   
==>SEGUE

Abi, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi, è bene che non lo finisca,
il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala
eppoi lala…
e lala, lalalalala lalala.

Certo è un azzardo un po’ forte
scrivere delle cose così,
che ci son professori, oggidì,
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!

Rio Bo

    Tre casettine
    dai tetti aguzzi,
    un verde praticello,
    un esiguo ruscello: rio Bo,
    un vigile cipresso.
    Microscopico paese, è vero,
    paese da nulla, ma però...
    c'è sempre disopra una stella,
    una grande, magnifica stella,
    che a un dipresso...
    occhieggia con la punta del cipresso
    di rio Bo.
    Una stella innamorata?
    Chi sa
    se nemmeno ce l'ha
    una grande città.


A Palazzo Rari Or

Il palazzo in questione, dal nome accattivante e musicale, è un posto misterioso per non dire proibito, dato che è inaccessibile e può essere osservato soltanto da lontano.
Dati essenziali
Titolo A Palazzo Rari Or (in alcune edizioni, Diaframma di evanescenze) Anno 1905 Raccolta originale Cavalli bianchi
Metro versi senari, novenari e dodecasillabi.
Come la poesia Ara Mara Amara, ripropone un'immagine statica e malinconica. Qui è possibile distinguere tra due spazi rigidamente divisi da vetri scurissimi: il fuori, dove si trova l'io poetico, ed il dentro, un palazzo del mondo della fantasia al quale il poeta non sembra assolutamente poter accedere, anche se resta meravigliato a contemplare quel poco della scena interiore che riesce a scorgere attraverso la finestra. Il titolo originale, Diaframma di evanescenze, indicava la lastra di vetro della finestra, che lascia soltanto trasparire una vaga luce violacea. L'assenza di dinamica temporale è data da forme verbali prive di un preciso valore temporale, come il participio presente (danzanti, morenti). La dinamica di un movimento ripetitivo e danzante (quello del ballo che si svolge nel palazzo "proibito") è riflessa dalla monotonia del ritmo ternario. Chiuso fuori, il poeta non riuscirà ancora ad accedere là dove vorrebbe andare. Questa dinamica sarà infranta soltanto in poesie più mature come La fontana malata.
La presente tabella sintetizza le informazioni principali di questa trattazione, mettendo in evidenza gli sviluppi e le differenze tra le quattro raccolte in cui le poesie di Palazzeschi erano state originariamente pubblicate.
Raccolta
Cavalli Bianchi - 1905
Lanterna - 1907
Poemi - 1909
L'incendiario - 1910


Editore


Poesie proposte

Altre poesie note (selezione)


Metrica e articolazione del testo

Dimensione temporale, dinamiche spaziali
Opere in prosa del periodo
Correnti letterarie vicine

Cesare Blanc: Firenze, via Calimara 2: editore immaginario, finzione letteraria, pubblicazione a spese dell’autore



Come nella raccolta precedente



Come nella raccolta precedente, ma coronata da successo



Edizioni futuriste di Poesia, Milano

La croce,
La casa di Mara,
La vecchia del sonno,
Il pappagallo,
La vasca delle anguille,
A Palazzo Rari Or


A Palazzo Oro Ror,
Comare Coletta,
Il passo delle Nazarene

Chi sono?,
Mar grigio,
Rio Bo,
La fontana malata,
Habel Nasshab



La passeggiata,
E lasciatemi divertire


Oro Doro Odoro Dodoro

: riflessi,
Il parco umido
Vittoria, Lanterna,
Lo specchio,
Mar giallo,
Mar rosso,
Mar bianco
L'incendiario,
Visita alla contessa Eva Pizzardini Ba,
Le Beghine


Verso trisillabo, senario e misure multiple. Componimenti brevissimi, ma numerosi.


Come nella raccolta precedente, ma schema metrico applicato a poesie più elaborate.

Al verso trisillabico, senario ed alle misure multiple viene alternato l'uso del verso libero, dunque metro più articolato (in conformità alla suddivisione di questa raccolta in sezioni distinte).

Uso del verso libero, per componimenti di lunghezza generalmente considerevole. Come la precedente, opera suddivisa in sezioni tematiche.


Scene statiche o cicliche, spazialmente chiuse o chiaramente delimitate.

Come nella raccolta precedente, con maggiore attenzione alle dinamiche più complesse e ai giochi di contrasto e specularità.


Scene aperte e, sporadicamente, possibilità di eventi concatenati.


Come nella raccolta precedente, ricca di veri e propri elementi di narrazione.

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Palazzeschi, :riflessi, romanzo liberty

Palazzeschi, Il Codice di Perelà

Crepuscolarismo

Crepuscolarismo

Futurismo