CULTURA
COLLABORA
GRANDI POETI
NEWS
































Arturo Graf


APPENDICE
____________________

5



L’ASSUNZIONE DI MEFISTOFELE

Conclusa è la storia del genere umano. I tempi sono compiuti. Quello che già si disse mondo, più non esiste. Quanti vissero la vita terrena, così i reprobi come i santi, e coloro che sperarono, e coloro che disperarono, tutti furono, dopo le prove e i castighi, assunti alla pace e alla letizia dei cieli. Solo ed ultimo ne rimane ancor fuori Mefistofele. Egli appare, ritto sopra una nuvola, davanti alla porta spalancata, donde erompe un torrente di luce, fluisce ineffabil dolcezza di spiritali armonie.

CORO DI VOCI ANGELICHE
O mar senza rive,
O mare di vita!
Chi visse rivive
Nell’onda infinita.
Redento, l’Inferno
Assurse alla pace:
Svanito il fugace,
Trionfa l’eterno.
MEFISTOFELE
Bene! Da senno! Buone voci. Buona
Musica. Certo!... tutt’insiem...; sebbene
Un po’ vecchia. Del resto, buona. Quanto
Alle parole... Sembra che lì dentro
Sian tutti molto soddisfatti. Invece,
Io, sospeso nel vuoto, in questo assurdo,
Stupido, vile, interminabil vuoto,
Io qui m’annojo molto orribilmente,
Molto plebejamente.
(Sbadiglia forte).
Con licenza!...
Essendoché dove non c’è più nulla...
(Starnuta).
Salute! — Fa un po’ freddo a queste altezze.
VOCE DI DENTRO
Chi è davanti a quella porta?
MEFISTOFELE
Il solo
Che tuttavia ne resti fuor!
==>SEGUE



VOCE DI DENTRO
Che cerchi?
MEFISTOFELE
Io? Nulla. E che dovrei cercar nel nulla?
Me ne vado così bighellonando
Senza scopo, tra quelli che in antico
Furono i quattro punti cardinali.
Pure... Ma sì!... Vorrei, se si potesse,
Confabulare un po’ col Padre Eterno.
Più d’una volta ne’ passati tempi
Mi degnò di colloquii il Padre Eterno.
VOCE DI DENTRO
L’ambasciata farò.
MEFISTOFELE
Se non disturbo. —
Ah, questo vuoto, quest’infame vuoto,
Dove non c’è più nulla, nè da fare,
Nè da disfare, e (tranne questa porta,
Questa vietata, spalancata, illogica,
Pleonastica porta metaforica)
Neanche da veder! Uh, che miseria!
(Sbadiglia forte).
Con licenza!... Qualcuno s’avvicina.
L’ETERNO
(senza lasciarsi vedere).
Qui di nuovo?
MEFISTOFELE
Signore, vi saluto.
L’ETERNO
La pace a te.
MEFISTOFELE
Ih, n’ho sin troppa! Ossia,
Perché ne ho troppa, non ne ho punto. Forse
Mi spiego mal.
L’ETERNO
Parlarmi vuoi?
MEFISTOFELE
Se piace
Alla vostra bontà.
L’ETERNO
Parlami pure.
MEFISTOFELE
Egli è gran tempo che la vostra voce
Più non intesi.
==>SEGUE

L’ETERNO
Ora l’intendi.
MEFISTOFELE
Grazie!
L’ETERNO
Che mi vuoi dire?
MEFISTOFELE
Qui sta il punto. Dunque...
Ah, m’annojo!
L’ETERNO
T’annoi? Perché?
MEFISTOFELE
Quel vuoto...
L’ETERNO
Tu prima il pieno biasimavi; adesso
Biasimi il vuoto. Non se’ mai contento!
MEFISTOFELE
E com’esser potrei, se il vuoto è peggio
(Perdonate!) del pieno? La Natura
Il vuoto aborre. Quanto più lo spirito!...
L’ETERNO
Credi che vuoto sia?
MEFISTOFELE
Io, lo sapete,
Non posso starmi con le mani in mano.
L’ozio detesto. Mi bisogna sempre
Correre, affaccendarmi, entrare, uscire,
Porre, levare, rivoltare: insomma
Far qualcosa.
L’ETERNO
E tu fa’.
MEFISTOFELE
Che debbo fare,
Se più mondo non v’è?
L’ETERNO
L’hai tu disfatto?
MEFISTOFELE
Eh, no! non io. L’avete voi piuttosto
Riassorbito.
L’ETERNO
E non ne hai piacere?
Sempre dicevi ch’era brutto il mondo,
Ch’era cattivo e senza senso il mondo.

==>SEGUE

MEFISTOFELE
Ma era insomma divertente, e dava
Da lavorare a chi n’avesse voglia.
L’ETERNO
Lo rimpiangi?
MEFISTOFELE
M’annojo.
L’ETERNO
A te non basti?
MEFISTOFELE
Sì... no... Basto e non basto. O bastavate
A voi stesso voi forse allor che stanco
(Debbo suppor) d’essere solo, il mondo
Vi metteste a crear?
L’ETERNO
Buono.
MEFISTOFELE
Scusate
Se parlo un po’ liberamente.
L’ETERNO
Parla
Come ti par.
MEFISTOFELE
Dunque m’annojo.
L’ETERNO
Male.
MEFISTOFELE
M’annojo molto.
L’ETERNO
E tu perché non crei
Un altro mondo?
MEFISTOFELE
È questo il guajo. Io posso
Mondi infiniti immaginar, dotarli
Idealmente d’ogni ben, fingendo
Tutto nel mio pensier; son anche in grado
Di fare e di disfar non poche cose,
E ancora più di moverne, nei mondi
Che sussistono già; ma non potrei
Crearne un solo.
L’ETERNO
Nondimen la nube
Che ti sorregge è tua fattura.

==>SEGUE






Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:nfiorillo@email.it ==
 
Arturo Graf
(1848-1913) e
Giacomo Leopardi (1798-1837)
_________

di Ayleen Boon
__________________
Leopardi e Graf

In questo capitolo cerchero di spiegare quali sono le differenze tra Leopardi e Graf nelle loro correnti e nei pensieri filosofici, e nelle differenze e le analogie nell.uso de luoghi poetici da parte di Graf e da parte di Leopardi.

Differenze e analogie:
Le idee e il modo
di usare i topoi

Per capire le differenze e analogie nel modo di usare il topos, dobbiamo analizzare le idee e la filosofia di Graf. La concezione pessimistica del poeta ha una duplice origine; si e sviluppata da un.innata deviazione della mente (cioe proprio una malattia psicologica) e dall.influenza dei poeti Leopardi e Baudelaire; quest.ultimo poeta infatti e predominante e la maggior parte dei suoi lavori tristi sono stati composti mentre stava camminando metaforicamente nel suo giardino avvelenato e artificiale. In Leopardi prevale una perfezione classica, sfumata pero con un pathos romantico. Le poesie di Graf lasciano il disgusto nel cuore, e non con quel senso di un.enorme bellezza che, come in Leopardi, s.erge sopra la sua desolazione disperata. La differenza tra Graf e Leopardi si trova nella raffinatezza dei pensieri e nella melodia dell.anima della poesia. In Graf sta crescendo il pensiero malvagio nelle tenebre, silenzioso; lentamente riempie tutta l.anima smarrita. Ho visto che il poeta ha un gusto malato per la bruttezza e per il bizzarro e il macabro. A parte questo, alcune delle sue poesie sono poco realistiche e piene di fantasie. La sua mente e uno specchio, offuscato dalla nebbia del dubbio, dai pensieri scuri, dalle idee incongruenti, in base alla filosofia di Schopenhauer. Come esuli volontari, questi filosofi si ritirano dal mondo degli uomini, e mantengono fino all.ultimo sospiro la loro attitudine nemica contro la vita. Graf riconosce in se un fiero spirito ribelle, duro per se stesso, nato per essere la sua rovina e per causare disagio agli altri. E terrorizzato dal potere di forze inspiegabili, dall.immensita dello spazio dove ogni cosa vede la nascita e la morte di innumerevoli mondi, i quali vengono buttati nei .golfi inesplorati. delle .fontane inesauribili e ardenti. dell.abisso. Parla dell.orrore dell.oceano infinito e senza fondo nel quale, per sempre, le ore passano e spariscono e nel quale l.eta muore. Egli parla anche del cielo nero e profondo, in cui la vanita del mondo, clamorosa e variopinta, svanisce come la nebbia.
Nella sua concezione, l.universo diventa per lui un enigma odioso; nei suoi incubi lui si perde nei boschi, dove la morte lo aspetta; il poeta vaga sulle pianure desolate, lungo le paludi grigie; egli si eleva nello spazio senza limiti, dove le stelle si sono diffuse come la polvere dei fiori. Ed egli si paragona a una meteora ardente, che vola attraverso il buio pauroso della notte infinita. La poesia diventa per lui un tormento, un immenso dolore. Leopardi invece non ha una testa cosi ribelle e despotica come quella di Graf. Egli e in grado di vagheggiare le sue illusioni piacevoli, le segue e le ama ed e triste quando viene riportato alla realta che distrugge i suoi sogni perche in lui domina il sentimento. Leopardi sa distinguere la fantasia dalla ragione, ma quando vive la vita dove predomina la ragione, il suo cuore cerca di contraddirlo e lo conduce ai mondi diversi, nei suoi sogni. Il cuore o il sentimento di Graf non ardisce di contraddire la ragione. Ha soltanto il sentimento .della tristezza invincibile di chi sa di vivere senza utilita e senza scopo..78 Leopardi riesce a pensare che finche l.immaginazione e il sentimento sono vivi, nascono nel pensiero care illusioni che spingono alla vita, come nei popoli e negli uomini giovani. E quando c.e la forza di immaginare, di sentire o di amare, il male della scienza si puo signoreggiare ed egli puo scappare dal mondo intellettuale. E chiaro che per loro due rispettivamente la luna e il mare ricoprono un ruolo importante e li trovano il loro conforto per la mente triste. I due poeti fanno entrambi un viaggio mentale nel passato, si lasciano tutti e due portare in un altro mondo per cercare il .perche. della vita. Essi pensano che la vita terrena sia senza scopo, sia inutile e questo li fa sentire tristi. Per Graf questa tristezza e invincibile, non trova una soluzione per superarla. Ma, come accennato prima e chiaro nella poesia di Leopardi, egli si perde nel sentimento e nei suoi sogni: Anche se il poeta sa bene distinguere la fantasia dalla verita, in quel momento i sogni sembrano la verita ed egli vive dei momenti di felicita, pensando al passato. Il viaggio grafiano invece e una .simbolizzazione della morte, un.allegoria tragica della vita sospinta da una tenace e delusa speranza a schiantarsi contro il nulla finale..79 Questo l.abbiamo visto anche con l.uso del termine .naufragare nel mare. in Medusa e ne .L.Infinito.: mentre Leopardi gode il momento dei suoi pensieri infiniti che lo portano via, Graf conclude che la vita sulla terra e solo lo schantarsi contro il nulla. Non puo godere totalmente quel momento di ricordare momenti dal passato.
Se analizziamo la descrizione del mare .come abbiamo visto nel secondo capitolo- il mare di Graf non e un mare bellissimo, tranquillo e colorato. Esso viene sempre descritto in modo tragico e terribile; presenta sempre un viaggio pauroso e misterioso, che finisce con lo schiantarsi contro la morte. Dopo aver paragonato le differenze tra l.uso e la descrizione della luna di Leopardi (calma dolce e amorosa) e il mare di Graf (sinistro,oscuro e misterioso), potremmo dire con Anna Dolfi che il mare di Graf e .una luna sanguinolenta.80, invece della luna dolce di Leopardi.

Conclusione

In questa tesi ho provato a trovare una risposta alla domanda seguente:
Il ruolo del mare in Medusa di Graf ha la stessa funzione della luna ne I canti di Leopardi? Entrambi sono luoghi di conforto? Ci sono anche delle differenze tra i due poeti nel modo di esprimere questo concetto di conforto?
Per rispondere a questa domanda bisognava approfondire le differenze tra i due poeti, cresciuti in diverse fasi del periodo del Romanticismo in cui l.uomo riscopre quello che esiste fuori dalla capacita della gente: l.infinito. I filosofi hanno cercato di confrontarsi con quel fenomeno, sperando di trovare un significato alla realta. Come ho detto nell.introduzione e proprio di un romantico soffrire per l.esistenza umana vuota e senza senso e vedere la vita piena di infelicita e imperfezione, e per questi motivi andare a cercare altrove la propria felicita: nei sogni e ideali, nel passato e nella natura.
Il Romanticismo ha influenzato entrambi i poeti. Nel mondo stanno cercando la risposta alla questione: .qual e lo scopo della vita sulla terra?. Dal momento che nessuno e in grado di dar loro una risposta, vanno a cercarla altrove: come abbiamo visto Leopardi nella luna e Graf nel mare. Questi sono i loro topoi naturali, dai quali sperano di trovare una risposta. In realta questo e un viaggio mentale, che entrambi i poeti compiono. Visto che ne la luna ne il mare sono in grado di parlare con loro, il viaggio e un viaggio interiore: Graf e Leopardi ci riflettono e pensano in modo filosofico alla vita che vivono. Ma abbiamo anche visto che entrambi i poeti prendono gia un po.di distanza dal Romanticismo: cominciano a scollegare l.unita tra l.uomo e la natura. Non vedono piu la natura come un testimone per l.essere del poeta, ma una presenza indifferente. Graf e piu sperimentale di Leopardi. Leopardi osa distaccarsi un po. dal romanticismo, Graf prende elementi da altre correnti come il Simbolismo e La Scapigliatura.
Abbiamo visto nel primo capitolo che Leopardi e in grado di lasciar perdere i suoi pensieri razionali ed egli e in grado di vagheggiare le sue illusioni piacevoli, le segue e le ama ed e triste quando viene rigettato nella realta che distrugge i suoi sogni perche in lui predomina il sentimento. Condivide i suoi sogni con la sua amica luna, che ammira e ama con tutto il suo cuore, perche e la stessa luna con cui parlava anche quando era giovane; e stato l.astro che c.era gia nel passato con cui ha condiviso tutti i suoi segreti. Proprio questo sentirsi giovane e per Leopardi molto piacevole: il fatto che la luna riesce a portare i pensieri del poeta al passato, lo fa sognare di ritornare a quando era piu giovane, pieno di felicita e allegria. Si puo dire, come abbiamo visto, che la luna e un posto fuori dal mondo umano che e in grado di dare conforto a Leopardi e ai suoi lettori. Anche Graf ha la sua fonte d.ispirazione: il mare. Il riflesso nell'acqua del mare e riflesso dell'anima. Graf usa il mare per fare un tuffo nell.acqua infinita e fare un viaggio mentale, sperando di trovarci la verita della vita; riflettendosi nelle sue acque, pensando alla vita dell.uomo. Graf cerca di godere il momento di riflettere e tornare al passato, ma non ci riesce sempre; arriva sempre alla conclusione pessimista che la vita sulla terra e senza scopo ma e solamente un viaggio verso la morte. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, non si puo dire che il mare e come la luna di Leopardi.

==>SEGUE
MEFISTOFELE
Appunto.
Questa nube...: una nube.
L’ETERNO
È pur qualcosa.
MEFISTOFELE
Non debbo entrar ne’ pensamenti vostri:
Ma non c’è caso che vogliate ancora
Crear qualcosa?...
L’ETERNO
Ci si può pensare.
MEFISTOFELE
Be’!... Ma intanto mi sento troppo solo,...
Disoccupato...
L’ETERNO
E tu perché non vieni
Con noi? La porta l’hai dinanzi.
MEFISTOFELE
Certo.
L’ho dinanzi. Ma è quella stessa porta
Onde cacciato fui, sono, a dir poco,
Cinque o seimila secoli.
L’ETERNO
Cacciato,
No.
MEFISTOFELE
No?
L’ETERNO
Da te ne uscisti.
MEFISTOFELE
Oh guarda! Forse
Mi fa cilecca la memoria. Tanti
Casi e rivolgimenti, e tanto tempo...
Uno ci si confonde. Basta. E adesso
Là dentro che si fa?
L’ETERNO
Vieni e vedrai.
CORO DI VOCI ANGELICHE
Sedate le gare,
Composto il dissenso,
Il termine appare
Di giusto compenso.
Del subdolo errore,
Del folle peccato,
Beante beato
Trionfa l’Amore.
==>SEGUE



MEFISTOFELE
(tra stizzito ed ironico).
L’Amore! Già! Sempre l’Amore! Il guajo
È ch’io non posso amar.
L’ETERNO
Non calunniarti.
Quei che bramoso di crear si cruccia
Di non potere, quei d’amore il germe
Nasconde in sé, quegli ama già.
MEFISTOFELE
Pensiero
Degno di voi. Per altro...
L’ETERNO
Che vuoi dire?
MEFISTOFELE
Nulla. Non mette conto.
L’ETERNO
Ti sovviene
Di Margherita?
MEFISTOFELE
Margherita? Quale?
Ce ne furono tante! Una per uscio!
Davvero, non saprei...
L’ETERNO
Quella di Fausto.
MEFISTOFELE
Quella? Oh, sì!
L’ETERNO
E che un giorno tu sentisti
Pietà di lei?
MEFISTOFELE
Nulla v’è occulto. È vero.
Ma fu sol per brev’ora, anzi per solo
Un fuggevole istante.
L’ETERNO
Non importa.
Tu in quel giorno, in quell’ora, in quell’istante,
Amasti.
MEFISTOFELE
Ella m’odiava, e certamente
M’odia ancora.
L’ETERNO
Non t’odia. Anzi confida
Di rivederti.
MEFISTOFELE
Rivedermi?... E Fausto?
==>SEGUE

L’ETERNO
Sempre chiede di te. Dice d’avere
Molto imparato alla tua scuola, e tutte
Narra le ardimentose opere buone
Con la tua scorta, o il tuo favor, compiute.
MEFISTOFELE
Gran valentuom quel Fausto! Un uom completo!
E posso dir d’avere anch’io parecchie
Cose imparato praticando seco.
Volli farlo dannar; ma quando alfine
Mi sfuggì dalle man ne fui contento.
L’ETERNO
Che ti dicevo? Ed anche allora amasti.
E ami adesso che così favelli.
MEFISTOFELE
Mi stupisco di me.
L’ETERNO
Non può lo spirto
Non amar, s’anco varii oggetto e modo.
MEFISTOFELE
Siete un grande psicologo.
L’ETERNO
Vi sono
Altri molti che aspettan di vederti.
Di’ pur tutti.
MEFISTOFELE
Mi fanno troppo onore.
E son quasi tentato... Ma se poi...
L’ETERNO
Se poi che cosa?
MEFISTOFELE
...anche costì m’annojo?
L’ETERNO
E dàlle! Un bello spirito tuo pari
Non si deve annojar.
MEFISTOFELE
Se con voi posso
Intrattenermi senza cerimonie,
Non m’annojo di certo.
L’ETERNO
Alla buon’ora!
MEFISTOFELE
E potrò criticar?
L’ETERNO
Se ne avrai voglia.
Credi tu che la critica mi spiaccia?
Fa servizio anche a me.     ==>SEGUE

MEFISTOFELE
Manifestare
Il parer mio liberamente?
L’ETERNO
Certo.
MEFISTOFELE
Stare, andare, venire?
L’ETERNO
A tuo talento.
MEFISTOFELE
Siete un gran tentatore, e quasi quasi...
Ma se, diciam, volessi poi di nuovo
Uscirmene?
L’ETERNO
Uscirai.
MEFISTOFELE
Anche con altri,
Se, poniamo, volessero seguirmi?
L’ETERNO
Anche con altri, se vorran seguirti.
MEFISTOFELE
(dopo breve silenzio).
Prigionier non sarò, checché succeda?
L’ETERNO
Prigion non v’è.
MEFISTOFELE
(come sopra).
Non questa porta dietro
Ai passi miei si chiuderà?
L’ETERNO
Nessuna
Porta si chiuderà dietro a’ tuoi passi.
MEFISTOFELE
(dopo un silenzio alquanto più lungo).
E se voi, per ipotesi, voleste
Nuovo mondo crear?
L’ETERNO
Critico eterno,
Ti chiamerei del mio disegno a parte.
(Silenzio. Mefistofele che, durante le ultime battute, si mostrò più di prima impensierito ed esitante, fa un passo: si ferma: ne fa alcuni altri: si ferma sulla soglia: si volta indietro: si stringe nelle spalle: entra).

==>SEGUE

CORO DI VOCI ANGELICHE
Nel gurgite vasto
Dell’unica essenza
Si queta il contrasto,
Disvien la parvenza.
Incolume e mondo,
Chi visse rivive
Nel mar senza rive,
Nel mar senza fondo.




L’ANACORETA

Arsenio, che già si chiamò Apollinare, anacoreta, d’anni 65. Elpidio, d’anni 62. Solitudine della Tebaide, in prossimità di un tempio diroccato. Un umile abituro, un gruppo di palme, un pozzo. Di costa all’uscio dell’abituro, un rozzo sedile di pietra. Per quanto gira l’occhio, nessun altro vestigio di umana dimora, o di umane opere.
L’anno 290 di Cristo, le prime ore d’un mattino d’aprile. All’alba Arsenio esce dall’abituro, s’inginocchia volto al levante, giunge le mani e prega:

Padre che sei ne’ cieli, il nome tuo
Sia benedetto.
Venga il tuo regno: in terra come in cielo
S’adempia il tuo precetto.
Il pan cotidïano oggi ne dona.
A noi perdona,
Come noi perdoniamo a chi ci offese.
E guardaci dal male e dalle tese
Reti dell’avversario che ne spia.
Padre che sei ne’ cieli, così sia.
(Si copre il viso con le mani e ripete):
A noi perdona,
Come noi perdoniamo a chi ci offese.
(In questo mentre compare Elpidio, s’accosta a tardi passi, e vedendo Arsenio immerso in profonda meditazione, si sofferma, in atto di timida riverenza).
ARSENIO
(dopo alcun po’, levandosi e scorgendo Elpidio; con qualche meraviglia).
Un fratello!...
ELPIDIO
(costernato, vergognoso).
Ah, non io tal nome posso
Meritarmi da te.
ARSENIO
Che dici?
ELPIDIO
Un santo
Se’ tu tra i santi, un peccator son io.
==>SEGUE


ARSENIO
Tutti siam peccatori, e tutti siamo
Fratelli.
ELPIDIO
Un peccator più reo di quanti
Son peccatori, o mai saran.
ARSENIO
Per tutti
Sparse Cristo il suo sangue.
ELPIDIO
Io fui di Cristo
Odïator.
ARSENIO
Se or l’ami e segui, basta:
Altro da noi non vuol. — Digiuno e stanco
Sarai.
ELPIDIO
Di cibo uopo non ho; riposo
Non trovo.
ARSENIO
Qui che ti conduce?
ELPIDIO
Brama
Di vederti, d’udir la tua parola.
ARSENIO
Di vedermi? E perché? Come s’accese
Nel tuo cor tale brama? E come avesti
Di me contezza? Morto sono al mondo.
ELPIDIO
Né già in quel mondo al quale anch’io son morto
Appresi, o Padre, l’esser tuo. Per queste
Solitudini intorno ecco omai volge
L’anno ch’io vo peregrinando. In esse
Molti, come ben sai, le abominose
Città fuggendo e i putridi consorzii,
Molti presero stanza ardenti, e prodi
Confessori di Cristo. In erme sedi
Vivon disgiunti, sol congiunti in una
Stessa fede e in un’unica speranza,
Meditando, pregando. Il ciel non vide,
E non ispera, più fedele, invitta,
Instancabil milizia. Uno per uno,
Tutti li visitai; tutti richiesi:
==>SEGUE
Quale tra voi è il più perfetto? e tutti
Mi risposero: Arsenio. E a te dinanzi
Ecco mi vedi.
ARSENIO
(turbato).
Arsenio!... Ah, mi confonde
E mi spaura tal giudizio. Arsenio!...
Colui che un tempo... Essi non sanno... O Cristo,
Abbi pietà di me, di questo indegno,
Miserabil tuo servo! —
(Con qualche asprezza):
E tu il fallace
Supposto sgombra dalla mente. —
(Amorevole, dopo breve silenzio):
Or quale
Di tua venuta la cagione?
ELPIDIO
Requie
Non ho.
ARSENIO
Che t’ange?
ELPIDIO
Notte e dì m’affoga,
Mi lania notte e dì la ricordanza
Della vita ch’io vissi.
ARSENIO
(quasi tra sé, chinato a terra lo sguardo).
Intendo...
ELPIDIO
Padre!
ARSENIO
(c. s.).
La ricordanza!... e indarno gli anni...
ELPIDIO
Padre!
Siimi pietoso d’una grazia. Soffri
Ch’io a te mi confessi.
ARSENIO
A quei che nome
Hanno da Cristo confessarsi giova
Come fratelli gli uni agli altri. Il tuo
Desiderio s’adempia ed Ei ne assista.
==>SEGUE


(Prende Elpidio per mano, lo fa sedere e gli siede allato).
ELPIDIO
Ed Ei di tanto benefizio in cielo
Premio ti dia.
ARSENIO
Parla: t’ascolto.
(Breve silenzio. Elpidio tiene fissi a terra gli sguardi; Arsenio li tiene fissi su di lui, con serena espressione di carità).
ELPIDIO
Nacqui
In Alessandria.
ARSENIO
In Alessandria?
ELPIDIO
In quella
Di peccati fucina, in quel d’oscene
Pompe teatro. D’opulenta e chiara
Prosapia nacqui. Giovinetto, vissi
De’ miei pari la vita: alquanto, forse,
Alle lascivie men propenso e all’ozio:
Non cattivo; non buono: inconscio, o quasi,
Di quella gran putredine che intorno
Tutto occupando, m’avvolgea; del lezzo
Che respiravo. — Era in quel tempo...
(S’interrompe, turbato).
ARSENIO
Segui.
ELPIDIO
Era in quel tempo in Alessandria un altro
Giovine, sol di poco a me maggiore
Quanto all’età, ma assai di me più colto
Ed assennato e al ben disposto; ei pure
Ricco di censo e per natali illustre:
Segno d’invidia ed egli ed io per ambo
Quelle ragioni al volgo vil. Propinque
Avevam le dimore; onde prendemmo
Dimestichezza insieme, e, come suole
Spesso accadere nell’età più verde,
Che pronto l’uom s’apre agli affetti, e amore
Spira, e in altri non men che in sé confida,
Ci legammo di stretta, anzi fraterna,
Amicizia. Ma egli, oltre che amico,
Benefattor mi fu. Armi ei mi diede
Contro a me stesso e al malo esempio altrui.

==>SEGUE
Egli mi fe’ d’assai brutture accorto
E disdegnoso. Egli a severi studii
Mi fu stimolo e guida. Ahi, vane cure!
Ahi, mal locata fede!
(Silenzio più lungo. Arsenio ha distolto da Elpidio gli sguardi, e con eretta la fronte, volto alcun poco di fianco, mira lontano, là dove il deserto sembra confinare col cielo).
ELPIDIO
Alcuni, brevi,
Anni passâr, senza che mai sorgesse
Tra noi cagione di sospetto o d’ira.
Er’io da nozze alieno; egli di nozze
Desideroso. Sua compagna elesse
Una fanciulla...
(S’interrompe di nuovo, più profondamente turbato).
ARSENIO
(immobile, nell’atteggiamento indicato).
Segui.
ELPIDIO
Una fanciulla
Di singolar bellezza, di soavi
Costumi, di gentil, mite, serena
Indole. Io la vidi, e fu il vederla
E il sentirmene preso un punto solo.
Egli l’avea degli occhi suoi più cara,
Riamato, felice. Alla malnata
Passïon volli contrastar; tentai
Spegner l’incendio scelerato. Invano.
Non era il fiacco animo mio da tanto.
Esulai. Vidi Atene, Roma. Assente
Rimasi un anno. Invan. La lontananza
Esasperava il mal. Tornai. Presunsi
Di resistere ancora. Invano, invano.
Gl'istinti rei che mi dormiano in core
S’erano desti, e il mio pensier li seppe
Corroborar di facili sofismi.
Alfin vinto mi diedi e cominciai
Con arti infami a circuir la donna.
A lungo ella si difese; a lungo
Di non volerla rendere infelice
Con farla rea mi supplicò piangendo.
Nulla valse. Nessun più certo effetto
Le preghiere sortiano e le repulse
Che d’irritarmi, giunger esca al foco,

==>SEGUE
Precipitarmi al turpe assalto... Alfine,
Stanca, sedotta, confusa, sgomenta,
Più lottar non sostenne, e mi s’arrese. —
(Leva timidamente lo sguardo e vede Arsenio come perduto in contemplazione).
Padre, m’ascolti?
ARSENIO
(c. s.).
Sì, t’ascolto. Segui.
ELPIDIO
(riabbassando lo sguardo, e con voce che si va facendo a mano a mano più fioca e più dolorosa).
Ebbe sentor dell’esecrando incesto
Il tradito. Fuggimmo. Egli sull’orme
Dei fuggiaschi volò, vendetta e strage
Imprecando. Per Asia e per Europa
Seguitammo a fuggir. Mai non ne giunse.
Poi d’un tratto restò da quella caccia,
Tacque, segno non diè più d’esser vivo,
Non fu più visto in Alessandria e sparve.
(Arsenio, senza però muovere la persona,
leva gli occhi al cielo e al cielo s’affissa).
Chi potrebbe i disagi, i crucci, l’ansie
Di quei giorni ridir? Chi l’amarezza
Degl’incerti propositi e il contrasto?
Ella in Roma infermò d’insidïoso,
Oscuro morbo. Oh, come lungo, atroce,
Il suo soffrir! Vana ogni cura; vano
Ogni rimedio. Ivi morì, la propria
Sorte non già, ma il nostro error piangendo.
ARSENIO
(con voce profonda)
Disperata morì?
ELPIDIO
(singhiozzando).
No, ma contrita,
E invocando con l’ultimo respiro
Il Dio de’ cristïani.
ARSENIO
E tu?
ELPIDIO
Perduto
Mi sentii. Nondimen volli alla vita
Riavvinghiarmi, alla funerea vita.
Il dolore, il rimorso e la vergogna
Mi maceravan l’anima. Cercai

==>SEGUE
Di scordar, di stordirmi. Ai tristi giorni
Unico officio, unico fin proposi
Il piacere. Migrai di gente in gente,
Profugo d’ogni terra, estrano a tutte.
I dì nei circhi consumai, le notti
Nei lupanari, m’imbestiai nei crassi
Convivii, m’imbragai nelle suburre,
Vissi nelle taverne e nelle reggie,
Sgavazzatore, amasio, cortigiano;
E scendendo ognor più, m’accomunai
Coi più reprobi e vili, e toccai tutti
Dell’abiettezza e della colpa i fondi;
Cùpido e sazio, ignavo e tracotante;
La vita in odio ed in orror la morte
Avendo; di pietà segno e di sprezzo
A me stesso. Così gli sciagurati
Anni lograi; così varcai le soglie
Della vecchiezza. In Selinunte un fiero
Male per poco non mi uccise. Giacqui
Lunghi dì, travagliato da focosa
Febbre, sovente delirando, e tutto
Nella torbida mente rivivendo
Il passato. E di novo la proterva,
Convulsa anima mia fu macerata
Di dolor, di rimorso e di vergogna.
Solo compagno da gran tempo m’era
Uno schiavo fenicio, uom di provata
Fede e nobili sensi. Ei m’assistette,
Incurante di sé, dedito solo,
Il dì, la notte, infaticabilmente,
A vigilarmi e porgermi sollievo.
E una notte, parendogli ch’io fossi
Presso a finir, con semplice eloquenza
E puro zelo m’instruì di Cristo
Redentore. Guarii. Ma dello stesso
Mal che da me contrasse, egli a sua volta
Infermò gravemente, e in pochi giorni
Venne a morte. «Sovvengati di Cristo
Redentore», fûr l’ultime parole
Ch’ei proferì. Più dalla mente al novo
Lume omai schiusa e dal risorto core
Non mi caddero: ed ecco in tuo cospetto
Mi vedi.
(Leva di nuovo gli occhi e vede che Arsenio ha il volto innondato di lacrime).
Oh, Padre!...

==>SEGUE

ARSENIO
(sempre con gli occhi al cielo).
Sia con te la pace.
ELPIDIO
La pace!... Ah, troppo mi tortura un dubbio...
ARSENIO
Un dubbio? E quale? Se l’error detesti,
L’error cancelli.
ELPIDIO
Il dubbio che l’offeso
Possa esser morto disperato e senza
Perdonar chi il tradì.
ARSENIO
Nutri fiducia
Che perdonato egli abbia.
ELPIDIO
Ah, se potessi
Esserne certo!...
ARSENIO
(fissando Elpidio in volto e ponendogli una man sulla spalla).
Elpidio!
(In udire il proprio nome, Elpidio rimane al primo come insassato; poi, fitti gli occhi in volto ad Arsenio, che intanto s’è levato in piè, si leva egli pure, lento, quasi macchinalmente, simile a un trasognato, e giunge le mani).
ELPIDIO
(con voce soffocata).
Apollinare!
ARSENIO
Apollinare è morto, Elpidio è morto.
ELPIDIO
(piegando lento a terra, inginocchiandosi dinanzi ad Arsenio).
Perdona!
ARSENIO
(inginocchiandoglisi accanto, mostrandogli col braccio teso il cielo).
Entrambi rivissuti in Cristo.
ELPIDIO
(come se ripetesse parole suggeritegli da altri).
Padre che sei ne’ cieli, a me perdona!

==>SEGUE
ARSENIO
Perdona a lei, perdona a noi!
I DUE INSIEME
(toccando con la fronte la polvere).
Perdona!

AL VOLTO DELL’UOMO

Larva spirante, parlante:
Pallida o fosca: di orme
Mutabili impressa! quante
Sparvero labili forme;

Quanti sommerse il profondo
Temuti, attesi, nefasti
Giorni, dacché t’affacciasti
A questa scena del mondo?

Alla impassibile scena
Ove ne’ secoli dura
Un’empia tragedia oscura,
D’angoscia e di lutto piena?

Innumerabile flora
Le scarse terre invadeva
Sorte dall’ombra primeva:
E tu, tu non eri ancora.

Immani congegni fieri
D’ugne, di zanne, di rostri,
Cozzavan orridi mostri:
E tu, tu ancora non eri.

Ma un giorno (per lenti acquisti
In lunga acerrima lotta,
Ovver di balzo prodotta?)
Ma un giorno alfine apparisti.

Quando? in qual ora dell’Anno
Grande? Nol sanno le istorie.
Dove? Oh pie fole! Oh memorie
Brevi! Le istorie nol sanno.

Eri. Qual fu il sentimento
Che pria le inesperte ciglia
Ti occupò? la meraviglia?
L’odio? il furor? lo sgomento?

==>SEGUE
Ah, non per certo l’amore,
Che tra violenze e ambasce
Sì lento e dubbioso nasce,
Sì pronto e sfidato muore.

Eri. Funerea tela
Ecco di gare inclementi,
Ecco di lugubri eventi
Nova, inesausta sequela.

Eri. Ti vider le selve,
I campi, i monti, i deserti:
Il mar ti vide. A temerti
Impararono le belve.

Famiglie crebbero a turbe;
Soggiacquero ai prodi i vili:
Ov’erano prima covili
Il pago sorse, poi l’urbe.

Alti s’adersero i templi,
Ove in aspetti riflessa
Di muti numi, te stessa
Propizïando contempli.

E fiamma che mai non langue
Brillò negli aditi santi,
E asperse l’are fumanti
Di pingui vittime il sangue.

Come scultore la creta,
La Vita che mai non posa,
L’eterna che inventa ed osa
Operatrice inquïeta,

Con duro pollice (quando
Fia suo disegno maturo?)
Con unco pollice duro
Ti venia rimodellando.

Oh i segni astrusi, gli acerbi
Tocchi, le stimmate fonde,
Che della man che s’asconde,
Che di quell’arte tu serbi!
=>SEGUE

Oh il duplice solco, dove,
Perenni, amare sorgenti,
Dietro ad antiche e recenti
Scorrono lacrime nuove!

Volto di lacrime intriso!
E qual incognito fabbro
Poté sul triste tuo labbro
Delineare il sorriso?

O larva, il sorriso lieve
Che il triste labbro inorpella!
L’incerta parvenza breve
Cui tosto il pianto cancella!


PACE!

Qui, dove muto m’ascondo
Siccome fiera in ispeco,
Mi giungono, inutil eco,
L’ultime voci del mondo.

L’ultime voci confuse,
Pria che mi stenda la mano
A liberarmi l’arcano
Poter che in esso m’intruse.

L’ultime confuse voci,
Preda e ludibrio de’ venti:
Risa, invettive, lamenti,
Preci vane, urla feroci.

Pace, decrepito mondo!
A che, in cospetto de’ cieli,
Le stolte gare crudeli,
L’amaro crucio infecondo?

Decrepito mondo, pace!
A che, di fronte alla morte,
Le arti subdole e corte,
La cupidigia vorace?

Pace! Nel gorgo degli anni
Tutto sprofonda e disviene,
Gioje, rammarichi, pene,
Speranze, timori, inganni.

Pace! Doman fia l’oscena
Tua storia, storia remota:
Ecco, d’attori è già vota
L’abominosa tua scena.

Pace! I tuoi vivi di ieri
Son oggi polvere e ombra:
La solitudine è ingombra
Di ruderi e cimiteri.


==>SEGUE
Nell.introduzione ho scritto che i poeti che sono nati dopo il disastro del Vesuvio nel 1826, non descrivono piu la natura come una fonte di bellezza ma questa diventa un tema lugubre e triste. Come ho descritto prima, entrambi i poeti mettono l.uomo opposto alla natura, ma Leopardi ci riesce ancora a valorizzare qualche elemento naturale. Pensiamo alla poesia .La Ginestra.(1836)81 nella quale dichiara che l.uomo e da sola; in generale non significa niente in paragone con la natura. Pero, in questa tristezza, Leopardi ci riesce a ammirare una pianta, la ginestra, che cresce sulla colle del Vesuvio: questa pianta riesce bene di mantenersi in vita. A parte questo, Graf aveva una grande affinita con gli scrittori del Decadentismo (come Baudelaire), i quali usavano un tono tetro. Come sappiamo dal capitolo 2, Graf si e fatto ispirare dal profondo pessimismo di Leopardi che appartiene al Romanticismo; egli canto gli aspetti piu tragici e angosciosi della vita con una predilezione per il tema del dolore desolato, della morte e della natura. Ma possiamo dire che Leopardi e proprio un pessimista, se conosciamo anche il modo di scrivere di Graf? E quali sono le differenze nel loro pessimismo? Dopo aver analizzato le loro poesie, direi che le poesie di Graf sembrano piu apocallitiche e cupe in confronto con il pessimismo di Leopardi: dato che per Leopardi esistono momenti di gioia, di felicita, di piacere quando si abbondona alle illusioni, ai sogni e vola nei pensieri al passato, il che gli da un forte sentimento di conforto. Abbiamo osservato che Graf descrive il suo mare come un posto orribile; e scuro, ci sono gli abissi, c.e sempre una tempesta. Quindi per Graf l.intelletto domina sui sentimenti, non e in grado di trascinarsi nei sogni o nella fantasia. Questa differenza viene anche rinforzata dal fatto che Graf e stato influenzato dal Simbolismo. Come ho detto prima, i simbolisti avevano l.idea fondamentale che sotto la realta si nasconde una realta piu profonda e misteriosa quindi nella poesia usano oggetti simbolici che hanno tutto un significato magico, le descrizioni dei paesaggi sono piu scure, vaghe e indefinite. E spesso la natura viene descritta come una natura .matrigna. Come simbolo, Graf compara la vita dell.uomo con un battello sul mare, che alla fine ha un solo scopo: incontrare la morte.
Si potrebbe concludere dunque che il ruolo dei diversi topoi e paragonabile, che l.uso dei topoi avviene sia in Graf che in Leopardi con lo scopo di cercare un rifugio, un luogo che li metta al riparo dai loro tormenti e nei quali possano partorire riflessioni, ma e chiaro che lo esprimono in modo diverso appartenendo a correnti diverse.
Noi che d’ignoti oceàni
Solcammo i flutti deserti,
Nuovi argonautici, esperti
Di tutti i travagli umani?

Noi cui nel sangue e nell’ossa
La febbre mai non s’ammorza
Che incita all’opra la forza,
Qual che l’evento esser possa?

Levate l’ancora, o prodi,
Ridispiegate le vele!
Ancor la prora fedele
Sia sciolta da tutti i nodi.

Ancor ne giovi la sorte
Sfidare in cimenti novi;
Ancor ne alletti e ne giovi
Guatare in faccia la morte.

Con alti cori, con fissi
All’orizzonte gli sguardi,
Prima che troppo s’attardi
Rivalichiamo gli abissi.

Oltre, più oltre!... Forse...
O artefici del futuro,
Chi sa che celi lo scuro
Mare che mai non si corse?

Oltre! o con vela o con remo
Rinavighiamo il profondo.
Oltre, più oltre! del mondo
Inverso il cardine estremo.

Sin dove l’astro del polo
Su vasto orrore di geli
Dalla corona de’ cieli
Sfavilla immobile e solo.
E dove infierì Massenzio,
Dove Sacùntala pianse,
Dove il Gran Còrso s’infranse,
Regna, equo nume, il silenzio.

ULTIMA TULE

Commilitoni, siam giunti
Alla distermina Tule:
Ecco la selva e il padule, .
Ultima stanza ai defunti.

Ultima stanza alle nude
Larve, cui più non arreca
Vicende il tempo, e la cieca
Speranza più non illude.

Tetra è la stanza. Funereo
Sovr’essa filtra, e sul torbo
Pelago in giro, dall’orbo
Cielo un barlume cinereo.

Con demoniaco lamento,
Per aspre balze, per forre,
Tumultuando trascorre
L’anima irosa del vento.

E tumidi mostri l’onde,
Con gorghe tese in avanti,
Assaltan bavose, urlanti,
L’eternità delle sponde. —

Qui rimarremo, compagni?
E soffrirem che la nostra
Vita in sì squallida chiostra
Pria di finire ristagni?

Qui rimarremo captivi
Tra mute, attonite larve,
Noi, a cui troppo già parve
Angusto il mondo dei vivi?


==>SEGUE